Fotografia, comunicazione, media e società

Le fotografie del Nuovomondo

La presenza forte del medium fotografico nel film di Emanuele Crialese
di Gerardo Regnani
gerardo.regnani@tin.it
Roma, 26/10/2006

C’è stato un tempo in cui la fotografia è stata considerata un indiscutibile riflesso del reale? Può, quindi, un’immagine fotografica divenire il “motore” di una decisione? Il regista Emanuele Crialese propone una storia nella quale l’immagine fotografica rappresenta, in effetti, il pretesto che spinge i protagonisti del suo film a compiere l’impresa che li condurrà poi verso il “Nuovo Mondo”…
Cercano un “segno”, nei primi, intensi momenti di “Nuovomondo” i protagonisti della storia narrata dal regista romano di origini siciliane Emanuele Crialese (1965). Il film scritto e diretto dallo stesso Crialese, con la fotografia di Agnès Godard, è stato interpretato da Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Charlotte Gainsbourg, Filippo Pucillo e Aurora Quattrocchi e ha rappresentato (venendo premiato) l’Italia, insieme a La stella che non c’è di Gianni Amelio, al Festival del cinema di Venezia, superando poi anche la selezione come opera italiana in corsa per l’Oscar. In questo lungometraggio,  Salvatore Mancuso (interpretato da Vincenzo Amato) e uno dei suoi due figli, non cercano però dei segni qualsiasi ma “il” segno, quello che poi agirà come una metaforica leva per l’assunzione di una decisione di fondamentale importanza per il corso della loro esistenza: andare o meno, come lo spettatore potrà poi scoprire, in America, il “Nuovo Mondo” appunto. Anche il luogo della ricerca di questo segno così importante è carico di ulteriori elementi simbolici. I protagonisti, infatti, si inerpicano, scalzi (non per voto ma per necessità, dato il contesto in cui è ambientato il film), su una sommità aspra e pietrosa delle Madonie, portando in bocca, come dono, un altro segno carico di valenze simboliche: una pietra da apporre sulla cima dell’altura alla base della statua della Madonna che dovrebbe poi rivelargli quel segno tanto atteso. Ed ecco che quel segno finalmente arriva e giunge proprio là, in quel luogo intriso di un’aura così particolare attraverso un messo a dir poco speciale, ovvero l’altro figlio muto del protagonista che porta ai due pellegrini tre fotografie di quel mondo lontano, anch’esse apparentemente incapaci di “parlare” ma, comunque, non inidonee a significare in assoluto. Le tre immagini raffigurano una realtà immaginaria caratterizzata dalla presenza di ortaggi e animali da cortile di dimensioni abnormi che impressionano immediatamente e in misura tale l’ingenuo protagonista principale tanto da convincerlo, anche per altre ragioni, che l’impresa di recarsi in America deve essere affrontata. Riguardo a queste amplificazioni, in momenti diversi della narrazione, si registra una certa “insistenza” del regista sul tema attraverso l’uso ripetuto di queste ed altre espressioni iperboliche, quali, ad esempio, altri enormi frutti della terra con dimensioni fuori della norma e finanche un fiume di latte.
E’ interessante notare, però, che per quanto possa risultare oggi a tutti evidente che si sia trattato di immagini artefatte queste, tuttavia, oltre a rappresentare un singolare quanto fondamentale pretesto narrativo per l’opera di Crialese, ripropongono in versione romanzata una dinamica che non è poi così lontana dalla realtà effettiva dei fatti. Non erano pochi, infatti, gli emigranti che affascinati dall’idea di recarsi in una terra dove tutto era grande, con il proposito di fuggire dalla triste povertà d’origine, affrontavano il lungo e problematico viaggio verso l’America. Lo facevano, come è noto, in condizioni che, per certi versi, richiamano alla mente la sorte dei tanti sventurati che oggi, con in tasca lo stesso sogno di un futuro migliore, affrontano i disagi e i pericoli del mare anche su mezzi di fortuna tentando di arrivare sulle nostre coste. Litorali che a seconda dei casi, sono una meta finale o, talvolta, solo una tappa verso un altrove dove pensano o sperano di trovare quel domani migliore che, ad ogni costo, ricercano.
Ha messo in evidenza tutto questo lo stesso Crialese intervenendo l’11 settembre 2006 presso l’Eden Film Center di Piazza Cola di Rienzo in Roma al termine della proiezione in anteprima della sua opera.
Per quel che concerne le fotografie di cui si è detto, si è trattato, come ha sottolineato ancora Crialese di una vera e propria forma di propaganda visuale deliberatamente pianificata con uno scopo ben preciso: richiamare grossi flussi di mano d’opera da destinare, in particolare, al settore agricolo americano.
L’intera storia della fotografia, del resto, è costellata da un utilizzo della fotografia che ha manifestato non di rado una certa tendenza verso letture “guidate”, quando non fantasiose o addirittura fasulle, di aspetti inerenti il reale. Si pensi, volendo fare qualche esempio: al “cadavere” di Hippolyte Bayard del 1840 dove, lo stesso autore (in uno dei primi autoritratti della storia del mezzo, tra l’altro) compare in veste di annegato volendo protestare per il mancato riconoscimento del valore delle sue prime opere fotografiche; la “tranquilla” versione della guerra di Crimea che appare in diversi e ben composti ritratti di gruppo di militari realizzati, su commissione, da Roger Fenton con “l’incoraggiamento&qu ot; delle massime autorità inglesi; le tante, emblematiche rappresentazioni del movimento tipiche del periodo che ha preceduto l’avvento del cinema, attraverso la proposta di tante apparenti riprese di volatili “in volo” che tali invece non erano affatto, trattandosi bensì di semplici “maniglie” usate come sostegni per simulare un’eventuale posa dinamica del cliente di turno; l’utilizzo, a fini di controinformazione, dei fotomontaggi caratteristici delle espressioni delle Avanguardie storiche nella prima metà del Novecento; la sempreverde ambiguità della celebre immagine del miliziano spagnolo effettuata da Robert Capa; la dimensione globale della criticabile visione umanista di una delle più grandi mostre che la storia del medium fotografico ricordi: “The Family of Man“; le provocazioni, in anni più recenti, delle memorabili finzioni che offrono le intriganti metafografie di Joan Fontcuberta, dedicate ad un’analisi critica, in particolare, della neoauraticità dei mezzi di informazione. Il campo del fotogiornalismo, in particolare, resta tuttora un ambito dove, per la coesistenza di istanze diverse, la rappresentazione dei fatti oscilla da sempre tra gli estremi del reale concreto e quello della fiction.
Metaforica sintesi di questo connubio tra rappresentazione e realtà è, plausibilmente, un’altra fotografia del film di Crialese. Questa, anch’essa ricca di richiami simbolici, propone uno straordinario ed indimenticabile “ritratto di famiglia” dei protagonisti del film appena giunti nel “Nuovo Mondo”.
Si tratta di un interessante metadiscorso sul mezzo fotografico stesso, ove appaiono condensati, fra l’altro, tutta una serie di rinvii inerenti le relazioni tra il “dentro” e il “fuori” dell’immagine (compresa quella visibile nella fotografia stessa), la funzione di strumento di relazione sociale immanente in ogni ripresa fotografica e, non ultimo, l’eterno dibattito sulla caratteristica dell’immagine fotografica di essere, o meglio, del suo non poter più tanto facilmente essere considerata – diversamente dagli anni di esordio – un autentico riverbero del reale.

Le fotografie del Nuovomondoultima modifica: 2007-03-23T15:55:00+01:00da
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