Fotografia, comunicazione, media e società

Claudio Cravero. tracce, fantasmi

Recensione di G. Regnani, intitolata "tracce, fantasmi", dedicata alle fotografie di Claudio Cravero

Claudio Cravero. tracce, fantasmi

di G. Regnani

gerardo.regnani@gmail.com

rivelano una scansione lenta ed intimista le tracce esplorate in “Fantasmi”.

le connota un tempo sospeso, ovattato, ilare ma, talvolta, anche infelice.

un probabile lieve sottofondo sembra aver animato lo sguardo che ha indagato sui fantasmi che ospitano quelle stanze, quei perimetri prevalentemente domestici.

veicolano queste emozioni una serie di graffiti dal sapore datato e, tuttavia, ancora contemporaneo. ospitano una visione costruita su di uno stratificarsi temporale di segni.

un accumulo immaginario e reale. un addensarsi favorito anche dal vuoto di quei luoghi, abitati oramai solo da nude pareti. tra quelle mura prive di arredi, pur in presenza delle loro impronte, sopravvivono (celate altrove) alcune possibili storie sottese.

la scenografia, il paesaggio che caratterizzano l’indagine vivono attraverso un’intensa costruzione concettuale dell’emozione, segnata da un approccio analogo per tutti gli ambienti. per costruzione fantastica, i segni, pur in un’apparente assenza di contenuto, narrano e concentrano la loro testimonianza nel chiuso di forme, tracce e geometrie comunque già note allo sguardo, all’inconscio collettivo.

per una frazione della ricerca si tratta di contenitori irreali, che narrano storie ideali.

la verità riguardo quei ricordi, la vera storia di quelle orme è, il più delle volte, ignota anche allo stesso autore. nella semplicità delle tracce, quelle insolite planimetrie custodiscono spesso gelosamente il segreto del trascorso che le ha viste protagoniste.

solo alcuni particolari, dispersi, sembrano essere tracce reali di ciò che c’era, un tempo, dell’impiantistica. di quelle cose sono restate in qualche interno le residue secrezioni di colore, le incisioni murali del mobilio. questi sopravvissuti, lì, raccontano ancora di una destinazione solitamente domestica di molte mura e l’aria di famiglia che probabilmente si respirava (Armadio rosso, Letto in ferro battuto).

e quel passato, seppure ignoto ad un primo impatto, per una certa inconscia familiarità collettiva, pare riemergere sempre e senza particolari difficoltà da quelle camere, stimolando la memoria visionaria d’ogni spettatore. per analogia, vengono evocati parallelismi e similitudini talvolta persino scontati; all’apparenza (Paesaggi a olio, Natura morta).

e l’incanto prosegue in un ovale, o in altre figure geometriche. là paiono prendere forma storie e personaggi che, per proiezione ed appropriazione, condividono, sulla scia di un ricordo anche nostro, un destino che è, o è stato già, di altri (Il nonno e la nonna, Rose in peltro).

in questo scorrere di pensieri, in questa dimensione sospesa, il ricordare diviene alternativamente, in un precario gioco d’equilibrio, un sottile e ilare piacere o un piccolo circuito di tensioni.

nell’ambiguità di un’improbabile identificazione con la storia che forse fu, quest’esplorazione, non indirizzata se non per una frazione alla rivelazione di storie autentiche, si configura piuttosto come un’azione di stimolo all’analisi del trascorso possibile.

una sollecitazione che travalica un semplicistico déjà vu.

il processo viene poi ulteriormente incentivato, ma non solo da questo, dal potere evocativo delle didascalie create dall’autore per ciascuna immagine.

la scrittura, divenendo anch’essa idealmente immagine, ha qui un ruolo non trascurabile, perché coadiuva, per l’analisi di quanto là può essere stato. come in un gioco ad incastro.  “La scrittura è sempre immagine, e vive delle relazioni tra i segni”[i].

un passato ideale dunque che, è da supporre, potrebbe appartenere a chiunque.

