Fotografia, comunicazione, media e società

La forza delle immagini

L’emblematica istantanea del “caso Fazio”
di Gerardo Regnani
gerardo.regnani@gmail.com
01/09/2005

Quale è stato il ruolo dell’ormai celebre fotografia che ritraeva il numero uno di Bankitalia con l’ex-ad della B.P.I. (Banca Popolare Italiana, già Lodi)? Questa immagine, tra le altre, ha svolto una semplice funzione illustrativa o, come crediamo, ha invece contribuito sensibilmente al “rinforzo” delle tesi sostenute in diversi articoli di stampa? E, in tal caso, in che modo? Con in mente questi interrogativi, oltre ad altre questioni, si tenterà di fornire una prima risposta a queste domande cercando di tratteggiare le plausibili sinergie createsi tra i testi scritti e quelli visivi. La recente vicenda della pubblicazione delle intercettazioni telefoniche che ha interessato il Governatore pro tempore della Banca d’Italia Antonio Fazio offre anche lo spunto per alcune considerazioni sulle immagini fotografiche – non molte, in verità – comparse sulle prime pagine di diversi quotidiani nazionali; una carenza visuale di norma compensata nelle pagine interne dedicate all’approfondimento; ambiti dei quali, tuttavia, in questa sede, non ci si occuperà. In questo piccolo contributo personale, inoltre, non esprimeremo ulteriori valutazioni sulla vicenda né giudizi riguardo alle notizie pubblicate, soffermandoci piuttosto su taluni aspetti inerenti ai processi di costruzione di queste ultime, con un’attenzione specifica a ciò che concerne l’ambito iconografico. Ci dedicheremo, dopo un primo sguardo di carattere più generale, ad una breve analisi prioritariamente concentrata sulla fotografia che accompagna questo testo, apparsa sulle prime pagine di alcuni importanti quotidiani nazionali – tra i quali il “Corriere della Sera”, “La Repubblica”, “La Stampa” e “L’Unità” – tra il 27 luglio e il 3 agosto 2005. La scelta di questo intervallo temporale è motivata dal fatto che il periodo è stato caratterizzato dall’emergere del “caso”, in seguito alla divulgazione (il 26/7/05) di una conversazione telefonica che sarebbe intervenuta (il 12/7/05) tra il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio e l’amministratore delegato della Banca Popolare Italiana (ex-Lodi) Gianpiero Fiorani successivamente sospeso dalla magistratura, e della successiva evoluzione della vicenda sino alla riunione del Consiglio dei Ministri del 3/8/05, poi conclusosi con la convocazione del C.I.C.R. (il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio), organo del quale fa parte anche il banchiere centrale.
Ma prima di entrare più nel vivo dell’analisi, tentiamo di fare qualche riflessione, innanzi tutto, riguardo al mondo delle immagini nel suo insieme.
Le immagini, sebbene ciò non sia sempre così chiaro a tutti, possono veicolare ambigui messaggi silenziosi proprio sfruttando l’apparente, quanto paradossale, mutismo che le caratterizza. Un’afonia che, non di rado, può portare talvolta significativamente lontano dalla corretta lettura della realtà cui l’immagine farebbe riferimento facendola divenire, in qualche caso anche involontariamente, uno strumento di inganno piuttosto che di verità. Rispetto al vero che rappresenterebbe, l’immagine, in ogni caso, risulta essere sempre qualcosa di diverso non potendosi mai annullare completamente la “differenza”, sebbene questa sia talvolta davvero sottile, tra il rappresentato e la sua rappresentazione visibile. Quest’ultima, comunque, non sarà mai la riproduzione esatta del soggetto riprodotto, altrimenti non si distinguerebbe un (s)oggetto originale dalla sua riproduzione, bensì soltanto la sua eventuale “copia”, a prescindere da quanto possa essere o meno verosimilmente conforme al raffigurato originario.
