dedicato alla mia famiglia, a Claudio Cravero, a Claudio Isgrò (a lui sono particolarmente grato), a Sylvie Romieu, a Anthony Sestito e a tutti i miei…”simili”.
dédié à ma famille, Claudio Cravero, Claudio Isgrò (je lui suis particulièrement reconnaissant), Sylvie Romieu, Anthony Sestito et tous mes… “semblables”.
dedicated to my family, Claudio Cravero, Claudio Isgrò (I am particularly grateful to him), Sylvie Romieu, Anthony Sestito and all my… “similar”.
La casa. “Interni”/La maison. “Intérieurs”/The home. ‘Interiors’(***)
di G. Regnani
gerardo.regnani@gmail.com
abstract
La casa. “Interni” è un nuovo lavoro fotografico (“low fi”) sul tema della casa, nel quale, la dimensione mitica precedente resta sullo sfondo, quasi silente, lasciando il posto ad una più mesta mitologia della quotidianità. Un quotidiano meno fortunato che, attraverso la fotografia, ho idealmente indagato durante una mia investigazione immaginaria per dare forma all’invisibile. Ho tentato, infatti, di indagare e rileggere (anche per ragioni personali), ulteriori possibili relazioni tra l’idea della casa e quella della malattia, partendo dal diffuso stereotipo che interpreta la casa, da sempre, quasi esclusivamente in chiave positiva. Un cliché che potrebbe/dovrebbe, forse, essere integrato/rivisto con l’idea opposta, di una dimensione talvolta meno benevola, pur restando, in ogni caso, un presidio di tenace opposizione alle avversità della vita e un simbolico baluardo di fiducia nel futuro.
La maison – “Intérieurs” est un nouveau travail photographique (“low fi”) sur le thème de la maison. Mon précédent travail était plutôt destiné à présenter un répertoire possible de formes du mythe. Pour le cas présent, en revanche, la dimension mythique précédemment évoquée reste en retrait, presque silencieuse, laissant ainsi la place à un quotidien moins chanceux. Un quotidien sur lequel j’ai enquêté de manière idéale, à travers un investigation imaginaire avec la photographie, pour donner forme à l’invisible. J’ai tenté de relire (aussi pour des raisons personnelles), d’autres relations possibles entre l’idée de la maison et celle de la maladie. Parmi les nombreuses options du mythe, je suis parti de celle qui interprète la maison comme un lieu physique et/ou spirituel serein. Une stéréotype, donc, pourrait/devrait, le cas échéant, être intégré/revu avec l’idée opposée, celle d’une dimension parfois moins bienveillante et chanceuse, bien que restant cependant un remède d’opposition tenace aux adversités de la vie et, dans tous les cas, un bastion symbolique de confiance dans le futur.
Before The home – ‘Interiors’ I created a previous polyptych on the home. That work was more oriented to the presentation of a possible repertory of forms of the myth. This time, however, the previous mythical dimension remains in the background, almost silent, leaving space for a more melancholic mythology of daily life. A less fortunate daily life that I ideally investigated through (“low fi”) photography, during my imaginary inquiry to give form to the invisible. I tried to investigate and reread (also for personal reasons) further possible relationships between the idea of the home and that of the disease. To do this, I started from the many options of the myth with the one that interprets the home as a serene physical and/or spiritual place. So, the stereotype that has always imagined it almost exclusively positively could/should, if necessary, be integrated/revised with the opposing idea of a dimension that is sometimes less benevolent and fortunate while still remaining a stronghold of tenacious opposition to the adversities of life and, however, symbolic bastion of faith in the future.
Roma, 2 novembre 2017
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Un’anteprima: Il polittico La casa. “Interni” sarà esposto nel corso della mostra: In/visibles, 1-29 Settembre 2018, Galerie Remp Arts, Durban-Corbières, Francia (***). Autori: Claudio Cravero, Torino e Gerardo Regnani, Roma. Curatore: Claudio Isgrò. Ulteriori informazioni: a seguire, dopo il testo La casa – “Interni”, e sul sito https://www.galerie-remp-arts.com/copie-de-saison-2017/Un aperçu: Le polyptyque La maison. “Intérieurs” sera exposé lors de l’exposition: In/visibles, 1-29 septembre 2018, Galerie Remp Arts, Durban-Corbières, France (***). Auteurs: Claudio Cravero, Turin et Gerardo Regnani, Rome. Commissaire: Claudio Isgrò. Plus d’informations: à suivre, après le texte La maison – “Intérieurs“, et sur le site https://www.galerie-remp-arts.com/copie-de-saison-2017./ A preview: The polyptych The home. “Interiors” will be exhibited during the exhibition: In/visibles, 1-29 September 2018, Galerie Remp Arts, Durban-Corbières, France (***). Authors: Claudio Cravero, Turin and Gerardo Regnani, Rome. Curator: Claudio Isgrò. Further information below, at the end of the text The home – “Interiors”, and on the site https://www.galerie-remp-arts.com/copie-de-saison-2017.
Claudio Cravero, s.t. In/visibles
G. Regnani, La maison – “Intérieurs“
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La casa. “Interni”/La maison. “Intérieurs”/The home. ‘Interiors’(***)
un’altra anteprima: G. Regnani, opera n. 1 del polittico La casa – “Interni” > immagine centrale: ciotola con foglie e fiori secchi; immagine perimetrale: elettrocardiogramma (particolare). In basso a sn, scheda anagrafico/sanitaria (immaginaria) di Pietro R., Firenze, 55 anni, gruppo sanguigno A+, diagnosi DMD(**), ICD-10-CM Code G71.0 (*)/un autre aperçu: G. Regnani, partie n. 1 du polyptyque La maison – “Intérieurs” > image centrale: bol avec des feuilles et des fleurs séchées; image périmétrique: électrocardiogramme (détail). Bas de sn, carte démographique/santé (imaginaire) de Pietro R., Florence, 55 ans, groupe sanguin A +, diagnostic DMD (**), CIM-10-CM Code G71.0 (*)/another preview: G. Regnani, part n. 1 of the polyptych The home – “Interior” > central image: bowl with leaves and dried flowers; perimeter image: electrocardiogram (detail). Bottom of sn, demographic/health card (imaginary) by Pietro R., Florence, 55 years, blood group A +, diagnosis DMD (**), ICD-10-CM Code G71.0 (*)
(*), (**), (***) –> cfr- sotto/voir ci-dessous/info below: la scheda tecnica e illustrativa/la fiche technique et illustrative/the technical and illustrative sheet) e info expo.
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versione ridotta in italiano (segue la traduzione in francese e in inglese)
La casa. “Interni”
Tempo addietro avevo già realizzato un polittico dedicato al tema della casa.
Quel mio precedente lavoro, sebbene fosse anch’esso “inquinato” dal mio vissuto, era maggiormente orientato a presentare un possibile repertorio di forme del mito, una sorta di microcatalogo delle sue varietà e del relativo, ipotetico, immaginario collettivo.
In quest’occasione, invece, la dimensione mitica precedente resta sullo sfondo, quasi silente, lasciando il posto ad una più mesta mitologia della quotidianità. Un quotidiano meno fortunato che ho idealmente indagato durante una mia investigazione immaginaria per dare forma all’invisibile attraverso la fotografia.
Per farlo, sono partito da una semplice, quanto non irrilevante, constatazione: tutto è dotato di un’estetica e di una dialettica – tecnicamente, dei mezzi di comunicazione – persino quando queste proprietà sembrino assenti o, addirittura, negate.
Tra i vari media, la fotografia, sin dagli esordi con il suo immenso patrimonio visuale, continua ad offrirci un campionario di esempi praticamente infinito.
E fra i molteplici soggetti di indagine del medium, la casa, con il suo carico di mito e di stereotipi, è certamente un caso esemplare, offrendo una così ampia scelta di varianti estetico/dialettiche, tale da comprendere le espressioni più disparate e, talora, anche antitetiche.
Tra le tante opzioni del mito sono partito da quella che interpreta la casa come un luogo fisico e/o spirituale sereno. Un magico scrigno fatato, un ambiente felice dove custodire, curare e condividere al meglio i nostri “tesori” più preziosi e rappresentativi.
Primi, fra tutti, i nostri cari.
E così è, di solito.
Ma per altri “beni” meno graditi, come le ferite profonde che la vita, purtroppo, a volte ci infligge e che la casa può e/o deve comunque ospitare, salvaguardare, mi sembra si riproponga, frequente, una certa tendenza omertosa, un mettere in ombra.
Lo stereotipo, quindi, che la immagina da sempre quasi esclusivamente in chiave positiva – fondato quanto, forse, frusto – potrebbe/dovrebbe, se del caso, essere integrato/rivisto con l’idea opposta, di una dimensione talvolta meno benevola e fortunata, pur rimanendo comunque un presidio di tenace opposizione alle avversità della vita e, comunque, simbolico baluardo di fiducia nel futuro.
Con queste premesse, attraverso un immaginario percorso narrativo personale, ho tentato di rievocare – per vie indirette e solo per accenni – una dimensione intima della casa diversa dai comuni benevoli cliché.
Uno status differente che, all’opposto, la caratterizza come una realtà talvolta buia e penosa, ma non necessariamente come un luogo di resa e di disfatta.
Tutt’altro!
Roma, 2 novembre 2017
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versione ridotta in francese (a seguire, una versione ridotta in inglese)/une versione réduite du texte en français (immédiatement aprés, il y a la version réduite en anglais)
La maison. “Intérieurs”Il y a quelques temps j’avais déjà réalisé un polyptyque consacré au thème de la maison.
Ce précédent travail, bien que lui aussi “pollué” par mon vécu, était plutôt destiné à présenter un répertoire possible de formes du mythe, une sorte de micro-catalogue de ses variétés et de l’imaginaire collectif, hypothétique, correspondant.
Pour le cas présent, en revanche, la dimension mythique précédemment évoquée reste en retrait, presque silencieuse, laissant ainsi la place à une mythologie plus mélancolique de la quotidienneté. Un quotidien moins chanceux, sur lequel j’ai enquêté de manière idéale durant l’une de mes investigations imaginaires pour donner forme à l’invisible à travers la photographie.
Pour ce faire, je suis parti d’une constatation simple, mais non dénuée d’importance : tout est doté d’une esthétique et d’une dialectique (techniquement, de moyens de communication), y compris lorsque ces propriétés semblent absentes ou même niées.
Parmi les différents supports, la photographie, dès ses débuts et grâce à son patrimoine visuel immense, continue à nous offrir un échantillon d’exemples pratiquement infini.
Et parmi les multiples sujets d’enquêtes du support, la maison, si chargée en mythes et stéréotypes, est certainement un cas exemplaire, qui offre un choix très vaste de variantes esthétiques/dialectiques, telles qu’elles permettent de comprendre les expressions les plus disparates voire antithétiques.
Parmi les nombreuses options du mythe, je suis parti de celle qui interprète la maison comme un lieu physique et/ou spirituel serein. Un écran magique et enchanté, un environnement heureux où protéger, soigner et partager au mieux nos « trésors » les plus précieux et représentatifs.
Et, par-dessus tout, ceux qui nous sont chers.
Et il en est habituellement ainsi.
Mais pour les autres “biens” moins appréciés, comme les blessures profondes que la vie, malheureusement, nous inflige et que la maison peut/doit héberger et protéger, il me semble qu’une certaine tendance à l’omerta, au déni, soit fréquemment de mise.
Le stéréotype, donc, qui l’imagine, presque toujours exclusivement de manière positive (fondement par ailleurs quelque peu rudimentaire) pourrait/devrait, le cas échéant, être intégré/revu avec l’idée opposée, celle d’une dimension parfois moins bienveillante et chanceuse, bien que restant cependant un remède d’opposition tenace aux adversités de la vie et, dans tous les cas, un bastion symbolique de confiance dans le futur.
Ceci étant dit, à travers un parcours narratif personnel imaginaire, j’ai tenté d’évoquer, de façon indirecte et seulement par touches, une dimension intime de la maison différente des clichés bienveillants habituels.
Un statut différent qui, à l’opposé, la caractérise comme une réalité parfois sombre et pénible, mais pas nécessairement comme un lieu de capitulation et de défaite.
Bien au contraire!
Rome, le 2 novembre 2017 (traduction: Opitrad)
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versione ridotta in inglese (segue il testo completo)/a reduced version in english (full text below)
The home. ‘Interiors’
Some time ago, I created a polyptych on the home. That work, although ‘polluted’ by my experience, was more oriented to the presentation of a possible repertory of forms of the myth, a sort of micro-catalogue of its varieties and the related, hypothetical collective imagination. This time, however, the previous mythical dimension remains in the background, almost silent, leaving space for a more melancholic mythology of daily life, a less fortunate daily life that I ideally investigated during my imaginary inquiry to give form to the invisible through photography.
To do this, I started from a simple, as not irrelevant, observation. Everything has an aesthetic and a dialectic – technically of the means of communication, even when these properties seem to be absent or even denied. Photography, among the different types of media, with its immense visual heritage since the very beginning, continues to offer a sample of practically infinite examples. Among the many topics investigated by the medium, the home, charged with myths and stereotypes, is certainly an exemplary case. It offers such a wide choice of aesthetic/dialectic variants that it includes the most diverse expressions and, as such, also those diametrically opposed.
I started from the many options of the myth with the one that interprets the home as a serene physical and/or spiritual place. A magic, fairy-tale treasure chest, a happy environment where the best of our most precious, representative ‘treasures’ can be stored, cared for and shared.
In particular, our loved ones. And that’s how it is, usually.
For other less pleasant ‘assets’, like the deep wounds that life, unfortunately, sometimes inflicts on us and the home can and/or must, in any case, harbour and safeguard, I think that it often once again proposes a certain silence, a shadowing.
So, the stereotype that has always imagined it almost exclusively positively – well-founded yet superseded – could/should, if necessary, be integrated/revised with the opposing idea of a dimension that is sometimes less benevolent and fortunate while still remaining a stronghold of tenacious opposition to the adversities of life and, however, symbolic bastion of faith in the future.
