Fotografia, comunicazione, media e società

La fotografia di una drammatica maschera

Una delle immagini-simbolo degli attentati di Londra del 7 luglio 2005
di Gerardo Regnani
gerardo.regnani@tin.it
Roma, 14/07/2006

Come può una sola fotografia, oltre l’apparente mutismo di ogni immagine, condensare la drammaticità di un evento? Ci “parla” da sola o rinvia, in realtà, a qualcos’altro? La ricorrenza del primo anniversario degli attentati di Londra del 7 luglio 2005 e il recupero di una delle immagini-simbolo di quell’estate tragica ci offrono l’occasione per riprendere alcune riflessioni in proposito.
Questa fotografia è stata utilizzata per la prima pagina del Corriere della Sera dell’8 luglio 2005 per documentare – mitigando, in questo caso, il consueto uso di immagini dai toni molto forti, collocate invece nel sito web della testata stessa – i drammatici effetti delle bombe esplose a Londra nella mattinata precedente. L’immagine è divenuta, inevitabilmente, uno dei simboli di quella terribile tragedia. E non sarà certamente né la prima né l’ultima della triste serie di orrori dell’umanità che, con costanza sospetta, i media ci mostrano di continuo, alimentando peraltro un vago clima da “terza guerra mondiale” (volendo riprendere l’espressione coniata da Lucia Annunziata dopo i tragici eventi dell’11 settembre  2001).
Ma definizioni a parte, a quel volto coperto da una “maschera” improvvisata è probabilmente toccato l’onere di rappresentare emblematicamente nel tempo il tragico evento londinese. E questo per diversi aspetti; tutti, in vario modo, condensati in quell’immagine ma, al tempo stesso, a questa estrinseci.
La premessa fondamentale che occorre fare è, infatti, che, dato il mutismo e insieme la molteplicità e variabilità di significati che ogni immagine – compresa questa, ovviamente – può veicolare, tutte le congetture che seguiranno sono, oltre che ipotetiche, tutte “esterne” all’immagine in questione; questa, infatti, “parla” ed esprime tutta la sua carica di pathos grazie all’humus emotivo e culturale che la ha avvolta e che, probabilmente, ha potuto avere dei riflessi anche sulle “intenzioni” originarie dell’autore della fotografia.
Questa immagine, infatti, avrebbe potuto anche non dirci le stesse cose se, ad esempio, ci fosse pervenuta disgiunta dai tragici fatti accaduti a Londra il 7 luglio 2005.
Proviamo, quindi, ad esplorarne almeno parzialmente l’aspetto più peculiare, scusandoci prima di tutto con le persone ritratte in quella fotografia per l’uso, magari non gradito, che di questa fotografia abbiamo fatto.
Accenniamo brevemente, dunque, all’elemento che più di altri sembra caratterizzare quest’immagine, ovvero: la presenza della “maschera”, con tutta la sua evidente forza (purtroppo) anche estetica e i suoi potenziali rimandi simbolici. A livello estetico (nel senso, innanzitutto, di visibile) quell’immagine colpisce persino per la sua particolare fotogenia, una qualità veicolata e rinforzata da taluni elementi formali, tra cui: quel volto coperto così “segnato” dalla postura delle mani della protagonista, contrapposta con l’abbraccio, apparentemente un po’ scomposto ma premuroso, dell’altra “comparsa” e l’espressione provata del volto stesso di quest’ultima. In questi segni, nella loro capacità di restituirci amplificata tutta la dimensione drammatica di quella grande tragedia e, insieme, di riuscire a stimolare delle forti emozioni nello spettatore, innalzandone gradualmente il livello di empatia (orrore, terrore, sdegno, sconforto), possiamo tentare di comprendere lo spessore e il peso di questo macabro souvenir dell’accaduto.
Un “documento” del quale, data anche l’autorevolezza della fonte di provenienza, difficilmente potremmo permetterci di criticare l’apparente obiettività. Ciò potrebbe apparire, a livello etico, persino un oltraggio alle vittime degli ordigni esplosi quel giorno.
La fotografia, amplificando quell’evento, ne è divenuta, conseguentemente, anche l’emblematico e statuario spettro riepilogativo, la sintesi metaforica.
Il potenziale bagaglio simbolico di questa istantanea sembra valorizzarsi ulteriormente, inoltre, grazie a tutta una serie di ipotesi che potremmo fare – volendo per un attimo supporre di ignorare le relative notizie di stampa – pensando, ad esempio: all’ipotetica relazione  tra i due soggetti ripresi (casuale, amicale, parentale, professionale, ecc.), alla loro probabile età anagrafica, all’identità e alla storia personale di entrambi, all’eventuale dialogo intercorso tra i due, alla possibile destinazione di questa anomala coppia e così via.
Il completamento dei “sospesi” che, anche inconsapevolmente, emergono dall’osservazione di questa ripresa si nutre, ovviamente, anche della natura apparente di “medium freddo” caratteristica di questa immagine e, più in generale, della fotografia tout-court, ovvero di ciascuna istantanea.
Nell’immagine, in effetti, non troviamo alcuna “spiegazione” dell’accaduto fotografato. Avvertiamo, quindi, la necessità di un’integrazione informazioni, motivata dalla povertà di indicazioni nella quale ci lascia la pura e semplice visione della sola fotografia, priva di un eventuale commento esplicativo. Un apparato descrittivo che, nel caso di eventi del genere, diviene un vero e proprio fiume d’inchiostro che, con le sue diverse espressioni, contribuisce, oltre che a dare, anche a variare il senso, l’indirizzo interpretativo di ognuna delle immagini che accompagnano e “rinforzano” i relativi testi scritti.
Tale crediamo sia anche il caso riguardante questa fotografia dal così alto valore simbolico. Questa penuria di informazioni di cui si è detto, stimola inoltre chi guarda a completare ulteriormente, persino con proprie forme di astrazione, i dati che avverte come non presenti nell’immagine.
Tutto questo insieme di stimoli, di indicazioni incoraggia quindi una grossa partecipazione emotiva di fronte a questa – così come potrebbe avvenire davanti a qualsiasi altra – fotografia da parte del “suo” pubblico.
Queste forme di coinvolgimento nei messaggi relativi ad un determinato avvenimento prodotti dai  media tendono – come in un gioco di specchi – ad evolversi in integrazione ed eventualmente enfatizzazione della narrazione visuale, salvo poi trasformarsi, non di rado, in eventuali quanto ingiustificatamente repentini cali d’attenzione sul caso d’interesse già a pochi giorni distanza dall’accaduto stesso, magari a causa della frenetica corsa all’inseguimento di qualche un nuovo evento dell’ultima ora.
La presenza della “maschera”, infine, ha anche a che fare con la dimensione del trapasso di ciascun essere umano e la prassi, ancora viva, della realizzazione del calco del volto dello scomparso che, analogamente ad una comune fotografia, rappresenta l’impronta del soggetto (originario) e, nel caso di un defunto, l’ultima sua traccia tangibile. E’ quel barthesiano “è stato” di cui ci ha parlato lo studioso francese nel 1980 nella sua ultima ed intensa opera: La camera chiara. Nota sulla fotografia.
Per diversi aspetti dunque, non ultimi i tanti contributi dei media, quel drammatico volto “mascherato” – data anche la sua plausibile natura di indice per la sua correlazione con quell’evento doloroso – si confermerà, crediamo, come una delle immagini-simbolo di quel tragico accaduto che, forse peccando di ingenuità, ci auguriamo ancora che non si ripeta mai più.

La fotografia di una drammatica mascheraultima modifica: 2007-03-23T12:00:00+01:00da
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