Fotografia, comunicazione, media e società

La fotografia del Che

Al Victoria&Albert Museum di Londra l’immagine del Guerrillero Heroico realizzata da Alberto Diaz Korda
di Gerardo Regnani
gerardo.regnani@tin.it
Roma, 08/07/2006

Con la mostra intitolata “Che Guevara: Revolutionary and Icon” viene offerta al pubblico una nuova occasione di riflessione sulla fortunata ripresa fotografica realizzata a Cuba nel 1960. L’evento londinese sarà seguito a breve da un altro contributo sulla popolare figura di Ernesto Guevara de la Serna che sarà ospitato presso il Palazzo Bricherasio di Torino. Nel capoluogo piemontese, nel 1999, l’Associazione Culturale fine aveva già proposto una speciale mostra di grafica dedicata alla rielaborazione della celebre immagine di Korda. Accennando a queste iniziative, tenteremo di tratteggiare anche alcuni degli aspetti che hanno reso così popolare e, al tempo stesso, così peculiare la fotografia del Che.
Il V&A di Londra ospiterà, sino al prossimo 28 agosto, la rassegna “Che Guevara: Revolutionary and Icon”, curata da Trisha Ziff e composta da un migliaio di creazioni – dai poster di protesta agli impieghi più grossolani (vestiario, contenitori, accessori, tatuaggi, confezioni, copertine, illustrazioni, ecc.) – tutte comunque riconducibili alla celebre fotografia raffigurante il primo piano di Ernesto Che Guevara de la Serna.
L’immagine, che secondo un’opinione consolidata è la più conosciuta e duplicata della storia della fotografia, fu realizzata casualmente da Alberto Diaz Korda, il 5 marzo 1960, durante un discorso tenuto da Fidel Castro per commemorare le tante vittime castriste del battello francese La Coubre, saltato in aria grazie all’appoggio dei servizi di intelligence americani.
Questa notissima ripresa fotografica è stata capace di ispirare nel tempo tanto le battaglie contro tutti gli oppressi quanto le opere della Pop Art, divenendo nel tempo preda ideale per ogni possibile forma di riassemblaggio visuale e finendo, conseguentemente, per esser poi riprodotta un po’ ovunque.
Tale uso, così differenziato, ha reso la fotografia del Che una delle più emblematiche rappresentazioni della postmodernità, di volta in volta in grado di ricondurre ad universi simbolici talvolta anche molto distanti e contrapposti tra di loro. In essa, in effetti, sembrano tuttora convivere gli opposti di una raffigurazione divenuta espressione di un mito ormai inossidabile e, insieme, gli elementi caratteristici di un fenomeno tipico della postmodernità, ove, concretamente, possiamo anche notare il progressivo sgretolamento di qualsiasi forma simbolica preesistente, a favore di un “riutilizzo” in una nuova cornice di senso all’interno della quale il simbolo tende a spogliarsi progressivamente di tutto il suo carico di valori precedenti; ragione per cui, in relazione all’utilizzo contingente, questa immagine è divenuta una leggendaria griffe universale, valida e da saccheggiare ovunque, in qualsiasi stagione. Un destino singolare, dunque, segnato dalla continua oscillazione dell’uso del simbolo dal serissimo impegno politico al kitsch più sfrenato e talora in presenza contesti di riferimento e di confini non sempre molto ben delineati.
Lo stesso Korda, morto settantaduenne a Parigi nel 2001, ha ammesso di non aver mai immaginato un tale seguito per quell’immagine, secondo lui “assolutamente normale”. La sorte del “guerrillero heroico”, morto a soli 39 anni in Bolivia pochi mesi dopo la realizzazione del suo più celebre fotoritratto, ha fatto invece in modo che le tante immagini a lui dedicate dal fotografo cubano non divenissero in seguito affatto “normali”.
La mostra torinese che sarà ospitata a Palazzo Bricherasio dal 14 luglio all’8 ottobre – che comprenderà, nell’ambito di una significativa rassegna di opere dedicate alle avanguardie di La Havana, anche un’importante raccolta di quaranta ritratti dedicati a Guevara – ne sarà un’ulteriore dimostrazione. Saranno esposte, tra le altre, anche diverse immagini del Che in compagnia di personaggi quali Jean Paul Sarte, Simone de Beauvoire, Ernest Hemingway e, non ultimo, il leader maximo, anch’egli sovente immortalato da Korda. L’evento piemontese sarà reso possibile dalla collaborazione con il Museo Nacional de Bellas Artes de l’Habana e l’Istituto Valenciano de Arte Moderno (IVAM) di Valencia.
Per Torino, quella di Palazzo Bricherasio, non verrà comunque ricordata come l’unica iniziativa del genere ospitata dalla città. Nella primavera del 1999, infatti, l’Associazione Culturale no-profit fine (fotografia e incontri con le nuove espressioni) presso l’omonimo spazio espositivo – lo spazio fine, appunto – aveva dato vita ad un’analoga iniziativa, anch’essa collegata alla celebre immagine kordiana. La mostra curata da chi scrive, con la collaborazione dello storico e critico della fotografia Pierangelo Cavanna, ha avuto come protagonista una significativa sezione di manifesti realizzati a Cuba prendendo spunto dalla famosa immagine del Che. L’insieme dei poster proposti facevano parte di una più ampia collezione di grafica cubana, appartenente all’Associazione Culturale senza fini lucro Fiati Pesanti di Asti, tutti dedicati a Guevara.
Nel contributo critico di Cavanna che accompagnò l’iniziativa, uno degli elementi d’interesse che venne sottolineato fu quello relativo alla transizione del medium fotografico verso altri ambiti del visuale. Ciò fece in modo che quella fotografia, da originale documento di cronaca, divenisse successivamente essa stessa un veicolo per il consolidamento del “suo” mito grazie al riutilizzo nell’ambito della rappresentazione grafica. L’idea di questo “riciclaggio” è legata, a quanto pare, all’intuizione dell’editore italiano Giangiacomo Feltrinelli che, avendo precedentemente ricevuto in regalo da Korda una copia del ritratto fotografico del Che, poco dopo la morte dell’eroe cubano ne fece stampare migliaia di copie su dei poster, divenuti subito un oggetto di culto essi stessi.
In quella immagine, sottolineava inoltre Cavanna, è possibile delineare i tratti di una corrispondenza con un sogno di riscossa. Quello del Che appare, in effetti, come uno sguardo nel quale potersi astrattamente identificare per condividere una comune idea di rivincita.
Nell’assunzione della sua funzione simbolica, quella ripresa si è quindi sganciata dalla tradizionale funzione della fotografia intesa come impronta del reale per divenire qualcos’altro, un segno planetario, riconoscibile da chiunque, che rievoca continuamente il mito al quale fa riferimento. Da elemento di connessione – un indice, potremmo aggiungere – con il suo referente iniziale, l’immagine del Che si trasforma quindi in icona per via della sua plausibile verosimiglianza (che non è detto sia strettamente di tipo formale, ricordava Cavanna) con il suo modello originario. In tal modo, è possibile intravedere in quell’immagine ormai trasformata in un simbolo le “connessioni sacrali” di un’universale “bandiera senza stato”.

La fotografia del Cheultima modifica: 2007-03-23T11:55:00+01:00da
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