Fotografia, comunicazione, media e società

Il pathos della fotografia

La forte tensione emotiva delle istantanee
di Gerardo Regnani
gerardo.regnani@gmail.com
Roma, 22/12/2006

G. Regnani, s.t.,1991

La valenza comunicativa della fotografia, come evidenzia la serie proposta qui di seguito riguardante alcuni recenti casi di utilizzo, ma anche di “riutilizzo”, da parte dei media di certe immagini fotografiche, è nuovamente riemersa in tutta la sua evidenza. Nel testo che segue, dopo una breve sintesi degli eventi ai quali si fa riferimento ed alcune altre riflessioni sulla “lettura” delle immagini, ci si sofferma anche su un elemento comune a tutte le fotografie, ovvero la costante capacità di emozionare grazie ad un intenso quanto immateriale carico di pathos.

1. L’attenzione dei media sull’immagine di Isabelle Dinoire, la donna francese di 38 anni che il 27 novembre 2006 ha subito il primo trapianto parziale di faccia ha confermato, ancora una volta, la potenza comunicativa delle immagini. Le relative cronache giornalistiche, infatti, hanno riferito di una folla di giornalisti, fotografi ed operatori tv provenienti da tutto il mondo in fremente attesa per la relativa conferenza stampa, alla quale ha poi partecipato anche Isabelle Dinoire. L’incontro era stato programmato proprio per tentare di allentare la pressione mediatica che si era creata intorno alla notizia dello straordinario intervento chirurgico. L’immagine messa a disposizione con il ritratto della donna operata, così come quella precedente all’evento che le aveva deturpato il viso, con tutto il loro denso carico di segni, hanno ovviamente fatto il giro del mondo, stimolando ovunque riflessioni di varia natura sul caso.
2. Di nuovo delle fotografie, e in particolare dei ritratti fotografici, sono stati il veicolo che hanno accompagnato la diffusione e i relativi commenti alla notizia della morte dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet. Un’immagine, quella di Pinochet, che, per la triste fama che ancora circonda la figura dell’ex capo di governo, si è rivelata essere anch’essa caratterizzata da una fortissima tensione emotiva. Le manifestazioni e gli incidenti che sono seguiti all’annuncio del decesso ne sono, verosimilmente, un utile riferimento.
3. Sempre a proposito di ritratti, di diverso ambito ma non meno ricchi di rimandi simbolici, significativi sono stati anche quelli dei cittadini “non comunitari” – piuttosto che “extracomunitari” – così come li ha definiti il lessico politicamente sensibile della comunicazione ufficiale del Comune di Roma, in gara per l’elezione nelle liste dei rappresentanti comunali dell’amministrazione capitolina o dei diversi municipi romani. Nella rievocazione di modelli a noi familiari tangibili anche nelle pose scelte, così come nella compresenza in qualche immagine di protagonisti terzi (quali, per fare un esempio, dei bambini), emerge tutta un’intensità sentimentale, oltre che un particolare sostrato culturale che meriterebbe una riflessione a se stante.
4. Immagini di tenore diverso – ma altrettanto emblematiche, per tutta una serie di aspetti tra i quali, non ultimo, c’è anche quello inerente alla funzione sociale delle fotografie che ritraggono i diversi “attori” coinvolti – sono quelle concernenti il caso dell’uso di riprese per presunte estorsioni di denaro a figure note anche nel mondo della politica, oltre che dello sport e dello spettacolo. In quella specifica vicenda, peraltro, la prospettiva riguardante la già richiamata “forza” espressiva delle immagini si arricchisce di un altro aspetto d’interesse, ovvero l’ipotesi di reato connessa con il supposto “riutilizzo” delle immagini finalizzato all’estorsione di denaro alle “vittime” ritratte nelle fotografie in situazioni ritenute sconvenienti. Immagini divenute oggetto di attenzione, oltre che dei media, anche della Magistratura che, al riguardo, ha avviato tutta una serie di indagini, anch’esse fonte di dibattito e polemiche. Tra le dichiarazioni delle “vittime”, oltre ad essere ricorrente la tendenza a negare di aver dato del danaro ad alcuno in cambio delle citate immagini scandalose, emergono