L’istantanea fotografica – la fotografia tout court per molti – ne è un valido esempio, in particolare nel caso del suo utilizzo nell’ambito del fotogiornalismo tradizionale e delle sue evoluzioni mediatiche più recenti all’interno di media quali la tv e la rete.
Prescindendo, tuttavia, dal medium ospitante, l’uso delle immagini fotografiche è tradizionalmente legato alla classica funzione di “rinforzo” di un testo scritto o parlato, ove il “testo” sia considerato nell’accezione attribuitagli dalla semiotica quale contenitore di elementi di significazione.
Ciò detto, per quanto apparentemente mute, le immagini, in realtà, “parlano”, comunicando senso anche oltre le intenzioni del loro eventuale autore o utilizzatore. Le immagini, in effetti, sono in grado di dare vita ad un vero e proprio paratesto, ad uno o più discorsi paralleli in relazione ai quali, di norma, la frazione scritta svolge un’importantissima funzione di indirizzo semantico riguardo al possibile inquadramento interpretativo. Non dovrebbe stupire, quindi, in assenza di indicazioni “esterne” che guidino la “lettura”, l’emergere di sensazioni di spaesamento di fronte ad immagini che – per la loro apparente cripticità superficiale o, all’opposto, per la molteplicità di significati veicolati – non consentono di comprenderne appieno il relativo contenuto simbolico.  A questo pericolo potrebbero non sfuggire nemmeno quelle immagini fotografiche talmente stereotipate da apparire, almeno a prima vista, praticamente “letterali” come, ad esempio, le comuni “fotografie di famiglia” che chiunque, un po’ ovunque, realizza. Anche queste ultime, infatti, nonostante la presenza di un bagaglio simbolico apparentemente chiaro e scontato, possono comunque prestare il fianco ad un utilizzo talora distorto, un uso di parte magari fondato su motivazioni ideologiche che, premeditatamente, antepongono le conclusioni alle premesse per tentare di difendere un assunto che rifletta eventuali forme di pregiudizio. Tali preconcetti, dato il mutismo congenito di ogni fotografia, debbono comunque essere veicolati dall’esterno verso l’interno dell’immagine e ad essa “riadattati”. A tal fine, può risultare sufficiente anche solo una (semplice?) didascalia apposta vicino alla rappresentazione visuale. Analogo è il discorso relativo ai singoli elementi formali significanti contenuti all’interno dell’immagine che, per poter significare in seno ad un determinato patrimonio simbolico comune (si pensi, ad esempio, alla morale), debbono anch’essi necessariamente rinviare ad un insieme significante posto sempre “fuori” dalla raffigurazione. Se non si attiva un proficuo interscambio tra l’esterno e l’interno, l’immagine può divenire talmente trasparente da risultare persino invisibile a qualsiasi sguardo.
L’immagine, in sostanza, può esprimere tutto e nulla al tempo stesso se non è “circondata” e/o preceduta da un adeguato humus simbolico che le dia senso, valore e, in definitiva, la possibilità di potersi esprimere.
Le immagini relative all’attualità ormai onnipresente nei moderni reportages mediatici, data la loro natura di (plausibile) frazione della “realtà” fondata sull’imprescindibile relazione metonimica che intrattengono con il mondo concreto, sono l’esempio classico al quale si può fare riferimento, essendone ciascuno di noi apprezzabili, se non accaniti “consumatori”.
Della cruciale importanza di questo tipo di strumento comunicativo i media sono da sempre ben consapevoli, innanzi tutto perché comunicare bene per un medium vuol dire sopravvivere e diffondere meglio i propri valori di riferimento, a maggior ragione nella selva mediatica contingente. Il rischio, infatti, che il messaggio veicolato non giunga al destinatario o faccia emergere forme di “decodifica aberrante” legate a difficoltà di comprensione o, addirittura, di rifiuto da parte di audience avverse è sempre presente e, talora, persino in parte inevitabile, come può essere nel caso di mezzi di comunicazione c.d. “generalisti”, piuttosto che “di nicchia”.