In this introduction, I have tried to re-evoke, indirectly and by hints, an intimate dimension of the home that is different from the common, benevolent clichés through an imaginary, personal narrative path. A different status that, alternatively, marks it as a reality that is sometimes dark and sorrowful but not necessarily as a place of surrender and failure. Anything but!
Rome, 2 November 2017 (translation by: Opitrad)
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testo completo in italiano
La casa. “Interni”
Tempo addietro avevo già realizzato un polittico dedicato al tema della casa. Quel mio precedente lavoro, sebbene fosse anch’esso “inquinato” dal mio vissuto, era maggiormente orientato a presentare un possibile repertorio di forme del mito, una sorta di microcatalogo delle sue varietà e del relativo, ipotetico, immaginario collettivo. In quest’occasione, invece, la dimensione mitica precedente resta sullo sfondo, quasi silente, lasciando il posto ad una più mesta mitologia della quotidianità. Un quotidiano meno fortunato, evocato solo indirettamente e per accenni, mai mostrato esplicitamente, che ho idealmente indagato durante una mia investigazione immaginaria per dare forma all’invisibile attraverso una fotografia “low fi“.
Per farlo, sono partito da una semplice, quanto non irrilevante, constatazione: tutto è dotato di un’estetica e di una dialettica – tecnicamente, dei mezzi di comunicazione – persino quando queste proprietà sembrino assenti o, addirittura, negate.
Persino la morte, sia vista in diretta sia mediata, comunque ne possiede. L’angosciante sceneggiatura, è di norma caratterizzata da una successione di momenti agghiaccianti, non di rado contraddistinti da una surreale assenza apparente di dialettica. La morte, del resto, è una contingenza che non ammette – per statuto – alcuna contrapposizione dialettica con chicchessia. È la dolente e immutabile negazione di qualsiasi confronto, senza pietà e/o sconti per nessuno. Sempre implacabile di fronte a qualunque forma di vita.
Tutto, dicevo, dalla morte in giù, comunica anche attraverso espressioni estetiche e dialettiche – materiali, immateriali, mutevoli e peculiari che siano – anche qualora sembrino mancare e/o appaiano respinte al mittente.
Tra i vari media, la fotografia, sin dagli esordi con il suo immenso patrimonio visuale, continua ad offrirci un campionario di esempi praticamente infinito.
E fra i molteplici soggetti di indagine del medium, la casa, con il suo carico di mito e di stereotipi, è certamente un caso esemplare, offrendo una così ampia scelta di varianti estetico/dialettiche, tale da comprendere le espressioni più disparate e, talora, anche antitetiche. Tra le tante opzioni del mito – perché funzionale al “discorso” insito in questo mio ultimo lavoro – sono partito da quella che interpreta la casa come un luogo fisico e/o spirituale sereno. Un magico scrigno fatato, un ambiente felice dove custodire, curare e condividere al meglio i nostri “tesori” più preziosi e rappresentativi. Primi, fra tutti, i nostri cari.
E così è, di solito.
Ma per altri “beni” meno graditi, come le ferite profonde che la vita, purtroppo, a volte ci infligge e che la casa può e/o deve comunque ospitare, salvaguardare, mi sembra si riproponga, frequente, una certa tendenza omertosa, un mettere in ombra. Si pensi, tra tanti possibili dolori, a: un sentimento molesto, un crollo emotivo, una tossicodipendenza, un handicap e, non ultima (anche per ragioni personali), una patologia severa. In questi casi, la reticenza della quale accennavo può nascondere, dietro la cortina fumogena del modello positivo della casa, qualcosa di diametralmente opposto, ovvero uno spazio di segregazione, di isolamento e di abbrutimento. La casa può quindi rivelarsi come un luogo insalubre che è meglio sfuggire. Una palude stagnante di sofferenza psicofisica dove, per le ragioni più svariate, si tende a nascondere e relegare, piuttosto che mostrare, quegli “interni” sgraditi che la sorte, purtroppo, talvolta ci fa vivere e subire.
Lo stereotipo, quindi, che la immagina da sempre quasi esclusivamente in chiave positiva – fondato quanto, forse, frusto – potrebbe/dovrebbe, se del caso, essere integrato/rivisto con l’idea opposta, di una dimensione talvolta meno benevola e fortunata. Un luogo fisico/astratto (altrettanto) possibile, certamente meno appetibile e invidiabile, perché talora ospita anche l’inferno terreno della malattia.
Una malattia intesa come la frazione più buia e terribile dell’esistenza, come hanno efficacemente sottolineato, da prospettive diverse quanto interconnesse (semiotica, antropologica, etc.) Maria Giulia Dondero in Fotografare il sacro e Robert F. Murphy in Il silenzio del corpo.
La casa, dunque, anche come luogo di sofferenza, di dolore, pur rimanendo comunque un presidio di tenace opposizione alle avversità della vita e, comunque, simbolico baluardo di fiducia nel futuro.
Al riguardo, ricordo che la salute è considerata dall’OMS un diritto fondamentale dell’umanità e non è la pura e semplice assenza di malattia, bensì lo stato di completo benessere fisico, psichico e sociale della persona.
Benessere psicofisico e sociale che una diagnosi infausta, evidentemente, nega e tende a dissolvere, “armata” com’è spesso, similmente alla morte, di un’antidialettica amara e crudele. Un’indisponibilità ferrea alla mediazione, talora “rinforzata” da un’estetica altrettanto drammatica e priva di tatto, che, invece di mitigare, può, viceversa, accentuare ulteriormente lo stato di malessere e di disagio in cui vive lo sfortunato protagonista.
Con queste premesse, attraverso un immaginario percorso narrativo personale, ho tentato di rievocare – per vie indirette e solo per accenni, dicevo – una dimensione intima della casa diversa dai comuni benevoli cliché. Uno status differente che, all’opposto, la caratterizza come una realtà talvolta buia e penosa, ma non necessariamente come un luogo di resa e di disfatta.
Tutt’altro!
Per realizzare questa mia ipotetica investigazione immaginaria, ho immaginato, quindi, di compiere alcune effrazioni virtuali, con annessa (sempre irreale) rapina, entrando idealmente a fotografare di nascosto in alcune case; “violandone”, così, l’intimità. Sono case fittizie, ovviamente, che ospitano persone, altrettanto immaginarie e anonime, gravemente malate. Si tratta, per l’esattezza, di una miniserie di venti case, tutte abitate da persone simili, anche nel loro essere, spesso, dei paria sociali, degli “invisibili”. Anime comuni, come tante, che ho teoricamente immaginato, in parte o del tutto, rinchiuse tra le mura di una casa/prigione. Assediate, talvolta, da una profonda disperazione, a causa di una diagnosi amara relativa ad una patologia che, sebbene non risulti del tutto incurabile, resti, talora, inguaribile. Una condizione difficile, discriminatoria e, talora, anche precocemente letale.
Ho dunque supposto di entrare, in punta di piedi, in alcune di questi tristi appartamenti e di spiare di nascosto delle vite immaginarie. Ho idealmente riportato indietro – ed è il magro bottino condensato nel mio lavoro – qualche fotografia (frammenti d’interni, piccole cose di casa) degli ambienti abitati da questi ipotetici ospiti/infermi, dei quali ho anche abbozzato dei microscopici profili anagrafici e sanitari, anch’essi fittizi, composti da: nomi, luoghi, cenni clinici, etc. Per rendere più “leggibile” questo mio immaginario percorso investigativo/narrativo, le immagini fotografiche condividono lo spazio dell’opera anche con alcuni altri piccoli ”rinforzi” simbolici, riassunti in una miscellanea di rielaborazioni, anonime e parziali anch’esse, di: documenti clinici, studi di settore, dati sanitari, etc.
Aggiungo che immagino la “refurtiva”, non solo fotografica, che ho ipoteticamente sottratto all’intimità domestica di queste case – e che condividerò virtualmente attraverso queste opere – come degli esili costrutti culturali, una sorta di labile immaginario personale. Uno scenario astratto ma non inverosimile né, tanto meno, lontano dalla realtà quotidiana di tante persone colpite, purtroppo, da patologie talora progressivamente invalidanti e/o precocemente letali. Si tratta, sovente, di vite segnate da una malattia percepita come qualcosa di ineluttabile, uno spietato destino privato, dovuto forse a un proprio difetto strutturale. Una “tara”, talora, senza alcuna speranza di guarigione, che connota la malattia come un carattere ontologico, connaturato, dell’esistenza umana.
Un micromondo sventurato, per quanto ipotetico, quel che ho dunque metaforicamente sintetizzato in questo lavoro, che si contrappone, ribadisco, ad uno scenario sociale disgraziatamente diffuso e reale (mi riferisco, in particolare, all’Italia). In merito, evitando, in questa sede, altre e più esplicite prese di posizione e/o polemiche personali, mi limito soltanto a ricordare l’annoso e non facile cammino – non solo legislativo – per giungere ad una migliore valorizzazione delle “diversità”, qualunque esse siano: di genere, anagrafiche, geografiche, di competenza, etc. Un percorso spesso tutto in salita, segnato da una pluralità di barriere – soprattutto culturali – talvolta molto difficili da superare. Ne accenno, perché mi auguro siano favorite ulteriormente, anche attraverso politiche possibilmente più inclusive, maggiori e migliori garanzie di integrazione, equilibrio e giustizia sociale. Sempre in questa prospettiva, mi auguro anche una più diffusa e sensibile attenzione a temi altrettanto delicati, quale quello della legislazione sul fine vita. La nostra civilissima Europa, anche in questo campo, non è proprio un esempio virtuoso. Il Vecchio Continente registra, infatti, un quadro ancora disomogeneo e squilibrato, con differenziazioni significative fra le varie legislazioni nazionali, molto più avanzate in alcuni casi rispetto ad altre che lo sono (talora molto) meno, connotate da ritardi e “resistenze”, anche forti, di vario genere.
Anche per questi motivi, spero di essere riuscito a dare una connotazione più “politica” all’investigazione immaginaria di queste case condensata nelle opere che ho realizzato. Opere magari semplici, tuttavia con delle ambizioni. Prima, fra altre, quella di contrastare i diffusi stereotipi e pregiudizi su chi convive con una disabilità – congenita o acquisita che sia – tentando, insieme, di stimolare un orientamento maggiormente positivo al riguardo. Una migliore disposizione che, pur ricordando concretamente quanto una maledetta malattia possa plausibilmente togliere, evidenzi, in contrapposizione, ciò che non dovrebbe mai (si spera) togliere, ovvero: la forza di resistere e di lottare e, non ultima, … la speranza!
Magari anche solo quella di reintegrarsi in modo dignitoso, compatibilmente con la patologia di cui si soffre, nel tessuto affettivo e sociale di riferimento.
Una fiducia e una dialettica che potrebbero essere alimentati, tra l’altro, dall’attesa di sperabili sviluppi nel campo della ricerca, dalla probabilità di essere ancora comunque socialmente e affettivamente utili, così come da un comprensibile ed umano desiderio … di durare più a lungo.
Il riferimento ad alcune particolari infermità (vedi elenco allegato), piuttosto che ad altre, oltre che casuale, non è né scientifico né profanatore. All’opposto, mi augurerei risultasse solidale, umanistico e, magari, tendenzialmente trascendente. Capace, cioè, di rinviare ad un’immagine della figura umana intesa come un’entità “alta”, sia fisica che intellettuale, facente parte di un ecosistema straordinario, nel quale convivono, in un’incessante mutua interrelazione, spirito e biologia, astratto e materia.
Sino alla fine!
Fino ad amalgamarsi insieme, confondendosi con la morte, divenendo così una cosa sola: pura astrazione, memoria e, chissà, forse anche mito: personale, familiare, collettivo.
Come potrebbero probabilmente esserlo le case dove hanno trovato ospitalità, anche temporaneamente, questi immaginari sventurati compagni di lotta e di … resistenza!
Questo, per quanto nebuloso possa essere il quadro che ho tratteggiato, è il sottofondo culturale, l’immaginaria geografia sociale – anche estetica e dialettica – con il quale mi sono confrontato “entrando” in queste venti anonime case.
Roma, 2 novembre 2017
P.S.: Attraverso questo lavoro – forse il più duro, a livello emotivo, per me – oltre ad evidenziarne la dimensione estetica e dialettica, ho cercato anche di rispondere indirettamente ad un quesito per certi versi affine a quello già posto con la precedente ricerca, ovvero: la malattia è una forma di comunicazione?
* * *
Appendice 1
Il silenzio del corpo
Nelle case in cui sono stato, come in tante altre, ho visto, tra le altre cose, molti libri. Uno di questi ricordavo di averlo già sfogliato tempo prima in una libreria. Ho deciso, quindi, di prenderlo … “in prestito”. Si tratta de Il silenzio del corpo di Robert F. Murphy e riflette sulla disabilità, analizzata con lo sguardo – anche tecnico – dell’antropologo, egli stesso malato, divenuto prima paraplegico, poi tetraplegico.
La malattia, attraverso il progressivo degradarsi del corpo, è vista da Murphy come un penoso grimaldello che apre le porte ad una dimensione altra, ad una sorta di fuga dal mondo, che interrompe e sconvolge gli abituali ruoli sociali e fa assumere una veste nuova al malato. Questa situazione, in relazione alla severità della patologia, lo esonera, in parte o del tutto, dai suoi precedenti doveri sociali. È una dispensa collegata, però, ad una specifica contropartita (ideologica, mi chiedo?), ossia: fare tutto il possibile per ristabilirsi. Ciò, perché anche l’infermità deve sottostare a delle regole sue e specifiche, paradossalmente persino quando queste non possano essere o non serva più che siano, comunque, rispettate. Radicalizzando, penso, in particolare, al c.d. “accanimento terapeutico” e, più in generale, a quei percorsi terapeutici che assumono forme di parossismo tali da rasentare la schizofrenia, come nel caso, già accennato precedentemente, di patologie che, talvolta, per quanto curabili, non siano comunque guaribili. Il malato non ha comunque scelta, caricato, come è, dell’onere di fare ogni sforzo possibile per migliorare il proprio stato di salute. Qualunque carenza, un cedimento qualsiasi può essere letto come un’assenza d’impegno, persino come un segno indesiderato e/o prematuro di abbandono.