pure dichiarazioni nelle quali si sostiene perfino di non aver mai avuto nulla a che fare con la persona con la quale ci si sarebbe trovati ad essere ritratti in una presunta intimità. Nel turbinio che si è generato non è però sembrata emergere, e ciò sembrerebbe quanto meno strano data la situazione creatasi, alcuna ipotesi di creazione artificiosa delle immagini stesse attraverso, per esempio, l’utilizzo di software dedicati. E, volendo aggiungere un ulteriore elemento di riflessione, immaginiamo inoltre in che modo potrebbe evolvere la vicenda se dovesse mai affiorare anche l’ipotesi di qualche eventuale “riciclo” di fotografie nate con una destinazione d’uso originaria diversa, come potrebbe essere nel caso di semplici pose di scena. Riprese magari realizzate precedentemente con qualcuno degli interessati dall’inchiesta nel corso di qualche occasionale passaggio su di un set e, successivamente, fatte passare invece per autentici reportage rivelatori di chissà quali scottanti retroscena. Si tratterebbe, in fondo, di un’evenienza certamente plausibile, perlomeno per quei personaggi del mondo dello spettacolo coinvolti nello scandalo.
Ma, se si escludono supposte falsificazioni o “riutilizzi”, si tratterebbe, al contrario, di immagini effettivamente “vere”? E quale sarebbe, esattamente, la verità che esse svelerebbero?
Quale che sia questa verità non è certo questa la sede in cui verrà rivelata o commentata, essendo già tante le voci che in questo periodo si sono espresse in merito alla nota vicenda.
Evitando, pertanto, di aggiungere ulteriori commenti, è forse più proficuo soffermarsi su un interessante elemento di tipo metadiscorsivo che sembra emergere da questo ennesimo, quanto singolare, caso di “fotogiornalismo”. Anche in questa occasione, infatti, si consolida ancora una volta l’idea che la fotografia sia – in particolare l’istantanea, considerata da sempre come la vera quintessenza della fotografia – un autentico specchio del reale. Ciò premesso, ne deriva che ancora una volta l’apparente verosimiglianza con la “realtà” delle fotografie fa passare in secondo piano l’evidenza che non è forse (o non solo) nell’immagine la presunta verità che essa potrebbe documentare quanto lo è nel “discorso” che ad essa viene, di volta in volta, effettivamente fatto aderire. Detto “discorso”, tra l’altro, chiama in causa anche gli autori delle immagini. Conseguentemente, la ridetta questione dell’autenticità dell’immagine è, di fatto, anche un’implicita valutazione sulle intenzioni di chi ha concretamente realizzato le riprese.
Ecco perché, a seconda della la prospettiva di “lettura” che implicitamente viene indotta, anche il più casto degli abbracci può tranquillamente trasformarsi nel più stigmatizzabile dei gesti, soprattutto se il protagonista è un “attore” che, per il suo status, non avrebbe dovuto o potuto trovarsi in una determinata situazione. Ovviamente, all’opposto, può apparire valida anche l’ipotesi contraria, ovvero quella legata ad un’interpretazione (fraudolentemente) innocente di seri e gravi elementi indiziari di ben altra natura.
Senza addentrarci in esempi specifici, è quindi importante sottolineare quanto sia delicata, in ogni caso, la fase interpretativa dell’immagine.
E’ in quella precisa circostanza che – talvolta anche involontariamente, se si escludono eventuali intenti mistificatori pianificati a monte – possono essere commessi degli errori anche grossolani, orientando conseguentemente in modo erroneo la “lettura” (parziale o totale) di una fotografia in un senso piuttosto che in un altro. Se si pensa, invece, all’ipotesi della malafede, il caso della reinterpretazione (distorta) in chiave ideologica è certamente tra i più plausibili, anche se, in effetti, non sono rari anche i casi di semplice, per quanto non giustificabile, disinformazione. L’ingiustificabilità, ovviamente, è tanto più deplorevole se ad essere a sua volta vittima di ciò è, ad esempio, un giornalista che dovrebbe sempre essere certo, avendone verificato l’attendibilità, di quel che divulga.