Quale che sia il canale comunicativo, la fotografia può, in ogni caso, assolvere ad una strategica funzione di collante tra i significati contenuti in un testo scritto e i relativi significanti di un eventuale soggetto “reale” ad esso collegato, rappresentandone una sorta di virtuale quanto incisiva protesi iconica e, al tempo stesso, un’estensione intellettuale.
Considerata, dunque, la “forza” potenziale di ogni immagine dovrebbe far riflettere, tra le altre cose, l’iniziale e significativa assenza di immagini fotografiche dei protagonisti di questo “caso” – e ancor di più quelle dedicate ad uno dei suoi attori più noti: il banchiere centrale Antonio Fazio – sulle prime pagine di alcuni importanti quotidiani nazionali esaminati nel suindicato periodo di riferimento (quali, i già citati: il “Corriere della Sera”, “La Repubblica”, “La Stampa”, “L’Unità”).
L’ostensione delle fotografie rappresenta, in effetti, uno dei fondamentali artifici del quale possono disporre due o più entità, quali potrebbero essere un giornale e i suoi lettori, per veicolare forme di significato in ordine ad una determinata tematica.
La fotografia, inoltre, è da sempre anche una specie di lingua franca universale che svolge un’importante funzione di collegamento tra lo spettatore, l’utilizzatore, l’autore ed il “suo” soggetto originario.
La riflessione può essere ulteriormente integrata se si tiene conto, nell’ambito delle attività produttive di newsmaking, di un altro fondamentale elemento: la notiziabilità dell’evento. Ricco, evidentemente, in termini di contenuto, questo “caso” ha forse manifestato qualche carenza in termini – qualitativi, crediamo, e non quantitativi – di reperibilità del prodotto (visuale), scontando la plausibile indisponibilità di immagini “fresche” adatte (cioè di forte impatto visivo) ad essere proposte ad un pubblico “generalista” per trasformare la tradizionale (ma, talvolta, statica) prima pagina scritta dei quotidiani in un medium più dinamico e diretto con l’aggiunta di elementi visivi che avrebbero convogliato più agilmente l’intepretazione entro una dimensione simbolica predefinita. Ipotizzata, quindi, l’iniziale penuria di fotografie utili allo scopo, e potendone avere, nel frattempo, di valide relativamente ad altri eventi, ciascuna testata giornalistica ha presumibilmente preferito, piuttosto che puntare sulla scelta di una fotografia qualsiasi (e indefinita) del Governatore e dell’allora ad di BPI, su un titolo – enunciativo o paradigmatico – di grande influsso sul pubblico. In aggiunta ai titoli, e sempre allo scopo di colmare la mancanza di immagini adatte a sostenere la linea politica assunta, non è stata assolutamente trascurabile anche la funzione di “rincalzo” e di “indirizzo” svolta dalle diverse vignette satiriche proposte sempre nello stesso periodo. Tra i news values inoltre, avrà certamente avuto il suo peso anche il tipo di audience al quale giornalisti e redattori hanno virtualmente immaginato di fare riferimento quale possibile destinatario delle loro informative; un audience, presumibilmente, meno “generalista”, per lo meno all’inizio, e, quindi, forse più interessata ai “contenuti” che agli inserti estetici. Anche la competizione per il predominio sul mercato delle vendite ha sicuramente giocato un suo ruolo non trascurabile tra le varie testate, facendo rimbalzare ed amplificare la vicenda, offrendone letture diversificate sia attraverso la frammentazione in una serie di altri sotto-eventi (la cosiddetta “settimanalizzazione della notizia”) sia adottando una pluralità di punti di vista fondata su una più ampia gamma di analisi tecniche, etiche, filosofiche, sociologiche, ecc.
Sono questi, in sintesi, alcuni primi elementi utili a chiarire in parte – non escludendo anche qualche plausibile cautela adottata dalle redazioni delle testate – le ragioni che hanno condotto verso un rarefatto uso iniziale di fotografie dedicate al “caso” da proporre in prima pagina, preferendo, invece, un utilizzo più ampio e sciolto di immagini di repertorio, talora persino di fotomontaggi, solo nelle pagine interne dei quotidiani.