In questo sottobosco culturale, la cosa più ardua resta comunque il dover subire il progressivo dissolversi della propria indipendenza di scelta, perché, come malati, ancor più se disabili, si dipende, purtroppo, più o meno completamente dagli altri.
Si sperimentano così, amaramente, un costante calo dell’autostima e un’incursione progressiva e spietata – una vera e propria usurpazione – della mente ad opera della malattia. Insieme cresce anche una rabbia smisurata, alimentata dalla triste consapevolezza di aver acquisito un’inedita, quanto sgradita, diversità. E, passando dall’incredulità dello scoprirsi malato al fare progressivamente esperienza della disabilità, la malattia tocca corde intime delicatissime, alimentando un’ira esistenziale per un’afflizione senza fine e un crescente desiderio di ribellione nei confronti del mondo intero. Sebbene possano essere infondati, tendono irrazionalmente ad emergere anche un’odiosa sensazione di colpevolezza, mista a vergogna.
La persona disabile sperimenta inoltre l’ulteriore forma di imbarazzo e di rancore legata, in particolare, a quelle circostanze nel corso delle quali sono più o meno visibili le proprie difficoltà (motorie, dialettiche, mnemoniche, etc.), con l’inevitabile mortificazione del doverle comunque affrontare/mostrare. Si pensi, per quanto banale sia, ai comuni atti di vita quotidiana.
L’emergere della malattia comporta, pertanto, una continua riconsiderazione e rimodulazione quali/quantitativa del proprio ruolo sociale, con inesorabili e, talvolta, pesanti riflessi sul proprio microsistema relazionale di riferimento. Un potenziale, graduale, sgretolarsi dei rapporti sociali e il conseguente ritrarsi dai contesti potenzialmente più ansiogeni e, in generale, dai contatti con gli altri. Il diradarsi progressivo delle relazioni precedenti l’insorgenza della patologia disabilitante può essere talora compensato dalla ricerca di nuovi affetti, magari … tra i “propri simili”. Il malato è dunque costretto a ridiscutere tutto, in un incessante e intenso confronto tra il proprio io e gli altri, tra se stesso e quanto lo circonda, ma, soprattutto, tra se stesso e … se stesso!
In questa prospettiva, la progressiva perdita di autonomia, posta in relazione con il proprio mondo, prende inevitabilmente il sopravvento, divenendo via via “la” condizione centrale del quotidiano di una persona disabile.
“La dipendenza dalla malattia è molto più di una semplice dipendenza fisica dagli altri, perché genera una sorta di relazione sociale asimmetrica che è onnicomprensiva, esistenziale e per certi versi più invalidante rispetto alla menomazione fisica in sé. E non è tanto uno stato del corpo quanto uno stato della mente, una condizione che deforma tutti i legami sociali e contamina ulteriormente l’identità di chi è dipendente. La dipendenza invade ed erode la basi [N.d.R.] sulle quali si fondano le relazioni sociali.”
Un assalto crudele che mette a dura prova – e su più fronti – sia la “vittima prescelta” sia i suoi legami sociali ed affettivi, persino quelli più forti e duraturi.
Durante l’evolversi della patologia il malato saggia, tra l’altro, il concetto di liminalità, ovvero quella condizione di passaggio da una situazione sociale – di norma migliore, non solo dal punto di vista della salute – ad un’altra. Ed è proprio nel transito tra le due condizioni che si incontra questa dimensione liminale, questo “limbo sociale” popolato di vite indefinite e sospese “a mezzaria”. Una dimensione frustrante nella quale coloro che sono affetti da una patologia severa:
“[…] non sono né malati né sani, né morti né pienamente vivi, né fuori dalla società né totalmente partecipi. Sono esseri umani, ma i loro corpi sono deformati o malfunzionanti, lasciando nel dubbio la loro piena umanità […] tutt’altro che devianti, sono il controcanto della vita quotidiana.”
Per considerare appieno l’infermità, non basta analizzare la sola componente sociale, perché non rende compiutamente la varietà e l’articolazione pluridimensionale della malattia, composta, come è, da esperienze, relazioni, emozioni, contesti, simboli, significati, etc. Una multidimensionalità che – connaturando in più modi l’ontologia della malattia, la sua immanenza nell’esistenza umana – interessa più ambiti: il sapere scientifico, il rapporto personale con la propria fisiologia, le relazioni tra l’individuo e la circostante realtà sociale e quelle tra sé stessi e l’ambiente naturale e/o artificiale di riferimento. Il corpo “esposto”, indifeso e perdente dell’infermo è, quindi, il luogo reale e/o virtuale e, purtroppo, vulnerabile, dove si sperimenta la perdita di funzioni/facoltà e le relative umiliazioni, divenendo un emblema evidente della fragilità umana. Nel progressivo e mutevole definirsi della patologia si crea inoltre uno strappo, via via più ampio e talora incolmabile, tra quanto in precedenza era e quanto, nel qui ed ora, invece è divenuto il corpo – non solo fisico – del malato. Un prima e un dopo che fanno i conti con lo stereotipo, duro a morire, del soggetto “a norma”, rispetto a quello che non lo è più. Il malato, in particolare quello che vive una menomazione anche fisica, ne fa ripetutamente esperienza, tra l’altro, negli sguardi/commenti altrui sulla sua disabilità, nei luoghi pubblici come in quelli privati, nella corsa ad ostacoli quotidiana tra ambienti pensati non di rado solo per persone normodotate, che li costringono a continui e a volte difficili, se non impossibili, adattamenti, stress, etc. Una rete di disagi che, unita all’impossibilità di governare convenientemente i deficit crescenti del proprio corpo, sviliscono ulteriormente la qualità, già più o meno compromessa, del vivere quotidiano.
Può emergere, in simili circostanze, una sorta di esternalizzazione dell’identità: un estraniamento, una forma di alienazione e di presa di distanza della mente che “fuoriesce” dal corpo malato. Uno stato definito “disembodiment”.
“La mia soluzione al problema è stata la radicale dissociazione dal corpo, una specie di esternalizzazione dell’identità […] I miei pensieri e il senso di essere vivo sono stati riportati al mio cervello dove adesso risiedo e che, più che mai, è la base da cui mi protendo e afferro il mondo.”
Le sensazioni, lo stato reale, la fisiologia del corpo assumono quindi un ruolo subordinato, diventano una sorta di sottofondo, quasi fosse qualcosa di distaccato e di “lontano”.
E, in tal modo, tutta la vita possibile viene affidata alla mente.
Nessun’altra “trasferta”, leggendo Il silenzio del corpo, sembra essere mai stata così pervasiva e coinvolgente!
Appendice 2
Fotografare il sacro
Uno dei valori fondanti di questo lavoro, prendendo spunto dal citato Fotografare il sacro di Maria Giulia Dondero, è legato all’idea – a me particolarmente cara – che la vita sia comunque un dono, a prescindere da chi/cosa/dove si supponga possa essere eventualmente venuta. Un dono che credo valga sempre la pena… vivere, possibilmente appieno, seppure entro i limiti di un’esistenza dignitosa.
Un dono che può evocare, se è autentico, persino una dimensione sacrale, trascendente, in particolare per la sua natura gratuita e “disorganizzata”, legata, come è, anche al caso. Una dimensione priva di contraffazioni, dunque, senza tatticismi contingenti e/o strategie di medio o lungo periodo. Un dono immotivato, istintivo e sublime insieme, come può esserlo un’alba. Un avvento, la donazione pura, che, estremizzando, può assumere i contorni di un gesto addirittura “irresponsabile” che, al pari di un atto inconscio, è estraneo persino al donatore, e, pertanto, essendo impersonale, è libero da ogni necessità di controbilanciamento sociale. Radicalizzando ulteriormente, lo si può immaginare anche come un atto senza nome, ignoto finanche a se stesso; privo, dunque, di una relazione con qualcuno/qualcosa. Senza un volto, un’identità.
In altre parole: anonimo, invisibile.
Come mi sono apparsi anche gli ospiti delle case nelle quali, in spirito, un mio immateriale avatar, un altro me stesso, anche se per poco, là … “è stato”!
Appendice 3
Lector in fabula
Non ho però immaginato questo mio “furto con scasso” in solitaria, bensì con l’intervento, differito, di (tanti, spero!) altri anonimi collaboratori/complici, ovvero: gli osservatori/spettatori del mio lavoro. Dei complici speciali: dei “ricettatori”, per l’esattezza. Soci in affari, che, integrandole con il loro contributo personale, ricarichino ulteriormente di senso le mie opere/refurtiva, prima di piazzarle in un altrettanto immaginario traffico di merci rubate. Un mercato che potrebbe essere animato anche dallo sguardo di altri possibili futuri spettatori/complici e così via, più volte possibile, idealmente senza soluzione di continuità.
Lo spunto, con tutti i limiti del caso, arriva dalle teorizzazioni di Umberto Eco nel suo Lector in fabula, che trattano il tema dell’interpretazione del testo come compito del lettore.
Analogamente al lettore ideale di Eco, vorrei stipulare idealmente anch’io una sorta di patto cooperativo con l’occasionale osservatore/spettatore delle mie opere, che, magari, duri a lungo anche dopo la visione occasionale del lavoro. Un ipotetico contratto di rilettura e attribuzione/integrazione ulteriore di senso alle opere che propongo. In quest’ottica cooperativa, inoltre, potrebbe anche essere riconsiderata la mitologia prettamente felice sulla casa della quale accennavo in precedenza.
In questo humus cooperativo, lo spettatore/osservatore ideale non è un “ingenuo”. Ha, piuttosto, tutte le potenzialità – sia durante sia dopo la visione, anche fugace, delle mie opere – per contribuire idealmente a rileggere dal suo punto di vista, (ri)creare, all’occorrenza, il senso del mio testo/opera. E, magari, “dare voce” ad altre probabili storie di umana sopportazione, per quanto limitati possano risultare le scarne e distorte informazioni/indizi di partenza che troverà nel mio lavoro.
Questo anonimo collaboratore, tra quanto proposto e quanto immaginato – ossia tra il “detto” e “non detto” di queste opere – vorrei dunque che si unisse idealmente a me – per “fare rete”, al pari di un’associazione di categoria – nell’esplorazione e condivisione di questa dimensione di lotta, di resistenza e di speranza. Lo farebbe mettendo a frutto le sue competenze e sensibilità personali, miscelandole con i rimandi che spero (sufficienti) troverà nei miei lavori. Vorrei, inoltre, che divenisse un vero e proprio coautore (per quanto temporaneo), che, partendo dai miei spunti, ricostruisse, almeno momentaneamente, una o più storie plausibili degli ospiti immaginari delle case nelle quali sono idealmente entrato a fotografare.
In questa impresa collettiva, pensando ancora a Eco, questo ipotetico e ideale coautore collaborerà quindi con me affinché la (ri)narrazione, eventualmente stimolata dal mio lavoro, “funzioni” al meglio anche per chi (molti, spero!), in seguito, la condividerà.
Entrando ulteriormente nel dettaglio, in una prospettiva maggiormente tecnica, in queste esplorazioni virtuali la cooperazione interpretativa alla quale accennavo potrebbe svilupparsi gradualmente, per frazioni inferenziali, non deduttive ma induttive. In questo lavoro, infatti, la generalizzazione di partenza alla quale faccio riferimento – ossia la casa, con i suoi tristi “interni” – è una generalizzazione indotta, piuttosto che dedotta. Più nello specifico, lo è perché parte dalle premesse incerte offerte dalle mie fotografie di piccole componenti domestiche. Non indubitabilmente e non linearmente sempre e comunque riconducibili con certezza alla generalizzazione/casa stessa. Premesso questo, gli oggetti, gli ambienti fotografati e la generalizzazione/casa rappresentata nelle mie opere, sono collegati tra loro da un rapporto di tipo quantitativo: la parte per il tutto (c.d. sineddoche). La casa immaginaria alla quale si fa riferimento è quindi evocata indirettamente nella raffigurazione di: un vaso, un arredo, un accessorio, un infisso, etc.
Diversamente, sebbene affine, l’altra generalizzazione parallela alla quale è collegato il mio lavoro – la malattia, nella sua accezione più drammatica – e i “rinforzi” semantici ai quali accennavo in precedenza (documenti clinici, studi di settore, dati sanitari, etc.), si poggia invece su di un rapporto di tipo sostitutivo: qualcosa al posto di qualcos’altro (c.d. metonimia). La malattia, in questo caso, è richiamata alla mente dai citati “rinforzi” metaforici di cui ho appena riaccennato. Una doppia generalizzazione (la casa e la malattia) che, come evidenziavo poco prima, non essendo del tutto esplicite in queste opere, potrebbe non apparire immediatamente evidente e, pertanto, non facilmente “leggibile”. Viceversa, se le mie opere/premesse avessero invece richiamato in maniera meno criptica dei luoghi comuni, avrei forse potuto favorire nell’osservatore un percorso probabilmente più diretto e deduttivo, nel quale le probabili conclusioni sarebbero sembrate seguire in modo più lineare le mie opere/premessa. Si tratta, me ne rendo conto, di un percorso interpretativo tortuoso e tendenzialmente ermetico, ma era importante per me partire da piccoli e semplici frammenti di questo non facile e lieto quotidiano (metafora, anch’essi, dei “piccoli” ai quali il lavoro fa riferimento) per poter poi rinviare ad un “discorso”, spero, di respiro più ampio.
