Fotografia, comunicazione, media e società

Le immagini della tragedia umana diffuse da Medici Senza Frontiere

Alcuni “sguardi” del Premio Nobel per la Pace sul mondo sofferente delle “crisi dimenticate”
di Gerardo Regnani
gerardo.regnani@tin.it
28/09/2005
Quale può essere il bagaglio reale e simbolico di un’immagine fotografica? E quale può essere il relativo valore documentale? Le fotografie diffuse da Medici Senza Frontiere con la rassegna stampa annuale possono essere considerate un esempio significativo di come una fotografia possa divenire il portavoce e, insieme, il lacerante amplificatore di talune dolorose problematiche sia locali che internazionali. Problemi che, nonostante la loro dimensione e gravità, riescono purtroppo solo di rado ad entrare adeguatamente nell’agenda quotidiana dei media, interessati, piuttosto, a promuovere interessi politici ed economici ritenuti, ovviamente, prioritari.

L’annuale rassegna stampa pubblicata da Medici Senza Frontiere (MSF), come è ormai tradizione per quest’Associazione, presenta tutta una serie significativa di fotografie* e di articoli apparsi su differenti testate relativi ad alcune delle principali questioni che vedono coinvolta questa celebre organizzazione internazionale, tra le quali: quelle relative ai profughi, ai migranti, all’Aids e, trasversalmente, a tematiche relative alle cosiddette “crisi dimenticate”. Tutte ombre – analoghe, per certi versi, ai “fantasmi” raffigurati nella raccolta di immagini in b/n che accompagna questo testo – di questioni troppo a lungo lasciate cadere nel dimenticatoio.
La drammatica eloquenza e il valore documentale di talune di queste immagini, con tutto il doloroso carico di sofferenza che le caratterizza, sembra apparire evidente a qualunque sguardo; una visione resa ancor più pregnante dall’autorevolezza e serietà dell’organizzazione internazionale che le ha diffuse. Esse, sebbene sembrino incapaci di “parlare” da sole, riescono, tuttavia, ad esprimersi con forza facendo leva sia su un humus culturale già presente nel pubblico, tra cui tutto quanto quello che è “già noto” ad ognuno riguardo alle aree di crisi mondiali, sia sul contenuto degli articoli di stampa che corredano la rassegna annuale. In uno di questi, un articolo di Anais Ginori pubblicato quest’anno su “la Repubblica”, MSF accusa in modo netto e chiaro lo scarso spazio dedicato dalla televisione alle dieci più gravi crisi mondiali che non supera, in totale, il quarto d’ora; vanno escluse da questo calcolo le aree afghane e irachene, la cui “visibilità” è risultata, in ogni caso, soltanto parziale. Nulla, comunque, si pensa all’attenzione rivolta invece a tanti altri ambiti, sovente di minore e talvolta discutibile interesse generale. Eppure, secondo uno studio di MSF realizzato in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia e Orao-News nel secondo semestre 2004, le cifre delle aree di crisi sono semplicemente impressionanti: in Somalia sono state stimate in 5 milioni le persone che vivono senza avere né acqua potabile né assistenza sanitaria; in Etiopia è risultato essere di 1 a 10 il rapporto dei bambini che non muoiono prima di compiere un anno di vita; in Liberia sono state 2.000 le vittime causate dagli scontri che hanno interessato la capitale; in Congo 150.000 persone hanno dovuto mettersi in fuga per non rischiare la vita durante i combattimenti avvenuti nel paese; la Colombia ha avuto 3 milioni di persone sfollate; in Indonesia la mortalità infantile ha raggiunto i 45 casi ogni mille; in Burundi solo l’1% della popolazione ha avuto un reditto pro-capite superiore ad 1 dollaro al giorno; in Afghanistan soltanto un terzo della popolazione è risultato accedere all’assistenza medica di base; in Uganda, ad esclusione di un 20%, il resto della popolazione vive in condizioni di miseria dilagante. Se non bastasse, MSF ha anche segnalato che malattie come la tubercolosi sono in grado di causare 1 morto ogni 15 secondi; questo flagello, di fatto, è il decimo componente (virtuale?) di questa triste classifica.