Tutto ciò, comunque, non sembra ancora sufficiente ad interpretare compiutamente le ragioni che hanno poi determinato il riutilizzo ripetuto della ormai famosa fotografia che accompagna, oltre ad averle ispirate, le riflessioni contenute in questo testo.
Aggiungiamo, quindi, qualche altro elemento di riflessione.
La ripresa fotografica che ritrae Fazio e Fiorani è stata riutilizzata più volte – e, talora, persino rivalutata, come nel caso de “La Repubblica” che l’ha “promossa” dalla seconda pagina del 27/7/05 alla prima del 3/8/05 – riapparendo proprio il 3 agosto 2005, giorno in cui era prevista la riunione dell’Esecutivo. La ricomparsa, e questo sembra essere un altro elemento rilevante, è avvenuta contemporaneamente sulle prime pagine di diverse testate ove l’immagine è stata presentata con la sola differenziazione formale di qualche variazione nelle dimensioni e nella forma del “taglio” prescelto (quadrata o rettangolare). E’ probabile, crediamo, che non si sia trattato di una coincidenza, bensì, usando un termine persino abusato ultimamente, di un “concerto”.
Ma, prima di tentarne una lettura più approfondita di questa immagine, proviamo a riesaminarla meglio.
L’immagine, innanzi tutto, colpisce già al primo sguardo perché si discosta dalle tante riprese in stile “fototessera” che sovente vengono utilizzate per accompagnare articoli in campo economico.
In questa fotografia, osservando gli elementi formali tangibili ci troviamo, in effetti, di fronte ad una posa più dinamica, vicina alle comune immagini di reportages con protagonisti diversi e apparentemente in movimento. Le persone ritratte nella fotografia, almeno quelle di cui si vede completamente il volto sono tre, se escludiamo una quarta figura in parte coperta: sulla sinistra dell’inquadratura è visibile il Governatore di Bankitalia, a destra l’ad (poi sospeso) di BPI e al centro una terza persona a noi sconosciuta, l’unica che peraltro sembra guardare verso l’obiettivo, della quale le varie didascalie che accompagnavano la fotografia non rivelano però l’identità, probabilmente perché si tratta di un soggetto terzo, estraneo alla vicenda. L’immagine è stata presentata quasi sempre nel formato del cosiddetto “mezzobusto”, dove i soggetti ripresi risultano inquadrati dal viso al torace, come di norma accade per i conduttori dei telegiornali, visibili, solitamente, solo per metà della figura (close medium shot). Ha rappresentato un’eccezione a questa ricorrente inquadratura la pubblicazione su “L’Unità” del 28/7/05 – testata che, verosimilmente, detiene anche il primato della diffusione in prima pagina di questo “fortunato” scatto “Ansa” – nella quale i protagonisti sono inquadrati quasi per intero, sul modello del “piano americano” (three quarter shot), essendo un’inquadratura che include anche le zone del corpo comprese tra la vita e le ginocchia dei soggetti fotografati.
Questa fotografia, quasi a voler integrare il vuoto simbolico tracciato dall’assenza visuale dei giorni precedenti, è, inoltre, molto densa ma, come ogni immagine, ambiguamente “letterale” per via dei suoi contenuti apparenti.
Anche per tale ragione, è utile soffermarsi ancora proprio sulle componenti estetiche dell’immagine e alle relative e plausibili implicazioni di senso alle stesse riconducibili. E per estetico si intende non tanto un tradizionale “studio del bello” che, sebbene risulti interessante essendo un aspetto connaturato ad ogni rappresentazione non rientra tra gli intenti di questo scritto, quanto la dimensione visuale tangibile degli elementi formali della fotografia.
Ma a quali di queste componenti estetiche potremmo ulteriormente far riferimento?
Innanzi tutto a quelle che sembrerebbero più evidenti.