Preciso infine che, da sempre, interpreto il tutto di cui accennavo nella parte iniziale – non soltanto le mie opere, quindi – come un vero e proprio testo, da intendersi non esclusivamente come un’opera testuale (scritto, libro, articolo, etc.), bensì, in un’accezione semiotica, come un contenitore formale di senso, eventualmente da decodificare.
Alcuni riferimenti
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Maria Giulia Dondero, Fotografare il sacro, Booklet, Milano;
Umberto Eco, Lector in fabula, Bompiani, Milano;
Robert F. Murphy, Il silenzio del corpo, Erickson ed., Trento;
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_abbreviations_for_diseases_and_disorders;
http://www.icd10data.com/;
Dichiarazione di esclusione di responsabilità
Questo lavoro è un’opera del tutto immaginaria, frutto della fantasia. Ogni riferimento, quindi, a persone realmente esistenti o morte e/o a fatti effettivamente accaduti è da ritenersi totalmente involontario e, pertanto, puramente casuale. Non è immaginaria, purtroppo, la dimensione umana alla quale, in vari modi/parti, si fa riferimento./Ce travail est un travail entièrement imaginé, le résultat de fantasme. Toute référence, par conséquent, aux personnes réellement existantes ou à la mort et/ou faits factuels doit être considérée comme totalement involontaire et donc purement accidentelle. Malheureusement, la dimension humaine à laquelle il fait référence, de diverses manières, n’est pas imaginative./This work is an entirely imagined work, the result of fantasy. Any reference, therefore, to genuinely existing people or death and/or factual facts is to be considered totally involuntary and therefore purely accidental. Unfortunately, the human dimension to which it makes reference, in various ways/parts, is unimaginative.
une version complète du texte traduit en français
La maison. «Intérieurs»
Il y a quelque temps, j’avais déjà créé un polyptyque dédié au thème de la maison. Mon précédent travail, même s’il était aussi “pollué” par mon expérience, était plus orienté vers la présentation d’un possible répertoire de formes du mythe, vers une sorte de microcatalogue de ses variétés et de l’imaginaire relatif, hypothétique, collectif.
Cependant, à cette occasion, la précédente dimension mythique reste en toile de fond, presque silencieuse, et cédat la place à une plus triste mythologie de notre quotidien.
Une vie quotidienne moins chanceuse, évoquée seulement indirectement et par des indices, et donc jamais explicitement montré, que j’ai idéalement étudié au cours de mon enquête imaginaire pour donner forme à l’invisible à travers des photographies “low fi“..
Pour se faire, je partais d’une simple mais non pertinente observation: tout est doté d’une esthétique et d’une dialectique – techniquement, les moyens de la communication – même lorsque ceux-ci semblent absents ou même refusés.
La mort encore, qu’elle soit vécue ou médiée, dispose toujours de ces propriétés.
L’angoissant scénario, se caractérise en général par une succession de moments de refroidissement, mais il n’est pas rare qu’il se distingue aussi par une absence apparente de dialectique. De plus, la mort est une éventualité qui ne permet pas – par la loi – une opposition dialectique avec qui que ce soit.
Il s’agit du douloureux et immuable dénis de toute comparaison, sans pitié et / ou rabais pour quiconque.
Toujours implacable face à toute forme de vie.
Tout, comme j’ai dejà dit, de la mort vers le bas, communique aussi par des expressions esthétiques et dialectiques – matérielles, immatérielles, changeants et particuliers – même s’ils semblent manquer et / ou apparaît rejeté à l’expéditeur.
Parmi les différents médias, la photographie, depuis le début avec son immense patrimoine visuel, continue de nous offrir un échantillon d’exemples pratiquement infinis.
Et parmi les nombreux sujets d’investigation du médium, la maison, avec sa charge de mythe et de stéréotypes, est sans doute un cas exemplaire, en offrant un immense large choix de variantes esthétiques / dialectiques, capables de comprendre les expressions les plus disparates et parfois même antithétiques. Parmi les nombreuses options du mythe – parce qu’il est fonctionnel au «discours» inhérent à mon dernier travail – je suis parti de ce qui interprète la maison comme un lieu physique et / ou spirituel serein.
Une fée magique, un environnement heureux où nous pouvons préserver, prendre soin et mieux partager nos “trésors” les plus précieux représentés. Tout d’abord, ceux que nous aimons.
Et c’est ainsi, habituellement.
Mais pour d’autres “biens” moins bien accueillis, comme les blessures profondes que la vie, malheureusement, nous inflige parfois et que la maison peut et / ou doit encore accueillir, sauvegarder, il me semble qu’une certaine tendance d’omerta, une ombre se répète fréquentement. On pense, parmi beaucoup de douleurs possibles, à un harcèlement, une dépression émotionnelle, une toxicomanie, un handicap et, enfin et surtout (aussi pour des raisons personnelles), une pathologie sévère. Dans ces cas, la réticence dont j’ai parlé pourrait cacher, derrière l’écran de fumée du modèle positif de la maison, quelque chose de diamétralement inverse.
C’est à dire un espace de ségrégation, d’isolement et de brutalisation. La maison peut donc se révéler être un endroit malsain où il vaut parfois mieux s’échapper. Un marais stagnant de souffrance psychophysique où, pour les raisons les plus diverses, nous avons la tendance à cacher et reléguer plutôt que de montrer ces «intérieurs» importuns que le destin, malheureusement, nous fait parfois vivre et souffrir.
Donc, le stéréotype, qui l’a toujours imaginé presque exclusivement dans une clé positive – fondé comment, peut-être, dépassé – pourrait / devrait, le cas échéant, être intégré / révisé avec l’idée inverse d’une dimension parfois moins bienveillante et chanceuse. Un lieu physique / abstrait (également) possible, certainement moins agréable et enviable, car parfois il accueille aussi l’enfer terrestre de la maladie.
Une maladie comprise comme la fraction la plus sombre et la plus terrible de l’existence, comme Maria Giulia Dondero dans son livre “Fotografare il sacro” et Robert F. Murphy dans “Le Silence du corps” ont efficacement souligné, à partir de différentes perspectives ainsi que interconnectés (sémiotique, anthropologique, etc.)
La maison, donc, aussi comme un lieu de souffrance et de douleur, tout en restant une garnison d’opposition tenace aux adversités de la vie et, de toute façon, bastion symbolique de la confiance dans le futur.
À cet égard, je rappelle que la santé est considérée par l’OMS comme un droit fondamental de l’humanité et qu’il ne s’agit pas seulement de l’absence pure et simple de la maladie, mais aussi de l’état de bien-être physique, mental et physique complet de la personne.
Un bien-être psychophysique et social qu’un diagnostic inquiétant nie évidemment et tend à dissoudre, “armé” comme c’est souvent, de même que la mort, d’antidialectique amère et cruelle.
Une indisponibilité pour la médiation, parfois “renforcée” par une esthétique tout aussi dramatique et sans tact, qui, au lieu d’atténuer, peut, au contraire, accentuer davantage l’état de malaise et de désagrément dans lesquel le malheureux protagoniste vit.
Avec ces prémisses, à travers un parcours narratif personnel imaginaire, j’ai essayé de me souvenir pour les voies indirectes et seulement pour les indices, comme j’ai dejà dit – une dimension intime de la maison différente des clichés bienveillants. Un statut différent qui, le caractérise, au contraire, comme une réalité parfois sombre et douloureuse, mais pas nécessairement comme un lieu de reddition et de défaite.
Loin de là!
Pour réaliser cette hypothèse conjectural, j’imaginais alors accomplir quelques cambriolages virtuels, avec un vol attaché (toujours irréel), idéalement en entrant dans certaines maisons pour prendre des photographies du dissimulé; en “violant” de cette façon, son intimité. Il s’agit des maisons fictives, bien sûr, cet hôte et les gens, également imaginaires et anonymes, gravement malades.
C’est, pour être précis, une mini série de vingt maisons, toutes habitées par des gens partageant les mêmes idées, souvent dans leurs parias sociaux de “l’invisible”. Âmes communes, comme tant d’autres, que j’ai théoriquement imaginé, en partie ou en tout, enfermé dans les murs d’une maison / prison. Assiégé, parfois, par un profond désespoir, à cause d’un amer diagnostic concernant une pathologie qui bien qu’elle ne soit pas complètement incurable reste parfois, incurable. Une condition difficile, discriminatoire et parfois précocement létale.
Je suis donc supposé entrer, en pointe des pieds, dans certains de ces tristes appartements et dois espionner dans le secret des vies imaginaires. J’ai idéalement ramené – et c’est le butin mince condensé dans le coeur de mon travail – quelques photographies (fragments d’intérieurs, petites choses à la maison) des environnements habités par ces hôtes hypothétiques / infirmes, dont j’ai également esquissé quelques microscopiques profils personnels et sanitaires, également fictifs, constitués de: noms, lieux, signes cliniques, etc. Avec l’objectif de rendre plus “lisible” ce chemin imaginaire investigatif / narratif que j’ai entrepris, les images photographiques partagent également l’espace de l’œuvre avec d’autres petits “renforts” symboliques, résumés en un melange de rélaborations, anonymes et partielles, de: documents cliniques, études sectorielles, données de santé, etc.
Je voudrais ajouter que j’imagine ce “vol “, qui n’est pas seulement photographique, que j’ai hypothétiquement soustrait à l’intimité domestique de ces maisons – et que je partagerai virtuellement à travers ces œuvres – comme une construction culturelle mince, une sorte d’imaginaire personnel fugace.
Un scénario abstrait mais pas extravagant et, encore moins, loin de la réalité quotidienne de nombreuses personnes touchées, malheureusement, de pathologies parfois progressivement invalidantes et / ou précocement létales. C’est, souvent, de vies marquées par une maladie perçue comme quelque chose d’inéluctable, un destin impitoyable privé, peut-être en raison de son propre défaut structurel. Une “tare”, parfois, sans aucun espoir de la guérison, qui connote la maladie comme un caractère ontologique et inhérent de l’existence humaine.
Un micromonde misérable, aussi hypothétique soit-il, que j’ai synthétisé métaphoriquement dans ce travail, qui s’oppose, je le répète, à un scénario social désastreusement très répandu et réel (je me réfère, en particulier, à l’Italie). À cet égard, en évitant, ici, d’autres et plus explicites positions personnelle et / ou polémiques, je me limite seulement à me souvenir du long et pas facile voie – pas seulement législative – pour parvenir à une meilleure exploitation de la «diversité», n’importe pas quels qu’ils soient: de genre, données personnelles, géographiques, de compétences, etc. Un chemin souvent tout en haut, marqué par une pluralité d’obstacles – en particulier culturels – parfois très difficile à surmonter.
Je le mentionne, parce que j’espère que meilleurs et plus nombreuses garantie d’intégration, d’équilibre et de justice seront plus favorisés, aussi par des politique le plus inclusives possible. Toujours dans cette perspective, j’espère également une attention plus large et sensible aux thèmes tout aussi délicat, comme la législation sur la fin de la vie. Notre Europe civilisée aussi dans ce domaine, n’est pas vraiment un exemple vertueux.
En effet, le Vieux Continent enregistre un cadre encore inégal et déséquilibré, qui présente des différences significatives entre les législations nationales, beaucoup plus avancées dans certains cas que d’autres qui sont (parfois très) moins, caractérisés par des retards et des “résistances”, également fortes, de toutes sortes.
Aussi pour ces raisons, j’espère avoir réussi à donner une connotation plus “politique” à l’investigation imaginaire de ces maisons condensées dans les œuvres que j’ai faites. Mes travaux peuvent être simples, mais avec des ambitions. D’abord, entre autres, ils ont le but de contrer les stéréotypes répandus et les préjugés sur les personnes qui vivent avec un handicap – congénital ou acquis c’est – essayant, ensemble, de stimuler une orientation plus positive à cet égard.
Un meilleur arrangement que, bien que se souvenir concrètement combien une maladie peut retirer, peut mettre en évidence, en revanche, ce qui ne devrait jamais (espérons-le) disparaître, à savoir: la force de résister et de se battre et, notamment … l’ésperance!
Peut-être même juste pour se réintégrer dignement, en accord avec la pathologie dont on souffre, dans le tissu émotionnel et social de référence.
Une confiance et une dialectique qui pourraient être nourries, entre autres, par l’attente de l’espoir développé dans le domaine de la recherche, à partir de la probabilité d’être encore socialement et affectivement utile, ainsi qu’un désir compréhensible et humain … pour durer plus longtemps.
La référence à certaines infirmités particulières (voir liste ci-jointe), plutôt qu’à d’autres, ainsi que décontracté, n’est ni scientifique ni profanateur. Au contraire, j’espère que ce serait favorable, humaniste et, peut-être, potentiellement transcendant. La référence doit etre capable de se référer à une image du figure humaine comprise comme une entité «haute», à la fois physique et intellectuelle, faisant partie d’un écosystème extraordinaire, dans lequel coexistent, dans une interrelation mutuelle incessante, l’esprit et la biologie, abstraite et de la matière.
Jusqu’à la fin!
Jusqu’à amalgamer ensemble, se mêler à la mort, devenant ainsi une chose: pure abstraction, la mémoire et, qui sait, peut-être aussi le mythe: personnel, familial et collectif.
Comment pourraient probablement être les maisons où ils ont trouvé l’hospitalité, aussi temporairement, ces malheureux compagnons imaginaires de lutte et … de résistance!
Ceci, bien que l’image que j’ai décrite est nébuleuse, ce texte est le contexte culturel, la géographie imaginaire sociale – aussi esthétique et dialectique – avec laquelle j’ai été confronté en “entrant” dans ces vingt maisons anonymes.
Rome, le 2 novembre 2017
G. Regnani
P.S.: A travers ce travail – peut-être le plus dur pour moi, sur le plan émotionnel- ainsi que souligner la dimension esthétique et dialectique, j’ai aussi essayé de répondre indirectement à une question liée d’une certaine manière à celle déjà posée par la recherche précédente, c’est à dire: est-ce que la maladie est une forme de la communication?
