Confermo, Vostro Onore: è una “banale” fotografia, ovvero un atto… politico!

Confermo, Vostro Onore: è solo una “banale” fotografia, ovvero un atto… politico!

Tony Gentile - Giovanni Falcone e Paolo Borsellino - Palermo 27 marzo 1992

Tony Gentile – Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – Palermo 27 marzo 1992

L’episodio della contesa con la RAI riguardante la fotografia che raffigura i giudici Falcone e Borsellino ritratti da Tony Gentile mi ha fatto pensare al fatto che realizzare o anche soltanto pensare ad un’immagine – qualunque sia: un disegno, un dipinto, una fotografia, etc. – è sempre e, in ogni caso, un atto politico. Lo è qualunque sia il veicolo o il canale di riferimento. Lo è perché si “ritaglia” una parte reale/astratta del mondo, isolandola dal resto. Lo è, aggiungo ancora, a partire da una strategica scelta di fondo, dalla valutazione alternativa e fondamentale tra: il vedere, il semplice osservare, e l’agire, il fare eventualmente qualcosa (si pensi, ad es., ad un reporter in uno scenario bellico), nelle sue innumerevoli sfumature d’azione, tra un nulla di fatto e tutto quanto sia stato plausibilmente possibile fare in un dato momento/contesto.

Una scelta politica dunque, perché le immagini – per quanto verosimili ci possano apparire – non sono mai, tecnicamente, un reale “specchio” del mondo e, pertanto, possono indurre l’osservatore, persino l’autore aggiungo, a compiere degli errori interpretativi (talora fatali) riguardo al possibile referente originario.

E, in tale prospettiva, l’immagine può divenire anche un potenziale veicolo di possibili mistificazioni per la sua connaturata propensione a velare dietro un’apparenza illusoria quanto, a monte, vi sia di effettivamente vero o falso. Ci sarà sempre, inevitabilmente, uno iato, uno scarto più o meno ampio rispetto all’originale, sinanche nel caso in cui l’immagine interessata si fondi sulla presupposta suaccennata idea di stretta verosimiglianza.

In tema, in una prospettiva apparentemente contraddittoria e/o finanche schizofrenica, potremmo addirittura aggiungere che il soggetto originario – il modello del quale la fotografia dovrebbe/potrebbe essere il “calco” – non è forse neanche mai esistito e/o non è mai stato nel luogo in cui sembra o possa essere sembrato eventualmente trovarsi.

E, ripensando a R. Barthes, la fotografia, ci potrebbe quindi apparire come: “un medium bizzarro, una nuova forma di allucinazione: falsa a livello della percezione, vera a livello del tempo: un’allucinazione in un certo senso temperata, modesta, divisa (da una parte “non è qui”, dall’altra “però ciò è effettivamente stato”): immagine folle, velata di reale.”

E in ogni processo di conoscenza, di esplorazione, è, ovviamente, sempre implicato anche lo stesso atto/sguardo giudicante dell’autore. A lui, di norma, fa capo la responsabilità della scelta del momento ideale da fermare, immortalare, e poi eventualmente da condividere. Un’azione strategica che è connaturata ad ogni rappresentazione e al pathos che inevitabilmente e incessantemente la connota, sia in fase di selezione sia nell’eventuale fase di riutilizzo/riciclo.

Un atto deliberato, dunque, quello di qualunque autore – dal reporter professionista all’artista d’avanguardia, dallo storico delle immagini al fotografo occasionale – perché le immagini alterano sempre e comunque (con gradazioni diverse di caso in caso) il rapporto convenzionale del creatore, così come del fruitore, con l’ambiente naturale e/o sociale, ma non solo, di riferimento. Dico non solo pensando anche alla dialettica “interna” che ciascun autore vive – nel vortice multidimensionale (esperienziale, emotivo, culturale, etc.) che connota chiunque – dovendo quindi “fare i conti” anche con il multividuo, la molteplicità di anime che convivono in lui e, non ultimo, con il suo passato, il suo presente, il suo futuro.

Ogni immagine, inoltre, dovrebbe essere “letta” ed esaminata anche alla luce del contingente contesto di riferimento, dei diversi “corpi”, dei differenti possibili status che, di volta in volta, anche simultaneamente, può eventualmente riassumere/rappresentare. Nel campo del fotogiornalismo, ad esempio – e il caso in questione può essere emblematico al riguardo – le fotografie sono non di rado intese come mere illustrazioni. Si tratta, purtroppo di una prospettiva “povera”, infelice, frustrante, nonché, plausibilmente, tendenzialmente e/o tendenziosamente distorta, “funzionale” (ideologica potremmo persino affermare, in quanto conveniente a qualcuno…), perché non è mai soltanto quella la loro (unica) destinazione d’uso. Il ruolo che un’immagine in effetti poi svolge può, talvolta, essere finanche diametralmente opposto dalle intenzioni originarie dello stesso autore e/o committente (si pensi, ad es., ad un utilizzo propagandistico, controinformativo e così via). Un cambio di destinazione d’uso dell’immagine che non può e/o non deve sorprendere, essendo sempre, tecnicamente, comunque una rilettura, un’interpretazione parziale, ampia o totale (a prescindere dall’eventuale verosimiglianza con la “fonte” originaria) di un momento specifico e/o di un frammento della “realtà”. Un’immagine è, dunque, sempre un “testo” altro, comunque differente dalla frazione originaria alla quale fa più o meno verosimilmente riferimento. Una fotografia, quindi, non si “limita” mai ad illustrare soltanto qualcosa. In realtà ce ne “parla” e ci “dice” qualcosa riguardo a qualcosa/qualcuno, (ri)orientando, in ogni caso, il nostro sguardo sul mondo e, in definitiva, (ri)modulando – nostro malgrado – le nostre motivazioni di fondo e influenzando potenzialmente, “a valle”, le nostre scelte finali, le conseguenti azioni che poi compiamo!

Ogni immagine, anche un’apparentemente “semplice” fotografia, è inoltre sempre un insieme di segni più o meno complessi, compresi/compressi tra rappresentazione e realtà apparente, che convive, abitualmente, anche con altri “testi”, tra i quali la parola detta o scritta, magari condensata in una altrettanto apparentemente “innocua” presentazione verbale e/o in una “semplice” didascalia esplicativa di supporto.

Ciò premesso, non essendo né secondarie né meramente accessorie le intenzioni “politiche” dell’autore, l’immagine realizzata è sempre il frutto di un’azione volontaria, di un gesto deliberato, in sostanza di un’espressione del suo autore. Con tutto quello che ne può derivare in termini di onori e/o oneri. Altrimenti detto è un frutto della mente di chi l’ha concepita, ossia un’opera dell’intelletto, un prodotto culturale e, come tale, andrebbe valutata…!

Roma, 9 dicembre 2019

G. Regnani

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Riferimenti

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Confermo, Vostro Onore: è una “banale” fotografia, ovvero un atto… politico!ultima modifica: 2021-01-01T00:04:01+01:00da gerardo.regnani
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