Tra queste, la fotografia ci “testimonia” la compresenza di entrambi i protagonisti del “caso” in un determinato contesto spazio-temporale (risultato essere il Forex di Lodi secondo quanto riportato da “La Repubblica” del 27/7/05, p. 2). E non inquina il valore “certificativo” dell’immagine, anzi sembra amplificarne la funzione documentaria dell’istantanea, la circostanza che nella fotografia risultino esserci altre “comparse”, sebbene non in primo piano. Queste sembrano però avere un ruolo secondario, quasi di “figuranti”, probabilmente perché estranei al “caso” malgrado sembrino rivolte anch’esse verso il punto di probabile ripresa della fotografia. E, nonostante condividano apparentemente la stessa destinazione dei due protagonisti più noti presenti in prima fila risultano poi, di fatto, letteralmente oscurati da questi, evidentemente capaci, grazie all’interesse che li circonda, di “bucare lo sguardo” dell’osservatore. E poco conta, tanto è catturata l’attenzione dell’osservatore verso gli attori più conosciuti, il fatto che, come si è detto, uno di questi “personaggi” (quello al centro della foto) arrivi persino “a guardare in macchina”, ovvero verso l’autore della ripresa; colui che, al pari di Medusa, ha “pietrificato” in questa fotografia i protagonisti di quella scena reale.
Sono implicazioni, queste, che ciascuno, di solito, svolge in un arco temporale brevissimo, se non addirittura istantaneo. Velocità che, inevitabilmente, non può non contare che sul “già noto” e, quindi, prima di tutto sul sostrato di valori veicolati dalla testata stessa e, più in generale, sulle prese di posizione espresse dagli altri media che, di volta in volta, hanno ospitato questa fotografia o si sono occupati della vicenda. Tutto ciò rende ancor più evidente quanto sia fondamentale, affinché una fotografia significhi qualcosa, che “intorno” all’immagine sussista un sottofondo simbolico di riferimento dal quale poter attingere significato.
Tornando alla “nostra” fotografia dopo questa prima carrellata complessiva, tentiamo ora brevemente di immaginare quale altro elemento di ragionamento può aver portato la redazione di un giornale a scegliere proprio quell’immagine. Come è possibile, si saranno chiesti, evidenziare che i protagonisti principali dell’immagine si conoscevano bene tra di loro o, quanto meno, che potevano aver avuto qualche contatto tra di loro in precedenza? La soluzione è stata individuata nella carica di pathos tipica di ogni immagine: la fotografia, in particolare, non sembra essere mai “indifferente”, potendo veicolare sempre una certa tensione emotiva verso qualcuno o qualcosa. Questa connessione non sempre risulta evidente, benché esista sempre da qualche parte, “al di fuori” della superficie visibile. Ecco, dunque, che “verificare” attraverso una fotografia che l’amministratore delegato (all’epoca ancora in carica) di una banca commerciale – e, pertanto, sottoposta alla vigilanza della Banca d’Italia – compare nell’atto di comunicare qualcosa al Titolare della “Banca delle banche” in un atteggiamento di visibile cordialità e calore, non può non far sorgere il dubbio, alimentato dal “rumore di fondo” della cronaca giornalistica contingente, che esita una possibile “connessione” tra i due banchieri. Si tratta, plausibilmente, di un elemento dirompente, che, nel quadro complessivo, finisce per rimarcare ulteriormente il contenuto già abbastanza sovversivo delle nuove intercettazioni pubblicate proprio il 3/8/05 in aggiunta alle precedenti rese note il 26/7/05.
Proseguendo, possiamo inoltre sottolineare un altro elemento di rilievo, ovvero che l’immagine non è stata quasi mai accompagnata da alcuna indicazione relativa alla sua provenienza (data, luogo, circostanza d’origine, ecc.), privando così (volutamente?) lo spettatore di informazioni preziose riguardo al fatto che non si tratta di una ripresa “fresca”, bensì d’archivio, in quanto relativa ad un incontro (definito, da “La Repubblica”: “storica passeggiata”) avvenuto precedentemente durante la citata riunione lodigiana del Forex.