* * *
Annexe 1
The body silent
Dans toutes les maisons où j’ai été précédemment, comme dans beaucoup d’autres, j’ai vu, entre autres choses, un grand numéro de livres. Je me rappelle avoir déjà regardé un de ceux-ci dans une librairie auparavant. J’ai donc décidé de le prendre … de l’“emprunter”. Il s’agit de “The body silent” de Robert F. Murphy, un livre qui mène une réflexion sur le thème de l’handicap, analysé avec le regard – voir technique – de l’anthropologue, lui-même malade, devenu paraplégique d’abord et plus tard tétraplégique.
La maladie, à travers la dégradation progressive du corps, est perçue par Murphy comme un crochet douloreux qui ouvre les portes à une autre dimension, à une sorte d’évasion du monde, qui interrompt et perturbe les rôles sociaux habituels et donne au patient l’impression de se présenter sous une nouvelle forme. Cette situation, par rapport à la gravité de la pathologie, il l’exonère, en tout ou en partie, de ses propres devoirs sociaux antérieurs.
Cependant, il s’agit d’une dispensation liée à une contrepartie spécifique (idéologique, je me demande?), c’est-à-dire: faire tout ce qui est possible pour se rétablir. C’est parce que même l’infirmité doit se sousmettre à ses propres et spécifiques règles, paradoxalement même quand celles-ci ne peuvent pas être respectées où il n’est plus necessaire que celles-ci le soivent, sont cependant respectées.
Et donc en radicalisant, je pense, en particulier, au c.d. “L’obstination thérapeutique” et, plus généralement, à ces voies thérapeutiques qui prennent des formes de paroxysmes de sorte à s’approcher de la schizophrénie, comme dans le cas, déjà mentionné ci-dessus, des pathologies qui parfois guérissables ne peuvent être guéries.
Le malade n’a pas le choix d’être chargé du fardeau de faire tous les efforts possibles pour améliorer son propre état de santé. Toute lacune, tout échec peut être interprété comme une absence d’engagement, même en tant comme un signe d’abandon indésirable et / ou prématuré.
Dans ce sous-bois culturel, la chose la plus difficile reste la nécessité de dissoudre son indépendance de choix, car, comme malade, encore plus si handicapé, on dépend malheureusement plus ou moins complètement des autres.
De cette façon, on expérimente amèrement un déclin constant de l’estime de soi et une incursion progressive et impitoyable – une véritable usurpation – de l’esprit dû à la maladie. Ensemble, il grandit aussi une rage sans bornes, alimentée par la triste conscience d’avoir acquis une diversité inappropriée et sans précédents. Et, en passant de l’incrédulité de se découvrir malade à faire progressivement expérience de l’invalidité, la maladie touche les cordes délicates intimes, et alimente la colère existentielle pour une affliction sans fin et un désir croissant de rébellion contre le monde entier.
Un odieux sentiment de culpabilité mêlé de honte tend aussi à émerger irrationnellement, bien qu’il peut être sans fondement
La personne invalide éprouve également la forme supplémentaire d’embarras et de ressentiment liée en particulier, aux circonstances dans lesquelles leurs difficultés sont plus ou moins visibles (moteur, dialectique, mnémonique, etc.), avec la mortification inévitable de ces devoir de toute façon adressés / affichés.
On pense, si trivial soit-il, aux actes ordinaires de la vie quotidienne.
L’émergence de la maladie implique donc une reconsidération et un remodelage continus qualitatif / quantitatif de son rôle social, avec des répercussions inexorables et parfois lourdes sur son propre microsystème relationnel de référence. Un potentiel et graduel, effondrement des relations sociales et de la conséquence du retrait des contextes potentiellement plus anxiogènes et, en général, des contacts avec les autres. L’amincissement progressif des relations avant l’apparition d’une pathologie invalidante peut parfois être compensés par la recherche de nouvelles affections, peut-être … parmi «nos semblables».
Donc l’infirme est obligé de tout re-discuter, dans une confrontation incessante et intense entre lui-même et les autres, entre lui- même et son entourage, mais surtout entre lui-même et … lui-même!
Dans cette perspective, la perte progressive de l’autonomie, liée à son propre monde, prend inévitablement le dessus, et devient progressivement “la” condition centrale de la vie quotidienne d’une personne invalide.
“La dépendance vis-à-vis de la maladie est beaucoup plus qu’une simple dépendance physique envers les autres, car elle engendre une sorte de relation sociale déséquilibrée qui est englobante, existentielle et, à certains égards, plus invalidante que le défaut physique lui-même. Ce n’est pas tant un état de corps qu’un état d’esprit, une condition qui déforme tous les autres liens sociaux et contamine davantage l’identité de la personne à charge. Cet état de dépendance envahit et érode les bases [note de l’éditeur] sur lesquelles sont fondées les relations sociales. ”
Une agression cruelle qui met à rude épreuve – et sur plusieurs fronts – à la fois la «victime choisie» et ses liens sociaux et émotionnels, même les plus forts et durables.
Pendant l’évolution de la maladie, l’infirme réveille, entre autres, le concept de liminalité, ou la condition de transition d’une situation sociale – généralement mieux, pas seulement du point de vue de la santé – à un autre. Et c’est précisément dans le transit entre les deux conditions que l’on rencontre ce dimension liminale, ce “limbe social” peuplé de vies indéfinies et suspendu “au milieu”. Une dimension frustrante dans laquelle ceux qui souffrent d’une pathologie sévère:
“[…] ne sont ni malades ni en bonne santé, ni morts ni pleinement vivants, ni en dehors de la société, ni complètement impliqués. Ils sont des êtres humain, mais leurs corps sont déformés ou dysfonctionnels, laissant en doute leur pleine humanité […] mais déviants, ils sont le contrepoint de la vie quotidienne. “
Pour bien considérer l’infirmité, il ne suffit pas d’analyser uniquement la composante sociale, car elle ne rend pas pleinement la variété multidimensionnelle et l’articulation de la maladie, composées, comme c’est, à partir des expériences, des relations, des émotions, des contextes, des symboles, des significations, etc. Une multidimensionnalité – en uniformant plus de façon l’ontologie de la maladie, son immanence dans l’existence humaine –qui implique plus de domaines: la connaissance scientifique, la relation personnelle avec sa physiologie, les relations entre l’individu et la réalité sociale environnante et entre eux-mêmes et l’environnement naturel et / ou artificiel de référence. Le corps du patient, “exposé”, impuissant et perdant est, par conséquent, le lieu réel et / ou virtuel et, malheureusement, vulnérable, où l’on éprouve la perte de fonctions / facultés et les relatives humiliations, en devenant un symbole évident de la fragilité humaine. Dans cette progressive et changeante définition de la pathologie, celle-ci crée également une déchirure, progressivement plus large et parfois infranchissable, entre ce que le corps – pas seulement physique – du patient était auparavant et ce qu’il est devenu dans l’ici et maintenant.
Un avant et un après qui se réconcilient avec le stéréotype, dur à mourir, du sujet “selon la loi”, par rapport à ce qui n’est plus. Le malade, surtout celui qui vit un handicap physique, l’éprouve à plusieurs reprises, entre autres, dans les regards / commentaires des autres au sujet de son handicap, dans les lieux publics ainsi que dans les lieux privés, dans le parcours du combattant quotidien entre les environnements conçus souvent non seulement pour les personnes valides, qui les forcent à continuer et parfois difficile, sinon impossible, adaptations, stress, etc. Un réseau d’inconvénients qui, conjugués à l’impossibilité de gouverner décemment les déficits croissants de son propre corps, dégradent encore une fois la qualité, plus ou moins compromise, de la vie quotidienne.
Dans ces circonstances, une sorte d’externalisation de l’identité peut émerger: un’éloignement, une forme d’aliénation et de distanciation de l’esprit qui “s’échappe” du corps malade. Une condition qui a été défini comme une “désincarnation”.
“Ma solution au problème était la dissociation radicale du corps, une sorte d’externalisation de l’identité […] Mes pensées et mon sentiment d’être en vie ont été rapportés à mon cerveau où je réside maintenant et qui, plus que jamais, est le fondament à partir de lequelle je tends la main et j’attrappe le monde. “
Les sensations, l’état réel, la physiologie du corps assument donc un rôle subalterne, tout ça devient alors une sorte de toile de fond, comme si cela était quelque chose de détaché et de “lointain”.
Et, de cette manière, toute la vie possible est confiée à l’esprit.
Aucun autre “voyage”, en lisant “The body silent”, semble n’avoir jamais été aussi omniprésent et addictif!
Annexe 2
Fotografare il sacro
Une des valeurs fondamentales de mon travail, inspiré par la photographie précitée du sacré de Maria Giulia Dondero, est connectée à l’idée – particulièrement chère à moi – que la vie est toujours un cadeau, indépendamment de qui / quoi / où il est censé être venu. Un cadeau que je crois vaut toujours la peine … de vivre, peut-être pleinement, même dans les limites d’une existence digne.
Un don qui peut évoquer, s’il est authentique, même une dimension sacrée et transcendante, notamment pour sa nature libre et «désorganisée», liée, comme elle l’est, aussi au hasard. Une dimension sans contrefaçon, donc sans tactiques contingentes et / ou stratégies au moyen ou au long terme. Un don immotivé, instinctif et sublime ensemble, comme cela peut être une aubaine. Un avènement, un don pur, qui, en s’extirpant, peut assumer les contours d’un geste même “irresponsable” qui, comme un acte inconscient, est étranger même au donneur, et donc en étant impersonnel, est libre de tout besoin de contrepoids social. En radicalisant de plus, il peut aussi être imaginé comme un acte sans nom, inconnu même de lui-même; donc dépourvue de relation avec quelqu’un / quelque chose. Sans visage, une identité.
En d’autres termes: anonyme, invisible.
En tant qu’invités des maisons dans lesquelles, en esprit, mon avatar immatériel est apparu, un autre moi-même, même si pendant un moment, là … “c’était“!
Annexe 3
Lector in fabula
Toutefois, je n’imaginais pas ce “cambriolage” seul, mais avec l’intervention, différée, (autant, je l’espère!) d’autres collaborateurs / complices anonymes, c’est-à-dire: les observateurs / spectateurs de mon travail. Complices spéciaux: “récepteurs”, pour être exact.
Partenaires commerciaux, qui, en les intégrant à leur contribution personnelle, rechargez mon sens œuvres / butin, avant de les placer dans un trafic également imaginaire de biens volés. Un marché qui pourrait aussi être animé par le regard d’autres futurs possibles spectateurs / complices et ainsi de suite, autant de fois que possible, idéalement sans interruption.
Le point de départ, avec toutes les limites de l’affaire, vient des théories d’Umberto Eco dans son Lector in fabula, qui traitent du thème de l’interprétation du texte comme une tâche du lecteur.
A l’instar du lecteur idéal d’Eco, je voudrais idéalement stipuler une sorte de pacte de coopération avec l’observateur occasionnel de mes œuvres, qui dure peut-être longtemps même après la vision occasionnelle de l’œuvre. Un contrat de relecture hypothétique et attribution / intégration additionnelle de sens aux œuvres que je propose. De plus, cette perspective coopérative pourrait aussi être reconsidérée dans la mythologie purement heureuse sur la maison dont j’ai parlé plus tôt.
Dans cet humus coopératif, le spectateur / observateur idéal n’est pas un “naïf”. Au contraire, il a tout le potentiel – pendant et après la vision, même fugace, de mes œuvres – de contribuer idéalement à relire de son point de vue, de (re) créer, si nécessaire, le sens de mon texte / travail.
Et, probablement, “donner voix” à d’autres probables histoires de l’endurance humaine, aussi limitées soient-elles les informations / indices de départ clairsemés et déformés qui trouveront dans mon travail.
Je voudrais donc que ce collaborateur anonyme, entre ce qui a été proposé et imaginé – dire entre «dit» et «non-dit» de ces œuvres – se rejoint idéalement à moi – pour une «mise en réseau», comme une association commerciale – dans l’exploration et le partage de cette dimension de lutte, de résistance et d’espoir. Il le ferait en exploitant ses compétences et sensibilités personnelles, en les mélangeant avec les références que j’espère (suffisantes) il trouvera dans mes œuvres. Je voudrais aussi qu’il devienne un véritable co-auteur (quoique temporaire), qui, à partir de mes idées, pourra reconstruire, au moins momentanément, une ou plusieurs histoires plausibles des invités imaginaires des maisons dans lesquelles je suis idéalement entré pour prendre des photographies.
Dans cette entreprise collective, en repensant à Eco, ce co-auteur hypothétique et idéal travaillera avec moi pour que la (re) narration, éventuellement stimulée par mon travail, “fonctionne” mieux aussi pour les individus concernés (beaucoup, j’espère!), qui plus tard le partageront.
Aller plus loin dans le détail, dans une perspective plus technique, dans ces explorations virtuelles, la coopération interprétative à laquelle j’ai mentionné pourrait développer graduellement, par fractions inférentielles, non déductives mais inductives.
Dans ce travail, en fait, la généralisation de départ auquel je me réfère – c’est-à-dire, la maison, avec son triste “interne” – est une généralisation induite plutôt qu’une inférée. Plus précisément, c’est parce qu’il commence à partir de lieux incertains offerts par mes photographies de petites composantes domestiques. Pas sans doute et non linéairement toujours et cependant traçable à la certitude généralisation / maison elle-même. À partir de ces prèmises, les objets, les environnements photographiés et les généralisation / maison représentée dans mes travaux, sont reliés les uns aux autres par une relation de type quantitatif: la partie pour l’ensemble (c.d. synecdoque). La maison imaginaire à laquelle on se réfère est donc indirectement évoqué dans la représentation de: un vase, un meuble, un accessoire, un cadre, etc.