le immagini, e il loro bagaglio di didascalie, rappresentano per certi aspetti quasi un’invenzione, una scusa affinché, nei residui del segno sopravvissuto, scorra leggero e disinibito il ricordo.

e non vi sono di norma esotismi nel corso di questo viaggio, eccezion fatta per qualche sprazzo (Maldive, viaggio di nozze; Scene di caccia in Bassa Baviera), che registra in ogni caso l’aleggiare onnipresente di un evidente e quotidiano calore casalingo.

notte fonda, freddo interiore invece, nella sezione dedicata ad un amico comune. questa frazione, pur nella costanza della rappresentazione, di fatto annulla uno degli elementi di base della restante ricerca, testimoniando un trascorso non più ignoto all’autore. in un luogo, poi, non disabitato e tuttora vissuto da uno dei due protagonisti. cade qui, in questa storia, anche un certo velo di normalità, quell’alone di serena quotidianità che appare sovente altrove. in queste opere assume forza il desiderio di testimoniare un affetto, un’unione dissolta che, nell’assurda e tragica normalità di questi episodi, ha toccato profondamente il cuore di un piccolo nucleo di anime vicine e coese. qui l’esplorazione si è trasformata in indagine dolorosa, impossibile da realizzare se non per segmenti e sopralluoghi ripetuti. un ricercare teso ed accorto, intento anche a far emergere intenti e figure (angeliche) che un tempo, forse, hanno avvolto e protetto un amore intenso e colto (I suoi libri, Gli angeli sono andati con Maria).

la comunione, l’intersecarsi di destini paralleli lì, da ipotesi, sembra divenire concretezza.

dalla docile e tenera ironia, dalla giocosa capacità evocativa delle didascalie, si giunge ad una lettura diversa, ancora più puntuale, attenta e sensibile. non più sprazzi di storie possibili, ma solide tracce. comprimendosi l’ignoto, tutto assume una maggiore evidenza. persino le opere che prima apparivano su quei muri (Rose, Sergio Saroni; Marina azzurra, Enrico Paulucci).

e alle spalle della “marina” migrata, a sostituirla, c’è ora un raggio di luce, probabile metafora di un soffio di nuova vita, interpretabile come un epifanico ardente anelito di speranza.

il valore fondamentale che rivela l’intero intervento sembra condensarsi in un’immersione piena nella nostra (o altrui) intimità, compresi gli antri meno noti, come per avviare un esame interiore. un’azione che, nel rivelare un trascorso a volte anche poco inciso, offra e testimoni scie di vita che, pur nella relatività di una possibile analisi soggettiva, contribuiscono a rendere più presente l’agire di oggi e di domani.

è difficile, a volte, comprendere a pieno quanto peso per l’anima e, al tempo stesso, quanta leggerezza scaturiscono dalle pieghe nascoste della memoria. e quale sia la dimensione più adeguata a questo tipo di navigazione, in questo ricostruire il quotidiano partendo da un segno, dal profumo di un ricordo, dall’umanità di qualcuno.

l’umana poesia del quotidiano è spesso formata da prose e attori minuti, anche scomposti talvolta.

“I poeti non sono ombre, ricorda …”[ii]

e una ricostruzione è per certi versi un agire minimale, un comporre a volte per frammenti a fronte di un’incredibile stratificazione temporale e sensoriale, che conduce in superficie un universo talora ache molto intricato.

così dunque, come spesso accade, le immagini come i suoni, per l’arcana forza che tanto spesso li caratterizza, rappresentano gli stimoli ideali per un viaggio, un’esplorazione anche a ritroso intorno e, soprattutto, dentro di noi.

Torino, 8 gennaio 1998

[i] Scritture. Le forme della comunicazione. Museo del Folklore. Roma, Ottobre 1997.

[ii] “I poeti non sono ombre, ricorda” dalla raccolta Titano amori intorno, Alda Merini. Edizioni La Vita Felice, Aprile 1997.

Claudio Cravero. tracce, fantasmiultima modifica: 2017-06-29T22:09:29+02:00da
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