E la didascalia ricorrente, e questo è un altro aspetto importante, ci ricorda che l’immagine, nella quale si è già detto che compare ben visibile anche una terza figura sconosciuta, è quella che ritrae – e, pertanto, condensa simbolicamente tutta la vicenda che li ha interessati – la coppia Fazio-Fiorani. E’ emblematico, quindi, come, anche in questo caso, una dicitura esplicativa, assolvendo a quella che abbiamo già individuato come una funzione di indirizzo dell’interpretazione, si insedi nella nostra memoria come la “lettura” più corretta di una data immagine. Quel che ricordiamo di una fotografia vista in precedenza, in effetti, è spesso proprio la sola didascalia; un insieme simbolico, ricordiamolo ancora, “esterno” all’immagine e, pertanto, non sempre indenne da preconcetti politici, ideologici e, più in generale, culturali.
Ne deriva che l’accostamento in questa immagine non recentissima dei due protagonisti di una vicenda così delicata e la sua presentazione reiterata al pubblico depongono per un utilizzo che non poteva (o, forse, non voleva) risultare affatto neutro, così come – ingenuamente, crediamo – ci si attenderebbe da una (comune?) fotografia. L’immagine, tutt’altro che una “comune” fotografia, sembrerebbe invece riassumere in sé le prese di posizione – che, ripetiamolo, non sono qui in esame se non in relazione all’uso strumentale che ne è derivato per la ripresa fotografica in argomento – che risultano, oltre che estrinseche all’immagine, anche distanti dall’autentico reale che questa fotografia veicolerebbe, essendo stata realizzata in un altrove significativamente distante nel tempo e nello spazio e, perciò, “riadattata” per necessità, in mancanza materiale visuale altrettanto valido.
Il ruolo della fotografia sembra essere stato circoscritto, in questo caso, a quello di mero strumento funzionale ad uno scopo ideologico specifico che, nei diversi articoli dedicati al “caso”, viene poi più o meno dettagliatamente e ampiamente illustrato.
Se così non fosse stato, i due protagonisti avrebbero potuto benissimo essere presentati anche isolatamente ma, evidentemente, le relative immagini non sarebbero risultate altrettanto adeguate al vero e proprio “rinforzo” che, crediamo, questa fotografia doveva effettuare, fungendo da ulteriore amplificatore visuale delle argomentazioni estesamente sostenute nei testi scritti. La circostanza, poi, della ricomparsa contemporanea di quell’immagine su diversi giornali proprio nel giorno (il 3/8/05) della prevista riunione del CdM tende a ridurre ogni eventuale dubbio riguardo a quale potesse essere, in definitiva, il significato che il linguaggio silenzioso della fotografia doveva veicolare.
Per vari aspetti, anche questa fotografia, da originario strumento di verità quale poteva essere considerato nell’epoca positivista delle sue origini ottocentesche, si è trasformata, emblematicamente, in un veicolo ambiguo e insidioso a causa dell’uso apparentemente “mirato” dell’intrinseca polisemia caratteristica di questa, così come qualsiasi altra immagine.
Un utilizzo che, a volerlo leggere asetticamente – essendo in linea con il “contenuto” dei numerosi articoli dedicati alla vicenda – non sembra stridere, in effetti, sotto il profilo della coerenza complessiva.
Alla luce di tutti questi elementi può forse risultare già più chiara l’interazione sinergica che si è sviluppata tra i diversi contenitori di senso (la fotografia e i testi) utilizzati nel periodo cui si fa riferimento. Più nello specifico, appare maggiormente evidente che quell’immagine ha svolto una non irrilevante funzione fatica ed enfatica nei confronti del probabile audience di riferimento riguardo a quanto più dettagliatamente esplicitato per iscritto dai vari autori degli articoli pubblicati. Lo scambio sinergico che è stato tentato – e, in parte, certamente realizzato – è stato proprio quello di trasferire significati dall’ambito linguistico inerente la parola all’immagine fotografica. Questa significazione, fatta aderire più o meno artificiosamente alla fotografia, è sembrata poterla finalmente liberare dal suo mutismo primitivo, restituendocela, infine, carica di connotazioni simboliche, ovvero quelle sposate dalle varie testate che hanno pubblicato questa fotografia.