Sinon, quoique similaire, l’autre généralisation parallèle à laquelle mon travail est connecté,
– la maladie, au sens le plus dramatique, et les «renforcements» sémantiques auxquels j’ai fait allusion précédemment (documents cliniques, études sectorielles, données de santé, etc.), repose sur une relation type substitutif: quelque chose à la place de quelque chose d’autre (c.d. métonymie). La maladie, dans ce cas, est rappelée à nous par les «renforcements» métaphoriques dont je viens de parler. Une double généralisation (la maison et la maladie) qui, comme je l’ai souligné précédemment, n’était pas entièrement explicitée dans ces travaux, et donc ne peut pas apparaître immédiatement de façon évidente et, par conséquent, pas facilement “lisible”. Vice versa, si mes œuvres / locaux avaient été rappelés d’une manière moins misterieuse que les clichés, j’aurais peut-être préféré un chemin dans l’observateur probablement plus direct et déductif, dans lequel les conclusions probables sembleraient suivre d’une manière plus linéaire mes travaux / prémisses. C’est, je le sais, une route interprétative tortueuse et tendentiellement hermétique, mais il était important pour moi de partir de simples fragments de ce quotidien pas facile et heureux (métaphore aussi des “petits” à qui mon travail se réfèrent) pour ensuite revenir à un “discours”, j’espère, avec une portée plus large.
Enfin, je voudrais préciser que j’ai toujours interprété l’ensemble de ce que j’ai mentionné dans la partie initiale – non seulement mes œuvres, donc – comme un vrai texte, à comprendre non seulement comme un texte (écrit, livre, article, etc.), mais, dans un sens sémiotique, comme un récipient formel de sens, peut-être à décoder.
Quelques références
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Maria Giulia Dondero, Fotografare il sacro, Booklet, Milano;
Umberto Eco, Lector in fabula, Bompiani, Milano;
Robert F. Murphy, Il silenzio del corpo, Erickson ed., Trento;
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_abbreviations_for_diseases_and_disorders;
Dégagement de responsabilité
Ce récit est une oeuvre de pure fiction. Par conséquent toute ressemblance avec des situations réelles ou avec des personnes existantes ou ayant existé ne saurait être que fortuite. (traduction: G. Altomare)
english full text
The home. “Interiors”
Back then, I created a polyptych dedicated to the theme of the home.
My previous one work, even though it was also “polluted” by my experience, was more oriented on presenting a possible repertoire of forms of myth, a sort of microcatalogue of its varieties and of the relative, hypothetical and collective imaginary.
However, on this occasion, the previous mythical dimension is pushed into the background, almost silent, and gives way to a mournful mythology of everyday life.
A less fortunate daily life, that is evoked only indirectly and with some references, a less fortunate daily life that is never explicitly shown and which I ideally investigated during my imaginary inquiry to give form to the invisible through (“low fi“) photography.
In order to do so, I started from a fundamental, but not irrelevant, observation: everything is endowed with an aesthetic and a dialectic – technically, the means of communication – even when these properties seem to be absent or even denied.
Still death, whether seen live or mediated, owns it anyway. Usually this distressing screenplay is delineated by a succession of dreadful moments, which are not infrequently characterised by a surreal and apparent absence of dialectics. After all, death is a situation in which – by statute – any dialectical opposition with anyone are not allowed.
It is the sore and unchanging denial of any comparison and it never shows mercy to anyone.
It is always implacable in front of any form of life.
As I said before, everything starting from death on, also communicates through aesthetic and dialectic expressions – which can be material, immaterial, unstable and peculiar – even when they seem to be absent and / or appear to be returned to sender.
Among the various media, photography, from its outset, continues to offer us a selection of practically infinite examples, thanks to its immense visual heritage.
Among the many subjects of the medium’s investigation, the home, with its load of myth and stereotypes, is certainly an exemplary case, since it offers such a wide choice of aesthetic / dialectic variants and it’s able to understand the most disparate or, in some cases, even antithetical expressions.
Among the countless options of the myth – considering that it is functional to the “discourse” intrinsic in this final work I carried out – I started from the one which interprets the home as a serene physical and / or spiritual place. A magical treasure chest, a merry environment made to preserve, protect and share in the best way our most precious and symbolic “treasures”.
First and foremost, our loved ones. That’s usually how it is. However, for what concerns other “goods” less relished, such as the deep wounds that life, unfortunately, may inflict on us and which still need to be hosted and safeguarded by the home, it appears to me that a certain code of silence, goes on back and forth frequently. This can include, among all the possible torments: a harassing feeling, an emotional breakdown, a drug addiction, a handicap and, last but not least (for personal reasons), a severe pathology. In such circumstances, the reticence I have mentioned before can hide, behind the smokescreen of the positive ideal of the home, something diametrically opposed, that’s to say a space of segregation, isolation and brutalization.
Therefore, the home can turn out to be an unhealthy place which should be avoided. A stagnant swamp of psychophysical misery where, for the most diverse reasons, people tend to hide and relegate those unwelcome “interiors” that unfortunately fate, sometimes makes us experience and undergo, rather than showing them.
Thus, the stereotype which has always imagined the home almost exclusively in a positive key – valid as much as, perhaps, stale – could / should, where appropriate, be integrated / revised with the adverse idea that depicts an occasionally less benevolent and lucky dimension.
A physical/abstract place (equally) possible, certainly less desirable and enviable, since at times it also hosts the ground hell of the disease.
A disease intended as the darkest and most terrible fraction of existence, as Maria Giulia Dondero in “Fotografare il sacro” and Robert F. Murphy in “The body silent” have effectively underlined, even if from different as well as interconnected perspectives (semiotic, anthropological, etc., see Appendices 1 and 2).
Therefore, the home is also regarded as a place of suffering and pain, while still remaining a presidium of tenacious opposition to the adversities of life and, in any case, a symbolic bastion of trust in the future.
In this regard, I recall that health is considered by the WHO a fundamental right of humanity and it is not meant as the pure and simple absence of illness, but as a person’s state of complete physical, psychic and social well-being.
A psychophysical and social well-being that, evidently, an unfortunate diagnosis tends to deny and dissipate, since it is usually “armed”of a bitter and cruel antidialectic, similarly to death.
A strong unwillingness to mediate, “reinforced” at times by an equally dramatic and insensitive aesthetic which, instead of mitigating, can further accentuate the status of malaise and distress which the doomed protagonist experiences.
Against this backdrop, I tried to evoke – in indirect ways and only with some references, as I said before – an intimate dimension of the home, different from the common and positive cliche, by using an imaginary and personal narrative path. A different status that, conversely, describes the home as a reality which can sometimes be dark and painful, but not necessarily as a place of surrender and defeat.
Anything but that!
Therefore, in order to fulfil this hypothetical and imaginary investigation, I imagined myself committing an infringement, with an attached (always unreal) robbery, by ideally entering a home to secretly take some pictures; thus “violating” its intimacy. I am talking about fictitious houses, of course, that host people, imaginary as well, who are anonymous and seriously ill. It is about, exactly, a miniseries of twenty houses, all inhabited by like-minded individuals who are, very often, social pariah, almost “invisible”.
Common souls, like many more, that I have theoretically imagined, in part or completely, locked up within the walls of a house/prison. Sometimes they are besieged, by a deep despair due to a bitter diagnosis related to a pathology that, even though it appears to be not entirely incurable, sometimes remains incurable. A difficult, discriminatory and, occasionally even precociously lethal condition.
Therefore, I have supposed to enter on tiptoe into some of these mournful apartments and to secretly spy on some imaginary lives. I ideally brought back – and it’s the thin loot condensed in my work – some photographs (fragments of interiors, small things at home) of the environments inhabited by these hypothetical guests / invalids, of whom I have also sketched some microscopic personal and health profiles, also fictitious, made up of: names, places, clinical signs, etc.
In order to make my imaginary investigative / narrative path more “legible”, the images proposed share the perimeter of my work with some other small and symbolic “reinforcements”, summarized in a miscellany of reworkings, which are anonymous and partial as well, of: clinical documents, sector studies, health data, etc.
In addiction, the “loot”, that isn’t just made of pictures, which I have hypothetically subtracted to the domestic intimacy of these houses – and that I will virtually share through my works – are like slender cultural constructs, like a sort of evanescent personal imaginary. An abstract scenario, neither implausible nor, much less, far from the everyday life of many people who are unfortunately affected by pathologies that are sometimes progressively disabling and / or precociously lethal. It is about, sometimes, lives marked by a disease perceived as something ineluctable, as a ruthless private destiny, perhaps due to its own structural deficiency. Sometimes, it’s a “defect” with no hope of recovery, which connotes the disease as an ontological, inherent character, of human existence.
A miserable microworld, hypothetical as it may be, that I have therefore summarised metaphorically in this work and that is opposed, once again, to a disgracedly widespread and real social scenario (I refer, in particular, to Italy). In this regard, avoiding, here, to talk about other and explicit positions and / or personal polemics, I shall confine myself to remember the long and never easy journey – not just legislative – made in order to achieve a better exploitation of “Differences” of all kind: gender, personal data, geographical, competence, etc.
An itinerary that is often all uphill and marked by a plurality of barriers – especially cultural – which can sometimes be very difficult to overcome. I touch upon the issue, because I hope that greater and better guarantees of integration, balance and social justice will be further favoured, also through policies which should be more inclusive. In this perspective, I also hope for a more widespread and sensitive attention to equally delicate issues, such as the Suicide Act. Our excessively civilised Europe, even in this field, does not represent a virtuous example. In fact, the Old Continent registers a still uneven and unbalanced framework that presents relevant differences among the diverse national laws which can sometimes be very innovative but which can also be characterised, even excessively, by delays and strong “resistances” of all sort.
For these reasons, I hope I managed to give a more “political” connotation to the imaginary investigation condensed into my works, which may be simple, but ambitious.
Primarily, I am talking about the ambition to counter the widespread stereotypes and prejudices about who lives with a disability – congenital or acquired that it can be – by trying, at the same time, to stimulate a more positive orientation in this regard.
It is a better arrangement that, while remembering concretely how much a damned disease can plausibly take away from us, can highlight, in contrast, what it should never (hopefully) take away from us, that is: the strength to resist and fight and, last but not least, … hope!
Maybe even the hope to reintegrate in a dignified way, consistently with the nature of one’s pathology, in the emotional and social structure of reference.
A trust and a dialectic that could be fostered, among other things, by the expectation of auspicable developments in the field of research, by the likelihood of still being socially and affectively useful, as well as by an understandable and human desire … to last longer.
The reference to some particular diseases (see attached list), rather than to others, is just casual, without being scientific or defiler. On the contrary, I would hope it could be supportive, humanistic and, perhaps, potentially transcendent. This means capable of referring to understand the human figure as a “high” entity, both physical and intellectual, which is part of an extraordinary ecosystem in which spirit and biology, as well as abstract and matter, are able to coexist in an incessant mutual interrelation.
Until the end!
Until they merge into one identity, mingling with death and thus becoming pure abstraction, memory and, who knows, maybe even myth: personal, domestic, collective… like could probably be the houses where these imaginary unfortunate companions of struggle and … resistance found hospitality, even if temporary!
No matter how vague could be the picture I have outlined, this is the cultural background, the imaginary social map- also aesthetic and dialectic – I have been struggling with when “entering” these twenty anonymous houses.
Rome, November 2nd 2017
G.Regnani
P.S.: Through this work – perhaps the hardest for me, on an emotional level – apart from highlighting the aesthetic and dialectical dimension, I have also tried to indirectly answer ito a question which is in some respects similar to the one already posed by the previous research, that is: could the disease be a form of communication?
* * *
Appendix 1
The body silent
In all the houses where I have been, as in others, I have noticed, among all the different objects, a large number of books. I remembered having already looked through one of them in a bookshop before. Therefore, I decided to take it… to “borrow” it.
I am talking about “The body silent” written by Robert F. Murphy. It is about the theme of the disability, analysed by the technical prospective of the anthropologist, who at first became paraplegic, and then tetraplegic.
Murphy considers the disease, through the progressive degradation of the body, as a painful picklock that opens the doors to a different dimension, to a sort of getaway from the world that interrupts and disrupts the usual social roles and makes the patient feel brand new. This situation, in relation to the severity of the pathology, exonerates the patient, partly or completely, from his own previous social duties. However, it is a dispensation connected to a specific counterpart (ideological, I wonder?): to do everything possible to recover.
This happens because the infirmity undergoes its own and specific rules, paradoxically even when these cannot be respected or there is no need for them to be respected. This occurs by radicalizing, I reckon, in particular to c.d. “Therapeutic obstinacy” and, more generally, to those therapeutic pathways that assume forms of paroxysms which are close to schizophrenia, like, as I said before, pathologies which sometimes, however curable, can not be cured. However, the infirm has no choice, overburdened, as he is, with the encumbrance of making every possible effort in order to improve his own health conditions. Any deficiency, any failure is regarded as an absence of commitment, and even as an unwanted and / or premature sign of abandonment.
In this cultural undergrowth, the most difficult thing is still the need to endure the progressive disband of one’s independence of choice, because the infirm (even more if he’s disabled) is unfortunately forced to depend, more or less completely, on others.
In this way, a constant decline in self-esteem and a progressive and ruthless incursion – a real usurpation – of the mind due to the disease are bitterly experimented. Together with this feeling, one can see the growth of a boundless rage, fueled by the sad awareness of having acquired an unprecedented, even if unwelcome, diversity. Moreover, by experiencing at first the unbelief of discovering to be sick and then the disability in a progressive way, the infirmity touches intimate and delicate ropes and feeds an existential wrath for an endless affliction and a growing desire for rebellion towards the entire world.
A hateful feeling of guilt, mixed with shame, tend irrationally to emerge even if unfounded.
The infirm also experiences the further form of embarrassment and resentment linked, in particular, to those circumstances in which their difficulties are more or less visible (motoric, dialectics, mnemonic, etc.), with the inevitable mortification of having to deal with them anyway.
Let’s think, however trivial it may be, about ordinary acts of daily life.