Il quadro di dolore e di privazione veicolato tanto dalle fotografie quanto dai testi scritti è evidentemente scioccante ma, in realtà, ancora insufficiente ad abbattere il muro di complice “silenzio” dei media; una barriera che finisce col divenire un alleato prezioso della prevaricazione e della brutalità che, tanto spesso, sono alla base della degenerazione di molte delle crisi cui questi “documenti” fanno riferimento. Come si è già anticipato, rappresenta un’eccezione, in questo sconfortante panorama mediatico, soltanto l’Iraq seguito, a distanza, dall’Afghanistan, sebbene i relativi servizi giornalistici, più che delle condizioni della popolazione, siano stati prevalentemente orientati verso altre sfere d’interesse: la politica, il terrorismo, gli eventi bellici, ecc..
Ma non è solo di questo che sono portavoce queste immagini. Esse intendono “avvicinarci” anche ad altre terribili realtà, quale quella del Darfur (Sudan) ove, secondo quanto riportato da “la Repubblica”, “Io donna” e “Avvenire” nel corso del 2004, la guerra ha generato milioni di profughi, in prevalenza donne e bambini, costretti poi a vivere ammassati in campi quale quello di Murney (West Darfur) nel costante timore dell’esplosione di epidemie e delle incursioni degli “squadroni della morte”. Il panorama è ancora più terrificante se si pensa che atti come la tortura o lo stupro sono pane quotidiano del conflitto in atto in quella terra martoriata. Le donne vittime di violenze sessuali, inoltre, non di rado sono persino restie a denunciare gli abusi subiti per non correre il rischio, nell’ambito della propria realtà sociale, di aggiungere danno a danno rischiando finanche di essere emarginate dalla propria comunità, o addirittura arrestate, anziché aiutate dopo essere state violentate.
Le fotografie di MSF ci ricordano anche che l’azione di questa organizzazione non sempre trova contesti ben disposti ad accoglierla. Il caso dell’Afghanistan è emblematico al riguardo: MSF, come ha segnalato Mimmo Candito su “La Stampa” nel 2004, è stata costretta ad abbandonare l’area dopo che, a partire dal marzo 2003, erano stati uccisi oltre trenta dei suoi volontari. Le nuove realtà della guerra sembrano non distinguere più, ormai, tra operatori di pace e soldati, colpendo molto spesso indiscriminatamente e, quindi, “nel mucchio”, a dispetto di qualsiasi convenzione internazionale del diritto e senza mostrare alcun rispetto per la vita umana altrui, compresa quella degli appartenenti ad un’organizzazione umanitaria come MSF.
Ma anche di tragedie provocate dalla natura – talvolta stranamente “umana”, quanto a brutalità – ci “parlano” le dense immagini di MSF. Si fa riferimento, in particolare, alla devastazione provocata il 26 dicembre 2004 dallo “tsunami”. A seguito di quell’evento, MSF ha chiesto, paradossalmente, di interrompere l’invio di donazioni in quanto il loro ammontare complessivo aveva superato – grazie soprattutto ad una favorevole campagna mediatica – la capacità di impegno dell’associazione, allora stimata in 40 milioni di euro. I donatori, come può testimoniare anche chi scrive, sono stati pertanto invitati a fare donazioni per altre cause o ad autorizzare il “dirottamento” delle cifre già donate verso altri fronti di crisi; una manifestazione di correttezza e trasparenza gestionale che, crediamo, abbia lasciato il segno.