Ne è nato un intrigante circolo ecologico testuale-visuale del quale questa (apparentemente ordinaria?) fotografia, più delle altre pubblicate nel periodo preso in esame, è divenuta la drammatica e simbolica espressione rappresentativa e, di fatto, l’immagine-simbolo.
Nel testo che segue, proponiamo, infine, anche una piccola riflessione dedicata ad un’altra significativa immagine (fonte AP) comparsa in prima pagina nel citato periodo 26/7-3/8/05. La fotografia ci ha colpito, anch’essa, per le relazioni tra l’ambito testuale e quello visivo già accennate precedentemente.
Si tratta della fotografia pubblicata su “La Stampa” il 28/7/05. L’immagine del Governatore, di media grandezza, compare in alto a sinistra, sotto un titolo tendenzialmente enunciativo con caratteri “a bastoncino” (“Fazio si difende ma è sotto tiro”), accompagnata da una breve didascalia esplicativa che rinvia agli articoli di approfondimento all’interno. La fotografia è poi seguita, più in basso, da un “editoriale” con un titolo che, all’opposto del precedente, è invece fortemente paradigmatico (“Un papa può bastare”). L’immagine, un “mezzo primo piano” (semi close-up) di Antonio Fazio – e che sia proprio di lui, per quanto possa sembrare superfluo dire chi è trattandosi di un personaggio pubblico molto noto, lo ricorda proprio una didascalia e cioè, come si è già accennato, un medium esterno alla fotografia che rimanda ad universi simbolici altrettanto estrinseci – che, focalizzandosi sulla testa e le spalle, enfatizza l’espressione del volto di una persona all’apparenza assorta nei suoi pensieri.
L’immagine, infatti, ci propone un ritratto frontale del numero uno di Bankitalia con l’indice della mano destra poggiato alla sua tempia. Un gesto che sembra emblematicamente rievocare (un’altra coincidenza, forse?) quell’essere “sotto tiro” del banchiere centrale italiano relativo al primo titolo citato o chissà cos’altro, anche di peggiore.
Lo sfondo visibile nell’immagine proposta, grazie al suo essere “fuori fuoco”, gioca un ruolo non secondario favorendo una migliore concentrazione dell’osservatore, non distratto da elementi di contorno che, in questo caso, sarebbero potuti risultare pregiudizievoli per la “corretta” interpretazione della fotografia.
Rivolgendo, infine, ancora un ulteriore sguardo agli elementi formali presenti potremmo notare, inoltre, che l’immagine è stata volutamente inserita, in linea con la consolidata tradizione del giornalismo anglosassone tendente a separare i fatti dalle opinioni, tra due differenti sezioni, non a caso simbolicamente contraddistinte anche dall’uso di caratteri tipografici distinti (bastoncino vs graziato): la prima dedicata all’enunciazione dell’evento (ovvero: la difesa di Fazio e il suo essere sotto pressione), la seconda dedicata al critico articolo di “spalla” che commenta la vicenda in argomento ed esprime il punto di vista del quotidiano torinese.
Anche in questo caso, un’immagine di archivio, realizzata chissà dove e chissà quando (ciò, infatti, non ci viene indicato) è stata utilizzata per farne veicolo strumentale di tesi – che, ripetiamolo ancora, ci interessano solo quale pre-testo per l’uso della fotografia – che, con essa, non hanno legami apparenti pur assumendone, allo sguardo dello spettatore, di forti e, soprattutto, immediati.

La forza delle immaginiultima modifica: 2007-03-22T17:40:00+01:00da
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