Therefore, the emergence of the disease involves a continuous reconsideration and a qualitative / quantitative remodeling of one’s social role, with inexorable and sometimes heavy repercussions on one’s own relational microsystem of reference.
I am talking about a potential and gradual crumble of social relationships, with the consequent withdrawal from potentially more anxiety-producing contexts and, in general, from contacts with others. The progressive thinning of relationships prior to the onset of disabling pathology can sometimes be compensated by the search for new affections, perhaps … between “like-minded ones”.
Moreover, the infirm needs to re-discuss everything in an incessant and intense confrontation between his own self and others, between himself and his surroundings, but above all, between himself and … himself!
In this perspective, the progressive loss of autonomy, related to one’s own world, inevitably gains the upper hand, gradually becoming “the” central condition of the daily life of a disabled person.
“The dependency from the disease is much more than simple physical reliance upon others, for it begets a kind of lopsided social relationship that is all encompassing, existential, and in some ways more crippling than the physical defect itself. It is not so much a state of body as a state of mind, a condition that warps all one’s other social ties and further contaminates the identity of the dependent. This state of dependency invades and erodes the basics [editor’s note] on which social relations are founded. ”
It is a cruel assault that challenges- on several fronts – both the “chosen victim” and his social and emotional bonds, even the strongest and lasting ones.
During the evolution of the infirmity, one discovers, among other things, the concept of liminality, intended as that condition of transition from a social situation – usually better, not just for what concerns health- to another. And it is precisely in the transit between the two conditions that one encounters this liminal dimension, this “social limbo” populated with indefinite and standing in mid-air lives.
It is a frustrating dimension in which those suffering from a severe pathology:
“[…] are neither sick nor well, neither dead nor fully alive, neitherout of society nor wholly in it. They are human beings but their bodies are warped or malfunctioning, leaving their full humanity in doubt. […] anything but deviant, they are the counterpoint of everyday life. “
In order to consider the state of infirmity in its entirety, it is not enough to analyse only the social component, because it does not explain the multidimensional variety and articulation of the disease, composed, as it is, from experiences, relationships, emotions, contexts, symbols, meanings, etc.
This multidimensionality – that connates in different ways the ontology of the disease and its immanence in human existence – affects several areas: the scientific knowledge, the personal relationship with one’s own physiology, the relationships between the individual and the surrounding social reality and those between themselves and the natural environment and / or artificial reference.
Therefore, the body of the infirm, “exposed”, helpless and losing is unfortunately the (real and / or virtual) vulnerable place where one experiences the loss of functions / faculties and the related humiliations, thus becoming an evident symbol of human frailty.
In the progressive and changing definition of the pathology, one can moreover assist to the creation of a rift, gradually wider and sometimes unattainable, between what it previously was and how much, in the here and now, the body of the patient has become – not only physically. A before and after that come to terms with the stereotype, hard to die, of the subject “according to law”, compared to what it is not anymore.
The patient, especially the one who lives a physical impairment, repeatedly experiences it, among other things, among the looks / comments of others on his disability, both in public places and in private ones, in the race to daily obstacles between environments designed not infrequently only for able-bodied people, that force them to continuous and sometimes difficult, if not impossible, adaptations, stress, etc.
A network of hardships that, together with the impossibility of conveniently governing the growing deficits of one’s own body, further degrades the quality, already more or less compromised, of everyday life.
In these circumstances, a sort of outsourcing of identity can emerge: an estrangement, a form of alienation and distancing of the mind that “escapes” from the sick body. A status called “disembodiment.”
“My solution to the problem was the radical dissociation from the body, a sort of externalization of identity […] My thoughts and sense of being alive have been reported to my brain where I now reside and which, more than ever, is the base from which I reach out and grab the world. “
Therefore, all this feelings, the real state and the physiology of the body assume a subordinate role, becoming a sort of background, as if it were something detached and “distant”.
In this way, all possible life is into the custody of the mind.
No other “trip”, while reading “The silence of the body”, seems to have ever been so pervasive and addictive!
Appendix 2
“Fotografare il sacro”
One of the founding values of this work, inspired by the aforementioned “Fotografare il sacro” written by Maria Giulia Dondero, is linked to the idea that life is still a gift, regardless of who / what / where it is supposed to have possibly come from. A gift that I believe is always worthwhile … to live, possibly fully, even within the limits of a dignified existence.
A gift that can evoke, if authentic, even a sacred and transcendent dimension, in particular for its gratuitous and “disorganized” nature, linked, as it is, also to chance. A dimension without counterfeits, without contingent tactics and / or medium or long-term strategies. An unmotivated gift, instinctive and sublime at the same time, as it can be a dawn. An advent, a pure donation, which can assume the profile of an “irresponsible” gesture that, like an unconscious act, is foreign even to its donor. Since it is, therefore, impersonal, it is free from any need for social counterbalancing. It can also be imagined, on an extreme level, as an act without a name, unknown even to itself; therefore devoid of a relationship with someone / something. It has no face, and no identity.
It is anonymous, invisible, just like the guests of the houses in which, in spirit, my immaterial avatar appeared. Even for a while, another part of myself…has “been there”!
Appendix 3
“Lector in fabula”
I did not imagine this “burglary” alone, but with the deferred intervention of (so many, I hope!) other anonymous collaborators / accomplices: the observers / spectators of my work.
They are special accomplices: they are “receivers”, to be exact. They are also business partners, who further recharge my loot by integrating it with their personal contribution and then by placing it in an equally imaginary trafficking of stolen goods. This market can also be enriched as much as possible, thanks to the gaze of other possible futures spectators / accomplices.
The starting point, with all the limits of the case, comes from the theories of Umberto Eco in his Lector in fabula, which deals with the theme of the interpretation of the text as a task of the reader.
Analogously to the ideal reader of Eco, I would like to stipulate a sort of deal with the occasional observer / spectator of my works, which, can last long, hopefully, even after the occasional view of the work.
I am talking about a hypothetical re-reading contract and an additional attribution / integration of meaning to the works I propose. Moreover, in this cooperative perspective, the purely happy mythology about the home of which I mentioned earlier could also be reconsidered.
In this cooperative humus, the ideal viewer / observer is not a “naive”. On the contrary, he has all the potential – both during and after the vision, even fleeting, of my works – to contribute and re-read my works from his point of view and (re) create, if necessary, the meaning of my text.
He could also “give voice” to other probable stories of human endurance, however limited may result in the sparse and distorted information / clues of departure that he could find in my work.
Therefore, I would like him to join me in a sort of “network”, in order to explore and share this dimension of struggle, resistence and hope, between what I said and what I did not say in my works.
He would do it by using his personal skills and sensibilities and by connecting them to the references that I hope he will find in my works. I would also like him to become a true co-author (however temporary) which, starting from my cues, could reconstruct at least temporarily, one or more plausible stories of imaginary guests of the aforementioned houses.
In this collective undertaking, thinking again of Eco, this hypothetical and ideal co-author will work together with me so that the (re) narration, possibly stimulated by my work, can “function” in the best way, even for all those who will share it in the future.
Going further into detail, in a more technical perspective, in these virtual explorations the interpretative cooperation I mentioned before could develop gradually, by inferential and inductive fractions.
In this work, in fact, the starting generalisation I mentioned before – that is, the home, with its sad “interiors” – is an induced generalization rather than an inferred one. More specifically, this happens because it starts from uncertain premises offered by my photographs of small domestic components which are not undoubtedly and not linearly always and attributable to the generalization / home itself.
Having said this, the objects, the environments photographed and the generalization/house represented in my work, are connected to each other with a quantitative relation, that’s to say by specifying the part for the whole (so-called synecdoche). Therefore, I have evoked the imaginary house indirectly, through the representation of: a vase, a piece of furniture, an accessory, a frame, etc.
Otherwise, albeit similar, the other parallel generalization to which my work is connected – the disease, in its most dramatic sense – and the semantic “reinforcements” previously mentioned (clinical documents, sector studies, health data, etc.), is based on a substitutive relation, that is to say by specifying something in place of something else (c. metonymy). In this case, I refer to the disease by using metaphorical “reinforcements” related to what I have just re-mentioned.
I am talking about a double generalization (the house and the status of illness) that, as I pointed out before, was not entirely explicit in these works. Thus, it may not appear immediately evident or easily “readable”.
Vice versa, if my works / premises had recalled some clichés in a less cryptic manner, I could perhaps have given to the observer more direct and deductive cause for reflection, in which the probable conclusions would seem to follow consistently my works / premise.
This is, I realize, a tortuous and tendentially hermetic interpretative route but it was important for me to start from small and simple fragments of this not easy and unhappy daily life (metaphor, too, of the “little things” to whom the work refers) in order to then go back to a “discourse”, I hope, with a wider scope.
Finally, I specify that I have always interpreted what I mentioned in the initial part of my work- therefore, not only my works – as a true text that needs to be understood not exclusively as a work text (written, book, article, etc.) but, in a semiotic meaning, as a formal container of sense that has to be decoded.
Some references
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Maria Giulia Dondero, Photographing the sacred, Booklet, Milan;
Umberto Eco, Lector in fabula, Bompiani, Milan;
Robert F. Murphy, The silence of the body, Erickson ed., Trento;
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_abbreviations_for_diseases_and_disorders;
http://www.icd10data.com/;
Disclaimer
This is a work of fiction. Names, characters, businesses, places, events, locales, and incidents are either the products of the author’s imagination or used in a fictitious manner. Any resemblance to actual persons, living or dead, or actual events is purely coincidental. (translation by: G. Altomare)
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La casa. “Interni”/La maison. “Intérieurs”/The home. ‘Interiors’(***)
(scheda tecnica e illustrativa/fiche technique et illustrative/technical and illustrative sheet)
Il polittico/Le polyptyque/The polyptych
- il polittico intitolato La casa. “Interni” è composto da n. 21 opere/ le polyptyque intitulé La maison. “Intérieurs” est composé de n. 21 œuvres/images/the polyptych entitled The home. “Interior” is composed of n. 21 works
- ogni opera/immagine misura cm 50 x 50 circa/chaque œuvre mesure environ 50 x 50 cm each work measures approximately 50 x 50 cm
- il layout è il seguente/la disposition est la suivante/the layout is as follows:
- l’immagine/opera centrale (la n. 11), in particolare/l’image centrale (le numéro 11), en particulier/the central work (the number 11), in particular:
- è formalmente simile alle altre immagini, ma diversa nel contenuto/il est formellement similaire à d’autres images, mais différent dans le contenu/it is formally similar to other images, but different in content
- fa allo spettatore una domanda sulla comunicazione/il demande au spectateur une question sur la communication/it asks the viewer a question about communication
- riassume metaforicamente l’intero polittico/il résume métaphoriquement l’ensemble du polyptyque/metaphorically summarizes the entire polyptych
- ognuna delle altre 20 immagini è dedicata ad un malato e alla sua malattia (entrambi immaginari)/chacune des 20 autres images est dédiée à un patient et à sa maladie (les deux imaginaires)/each of the other 20 images is dedicated to a patient and his illness (both imaginary)
- in ogni opera ci sono due fotografie: una centrale e una di contorno, posta sullo sfondo, che “incornicia” quella visibile al centro (entrambe modificate con un photo editor)/dans chaque oeuvre il y a deux photographies: une centrale et un contour, placé en arrière-plan, qui “encadre” celui visible au centre (tous deux modifiés avec un éditeur de photo)/in each work there are two photographs: a central one and a contour, placed in the background, which “frames” the one visible in the center (both modified with a photo editor)
- ogni fotografia centrale, ad eccezione di quella dell’opera n. 11, raffigura dei particolari di interni/esterni e/o di arredi/accessori delle case nelle quali “sono entrato” durante la mia investigazione immaginaria/chaque photographie centrale, à l’exception de l’œuvre n. 11, représente les détails de l’intérieur/extérieur et/ou du mobilier/accessoires des maisons dans lesquelles “je suis entré” au cours de mon enquête imaginaire/every central photograph, with the exception of the work n. 11, depicts details of interior/exterior and/or furniture/accessories of the houses in which “I entered” during my imaginary investigation
- ogni fotografia sullo sfondo raffigura una rielaborazione di parti di ipotetici e anonimi documenti collegati alla malattia del protagonista immaginario dell’opera, come, ad esempio: ricerche di settore, grafici, dati sanitari, analisi cliniche, etc./chaque photographie en arrière-plan représente une refonte de parties de documents hypothétiques et anonymes liés à la maladie du protagoniste imaginaire de l’œuvre, comme par exemple: recherche sectorielle, détail des graphiques, information sur la santé, analyses cliniques, etc./each photograph in the background depicts a reworking of parts of hypothetical and anonymous documents related to the illness of the imaginary protagonist of the work, such as, for example: sector research, graphs, health data, clinical analyzes, etc.