Detto questo, spostandosi come anticipato in premessa verso un altro ambito di riflessione, resta ancora da chiedersi cosa potrebbero avere in comune le immagini alle quali si è fatto in vari modi riferimento? Quali potrebbero essere, inoltre, le ragioni che sono alla base dell’invisibile “forza” di attrazione di ciascuna di queste fotografie? Quale è, tra gli altri, l’elemento che veicola maggiormente questa capacità di emozionare tipica di ogni immagine fotografica?
Si può, probabilmente, condensare in una sola espressione riassuntiva la risposta a tutti questi interrogativi in quanto uno degli elementi sempre presente in ogni immagine, capace peraltro di esprimere a pieno l’intensità emotiva di ogni fotografia, è, sostanzialmente: il pathos.
Esso è un fattore di forza e, al tempo stesso, uno degli aspetti critici delle immagini, con influssi tanto spesso rilevanti quanto non sempre positivi. Questi riflessi, possono provocare una tale partecipazione dell’osservatore a livello emotivo, tendente in qualche caso all’espropriazione dell’individualità del soggetto raffigurato, che può finanche arrivare a renderlo vittima di una sorta di un’alienazione dal proprio corpo. In aggiunta a questa conseguenza di tipo “corporeo”, le fotografie possono avere conseguenze anche sulla sfera psichica, in particolare sull’immaginazione. Esse possono, in effetti, condizionare concretamente la sfera d’azione dell’individuo alterandone la sua precedente relazione con se stesso e il contesto sociale di riferimento, ma non solo: si pensi, ad esempio, ai possibili riflessi per il ambiente (la natura) circostante. Questo condizionamento, ove si tracci una sostanziale reificazione del rappresentato, può anche arrivare ad assumere i connotati di una patologia che può oscillare tra l’attraente visione onirica e il vero e proprio stato d’allucinazione.
Le immagini stereotipate, inoltre, per via della loro concentrazione speculativa, si prestano ancor di più di altre ad un utilizzo a fini ideologici. In tali casi, per sostenere ragionamenti tendenziosi, lo scopo del “discorso” contenuto nell’immagine prescelta prende il posto del relativo preambolo. Questo tipo di rappresentazioni sono, pertanto, più povere e “anemiche” rispetto ad altre, essendo sottomesse ad un obiettivo di parte che, di fatto, sottrae alla sua potenziale varietà semantica originaria ogni immagine. L’immagine diviene così un mezzo asservito ad un fine, incatenata in un significato che magari neanche le appartiene e che, tuttavia, veicola, essendogli stato cucito addosso su misura per difendere una determinata idea di parte, spesso concepita anteriormente.
Ogni fotografia, oltre al resto, ha inoltre sempre qualcosa di surreale, trasmettendo elementi riconducibili ad un altra realtà, una dimensione differente dall’immagine stessa che, proprio per il contributo che conferiscono alla carica di pathos tipica di ogni fotografia, la rendono più intensa a livello emotivo rispetto ad una qualsiasi osservazione dal vivo del concreto reale.
L’apparenza anemica di ogni immagine, con il suo rinvio all’inconsistenza dei fantasmi è, infine, anche un richiamo alla morte e a qualcosa che, quale metafora (una sineddoche, in questo caso) di una frazione di un qualcosa che rinvia a qualcos’altro. E’ un rinvio che, comunque, rimanda ad un (s)oggetto che non c’è o non c’è mai stato, del quale si propone come sostituto a tutti gli effetti.
Si tratta di una dimensione ambigua, oltre che piena di insidie, non essendo sempre ben evidente la perenne oscillazione tra oggettività e soggettività di ciascuna rappresentazione visuale. Detto in altri termini, il pericolo (l’immagine, in questo caso), che è di norma associabile all’ambito oggettivo, è tanto maggiore quanto minore è la percezione del  rischio (un’eventuale errata decodifica dell’immagine) che se ne ha. Quest’ultimo (il rischio), infatti, è di solito collegato alla dimensione soggettiva e, quindi, alla sfera valutativa dell’individuo e alla sua capacità interpretativa dell’immagine.
E’ un aspetto del quale occorre tenere conto, mantenendo alta la guardia, sempre.

 

Il pathos della fotografiaultima modifica: 2007-03-23T16:00:00+01:00da
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