C’è, però, un’altra “guerra non dichiarata” di cui si sono ancora dolenti ambasciatori le fotografie e i testi della rassegna di MSF: è la tragedia dell’Aids. Si tratta, come ci ricorda Caroline Laurent per un numero di “Elle” del 2004, di un vero e proprio sterminio di massa che da 20 anni miete vittime ogni giorno, senza distinguere tra uomini, donne, bambini. Basti pensare che nella sola Africa si contano 30 milioni di persone infettate dal virus. Al problema umano si aggiunge quello economico, fatto di realtà già fortemente provate economicamente che, giorno dopo giorno, vedono aumentare il numero di morti per Aids. Sul fronte dell’assistenza la situazione è altrettanto sconfortante, tra problemi connessi con il traffico di medicinali, la contraffazione dei prodotti, il costo talora eccessivo, l’attesa infinita per un vaccino (almeno dieci anni, si pensa), le difficoltà della distribuzione nelle aree isolate e, non ultime, la carenza di strutture e di formazione del personale locale.
A tutto ciò, occorre infine ricordare che le emergenze sulle quali queste immagini intendono farci soffermare non sono solo qualcosa di esotico, ovvero relativo alle realtà di paesi lontani. Esiste, in verità, anche una drammatica realtà tutta italiana della quale si è occupato MSF: la condizione sanitaria dei lavoratori stagionali impiegati prevalentemente nel campo dell’agricoltura, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia. Il rapporto, intitolato “I frutti dell’ipocrisia. Storie di chi l’agricoltura la fa. Di nascosto” e ripreso in un dettagliato articolo de “Il Sole 24 Ore” realizzato da Manuela Perrone nel 2005, evidenzia tutta la gravità di un fenomeno che interessa un vero e proprio “esercito di fantasmi, invisibili, ignorati e privati dei diritti più essenziali” che presta la propria opera nelle campagne del Sud dell’Italia come “stagionale”. L’allarmante denuncia di MSF precisa che, su 770 lavoratori visitati nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia – su un totale probabile valutato in 12.000 – solo il 5,6% è risultato essere in buone condizioni di salute.
Ecco, dunque, in sintesi cosa può veicolare e “dirci” ogni immagine fotografica, specialmente se la fonte è considerata autorevole ed affidabile, come crediamo sia nel caso di MSF. La fotografia, in questo caso, diviene un’autentica personificazione simbolica della nostra distanza dall’esperienza concreta che il reporter di MSF, avendo effettuato le riprese, ha invece vissuto personalmente.
Ciascuna di queste istantanee ne è un emblematico e toccante condensato.
Ognuna di esse è, quindi, anche una sorta di strategico cordone ombelicale che alimenta la nostra memoria, tentando di contrastare la dissoluzione di quelle dolorose dimensioni del mondo tanto spesso rese impercettibili dalla loro ricorrente esclusione dall’agenda dei media. Ma la forza del fermoimmagine fotografico sembra poterci restituire quella memoria altrimenti dissolta, riorientando – si spera – il nostro e l’altrui agire futuro.
L’immagine fotografica, sebbene l’atto del fotografare non ci possa garantire in assoluto un repertorio di ricordi, è ancora comunemente considerata una forma di memoria tout court. Risulta, infatti, tuttora strettissimo il legame che intercorre tra la memoria e la fotografia. Questa dimensione, potremmo aggiungere, è in realtà connaturata proprio con l’atto fotografico medesimo, capace, come è da sempre, di stimolare il processo della memoria già a partire dal momento stesso in cui viene effettuato. Queste immagini, inoltre, sembrano rammentarci un’altra componente drammatica delle fotografie, ovvero il loro divenire, subito o nel tempo, vere e proprie “testimonianze”.
Di fronte alla complessità e al valore della memoria rispetto al semplice ricordare, i grandi “documenti”, quelli che sembrano capaci di esprimere al meglio un uso “maturo” ed onesto del medium, divengono un punto di riferimento tangibile per la tutela e la salvaguardia della Storia.

Le immagini della tragedia umana diffuse da Medici Senza Frontiereultima modifica: 2007-03-22T17:45:00+01:00da
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