- i dati di ogni fittizio protagonista di ciascuna opera, eccetto quella centrale, sono riepilogati in una piccola scheda anagrafica e sanitaria, anch’essa immaginaria, stampata in sovraimpressione, che indica: nome, città, età, gruppo sanguigno, sigla della malattia, codice ICD-10(*); in particolare, il nome della città indicato in ogni scheda anagrafica visibile su ciascuna opera è quello del capoluogo di una delle Regioni d’Italia/ les informations relatives à chaque protagoniste imaginaire de chaque œuvre, sauf l’œuvre centrale, sont résumées dans une petite fiche personnelle et médicale, également imaginaire, imprimée en surimpression, indiquant: nom, ville, âge, groupe sanguin, initiales de la maladie, code de la CIM-10(*); en particulier, le nom de la ville indiqué sur chaque carte de données personnelles visible sur chaque œuvre est celui du chef-lieu de l’une des Régions d’Italie/the information relating to each imaginary protagonist of each work, except the central one, is summarized in a imaginary small personal and medical data sheet, printed in superimpression, indicating: name, city, age, blood group, initials of the disease, ICD-10 code(*); in particular, the name of the city indicated in each personal data card visible on each work is the name of the main cities of Italy’s Region
- il layout della scheda è il seguente/la disposition de la fiche est la suivante/the layout of the sheet is as follows:
Indice dei nomi, delle città, delle sigle delle malattie/Index des noms, villes, acronymes des maladies/Index of names, cities, acronyms of diseases(*)
- Pietro R., Firenze, DMD
- Silvio B., Torino, RA
- Amalia M., Bari, AD
- Marina B., Milano, SLE
- Mario L., Trieste, HIV
- Sara T., Perugia, ALL
- Arianna P., Cagliari, OA
- Luca P., Genova, HD
- Giovanni F. , Aosta, EPI
- Maria Z., Catanzaro, CGG
- una domanda sulla comunicazione/ une question sur la communication/a question about communication
- Maura D., Potenza, SOB
- Fabio V., Bologna, CF
- Aldo S., Roma, NB
- Michele G., Trento, PD
- Ada G., Napoli, EDS
- Luciana C., Venezia, MS
- Flavia Q., Ancona, NF
- Riccardo B. , L’Aquila, RRP
- Rosa G., Palermo, LC
- Vincenzo C. , Campobasso, IBD
Indice dei paragrafi/Index des paragraphes/Index of paragraphs(*)
- DMD Distrofia di Duchenne/Myopathie de Duchenne/Duchenne muscular dystrophy
- RA Artrite reumatoide/Polyarthrite rhumatoïde/Rheumatoid arthritis
- AD Malattia di Alzheimer/Maladie d’Alzheimer/Alzheimer’s disease
- SLE Lupus eritematoso sistemico/Lupus érythémateux disséminé/Systemic lupus erythematosus
- HIV Virus dell’immunodeficienza umana/Virus de l’immunodéficience/Human Immunodeficiency Virus
- ALL Leucemia linfoblastica acuta/Leucémie aiguë lymphoblastique/Acute lymphoblastic leukemia
- OA Osteoartrosi/Arthrose/Osteoarthritis
- HD Malattia di Huntington/Maladie de Huntington/Huntington’s disease
- EPI Epilessia/Épilepsie/Epilepsy
- CGG Coagulopatia/Coagulopathie/Coagulopathy
- SOB Dispnea/Dyspnée/Shortness of breath
- CF Cystic fibrosis/Fibrose kystique/Cystic fibrosis
- NB Neuroblastoma/Neuroblastome/Neuroblastoma
- PD Morbo di Parkinson/Maladie de Parkinson/Parkinson’s disease
- EDS Narcolessia/Hypersomnolescence/Excessive daytime sleepiness
- MS Sclerosi multipla/Sclérose en plaques/Multiple sclerosis
- NF Fascite necrotizzante/Fasciite nécrosante/Necrotizing fasciitis
- RRP Papillomatosi respiratoria/Papillome humain/Laryngeal papillomatosis
- LC Cirrosi epatica/Cirrhose/Cirrhosis
- IBD Malattia di Crohn/Maladie de Crohn/Chron’s desease
Alcuni brevi cenni sulle patologie/Quelques petit informations sur les maladies/Some brief information on diseases
(Le generiche informazioni qui di seguito riportate non sono consigli medici e potrebbero, pertanto, non essere accurate. I contenuti hanno, in ogni caso, solo un semplice fine illustrativo e non sostituiscono in nessun modo il parere del medico/Les informations générales ci-dessous ne sont pas des conseils médicaux et peuvent donc ne pas être exactes. Le contenu n’a, dans tous les cas, qu’un but illustratif simple et ne remplace en aucun cas l’opinion du médecin/The general information below is not medical advice and may therefore not be accurate. The contents have, in any case, only a simple illustrative purpose and do not in any way replace the doctor’s opinion).
Elenco delle patologie/Liste des maladies/Desease’s list(*)
- DMD Distrofia di Duchenne/Myopathie de Duchenne/Duchenne muscular dystrophy
ICD-10-CM Diagnosis Code G71.0
- La distrofia di Duchenne è la più frequente e la meglio conosciuta tra le distrofie muscolari dell’infanzia. Ha un decorso relativamente rapido e attivo. Essa è anche detta distrofia muscolare generalizzata dell’infanzia. La distrofia di Duchenne viene di solito riconosciuta al terzo anno di vita, ma almeno la metà dei pazienti presenta i segni della malattia prima che inizi la deambulazione. Solitamente la morte è dovuta ad insufficienza respiratoria, infezioni polmonari o scompenso cardiaco. L’aspettativa di vita dipende sempre dal soggetto e negli ultimi dieci anni le prospettive di vita si sono allungate notevolmente grazie alla ventilazione notturna; se decenni fa alcuni medici sostenevano che un paziente affetto da DMD potesse difficilmente superare il secondo decennio, ci sono molti casi di pazienti con Distrofia Muscolare di Duchenne che vivono oltre il cinquantesimo anno di età. In passato si riteneva non esistesse alcun tipo di trattamento per questa patologia, ma le ricerche in corso sembrano promettenti.
- La myopathie de Duchenne (DMD) est la plus grave des manifestations en rapport avec un déficit de la dystrophine qui permet aux muscles de résister à l’effort : sans elle, les fibres musculaires se dégénèrent. La maladie peut toucher tous les muscles dont le muscle cardiaque. Cette cardiomyopathie est la principale responsable de la mortalité de cette maladie. Quand le diaphragme est atteint par la maladie cela entraîne un arrêt respiratoire ce qui peut être une autre cause de mortalité due à cette maladie. Le diagnostic est souvent réalisé après l’âge de 2 ou 3 ans, c’est-à-dire après l’apparition des premiers signes cliniques. Elle se fait vers une aggravation progressive : la quasi-totalité des garçons atteints sont en fauteuil roulant à l’âge de 12 ans. L’espérance de vie, du fait de l’aggravation des troubles respiratoires, est en moyenne d’à peu près 25 ans en 2002. Elle a doublé en 20 ans grâce à la prévention et à l’information: elle est passée de 20 ans à peine à plus de 40 ans. Le décès est le plus souvent de cause respiratoire. Des expériences sont en cours sur des souris.
- Duchenne muscular dystrophy (DMD) is a severe type of muscular dystrophy. The symptom of muscle weakness usually begins around the age of four in boys and worsens quickly. Typically muscle loss occurs first in the upper legs and pelvis followed by those of the upper arms. This can result in trouble standing up. Most are unable to walk by the age of 12. Affected muscles may look larger due to increased fat Scoliosis is also common. Some may have intellectual disability. Females with a single copy of the defective gene may show mild symptoms. Duchenne muscular dystrophy is a rare progressive disease which eventually affects all voluntary muscles and involves the heart and breathing muscles in later stages. As of 2013, the life expectancy is estimated to be around 25 but this varies. With excellent medical care males are often living into their 30s. No cure for muscular dystrophy is known.
- RA Artrite reumatoide/Polyarthrite rhumatoïde/Rheumatoid arthritis
ICD-10-CM Diagnosis Code M05
- L’artrite reumatoide (AR) è una poliartrite infiammatoria cronica, anchilosante e progressiva a patogenesi autoimmunitaria e di eziologia sconosciuta, principalmente a carico delle articolazioni sinoviali. Può provocare deformazione e dolore che possono portare fino alla perdita della funzionalità articolare. La patologia può presentare anche segni e sintomi in organi diversi. L’esordio si osserva prevalentemente al termine della adolescenza o tra 4º e 5º decennio di vita; un secondo picco si osserva tra i 60 e 70 anni. Una variante precoce dell’AR è costituita dall’artrite reumatoide dell’infanzia. La causa di insorgenza non è completamente nota.
- La polyarthrite rhumatoïde (PR) est la cause la plus fréquente des polyarthrites chroniques. C’est une maladie dégénérative inflammatoire chronique, elle est caractérisée par une atteinte articulaire souvent bilatérale et symétrique, évoluant par poussées vers la déformation et la destruction des articulations atteintes. Le diagnostic peut en être malaisé au début de son évolution, en raison de l’absence de signe clinique spécifique, du caractère inconstant des signes biologiques et du retard d’apparition des érosions articulaires radiologiques ou de leur lente évolution. La polyarthrite rhumatoïde est une maladie auto-immune d’origine inconnue.
- Rheumatoid arthritis is a long-term autoimmune disorder that primarily affects joints. It typically results in warm, swollen, and painful Pain and stiffness often worsen following rest. Most commonly, the wrist and hands are involved, with the same joints typically involved on both sides of the body. RA is most frequent during middle age and women are affected 2.5 times as frequently as men. The disease may also affect other parts of the body. While the cause of rheumatoid arthritis is not clear, it is believed to involve a combination of genetic and environmental factors.
- AD Malattia di Alzheimer/Maladie d’Alzheimer/Alzheimer’s disease
ICD-10-CM Diagnosis Code G30
- La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa progressivamente invalidante con esordio prevalentemente in età presenile (oltre i 65 anni, ma può manifestarsi anche in epoca precedente). Nel DSM-5 viene nominata come disturbo neurocognitivo lieve o maggiore. Si stima che circa il 50-70% dei casi di demenza sia dovuta a tale condizione. A poco a poco, le capacità mentali basilari vengono perse. Anche se la velocità di progressione può variare, l’aspettativa media di vita dopo la diagnosi è dai tre ai nove anni. La causa e la progressione della malattia di Alzheimer non sono ancora ben compresi. La ricerca indica che la malattia è strettamente associata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari riscontrati nel cervello, ma non è nota la causa prima di tale degenerazione.
- La maladie d’Alzheimer est une maladie neurodégénérative (perte progressive de neurones) incurable du tissu cérébral qui entraîne la perte progressive et irréversible des fonctions mentales et notamment de la mémoire. C’est la cause la plus fréquente de démence chez l’être humain. La destruction des neurones se poursuit jusqu’à la perte des fonctions autonomes et la mort. La vitesse et l’évolution de la maladie varient selon l’individu, ce qui rend difficile tout pronostic, notamment d’espérance de vie (de 3 à 8 ans selon l’âge du patient au moment du diagnostic. La maladie évolue en quatre étapes, avec une progression caractéristique de troubles cognitifs. L’apparition de plaque amyloïde peut être due au vieillissement normal. L’accumulation anormale sous-jacente à la maladie d’Alzheimer reste cependant inexpliquée. La responsabilité de toxiques est suspectée, tels que le mercure lorsqu’il est accumulé dans le cerveau sous sa forme ionisée divalente pro-oxydante et à forte affinité pour les groupements soufrés thiols.
- Alzheimer’s disease is a chronic neurodegenerativedisease that usually starts slowly and worsens over time. It is the cause of 60% to 70% of cases of dementia. There are no medications or supplements that decrease risk. No treatments stop or reverse its progression, though some may temporarily improve symptoms. In developed countries, AD is one of the most financially costly diseases. It most often begins in people over 65 years of age. The exact cause of disease is unknown.
- SLE Lupus eritematoso sistemico/Lupus érythémateux disséminé/Systemic lupus erythematosus
ICD-10-CM Diagnosis Code M32
- Il lupus eritematoso sistemico (LES, o semplicemente lupus) è una malattia cronica di natura autoimmune, che può colpire diversi organi e tessuti del corpo. Il meccanismo patogenetico è un’ipersensibilità di III tipo, caratterizzata dalla formazione di immunocomplessi. Il LES colpisce spesso il cuore, la pelle, i polmoni, l’endotelio vascolare, fegato, reni e il sistema nervoso. Per il fatto di colpire le articolazioni, il LES è classificato anche tra le malattie reumatiche. La prognosi della malattia non è prevedibile, con periodi sintomatici alternati a periodi di remissione. La malattia colpisce soprattutto il sesso femminile, con un’incidenza nove volte superiore rispetto al sesso maschile, specialmente soggetti in età fertile (tra i 15 e i 35 anni) e di discendenza non europea. Il LES è trattabile con terapia immunosoppressiva, specialmente mediante somministrazione di ciclofosfamide, corticosteroidi e altri farmaci immunosoppressori; tuttavia una cura definitiva non esiste. La malattia può risultare fatale, sebbene la mortalità si sia ridotta drasticamente grazie alle scoperte della ricerca medica.
- Le lupus érythémateux disséminé (LED) est une maladie systémique auto-immune chronique, de la famille des connectivites, c’est-à-dire touchant plusieurs organes, du tissu conjonctif, qui se manifeste différemment selon les individus. L’adjectif associé est lupique. Le lupus tient son nom de ce que cette maladie était considérée uniquement sous son aspect de “maladie tuberculeuse de la peau1“, et, ainsi, comme un ulcère qui rongerait la face, et bien souvent de manière létale, tel un loup (en latin: lupus). Dix femmes sont touchées pour un homme. Le lupus touche principalement la femme jeune âgée entre 20 et 40 ans. Il est exceptionnel avant l’âge de 5 ans. Le LED est une maladie souvent confondue avec d’autres à cause de sa tendance à « mimer » les symptômes de nombreuses pathologies. La survie atteint actuellement plusieurs décennies dans la majeure partie des cas. Les causes restent inconnues. Cependant, certains facteurs (exogènes et, ainsi, endogènes) favorisants exogènes et endogènes ont été identifiés.
- Systemic lupus erythematosus (SLE), also known simply as lupus, is an autoimmune disease in which the body’s immune system mistakenly attacks healthy tissue in many parts of the body. Symptoms vary between people and may be mild to severe. Common symptoms include painful and swollen joints, fever, chest pain, hair loss, mouth ulcers, swollen lymph nodes, feeling tired, and a red rash which is most commonly on the face. Often there are periods of illness, called flares, and periods of remission during which there are few symptoms. Diagnosis can be difficult and is based on a combination of symptoms and laboratory tests. The cause of SLE is not clear. It is thought to involve genetics together with environmental Life expectancy is lower among people with SLE. SLE significantly increases the risk of cardiovascular disease with this being the most common cause of death. With modern treatment about 80% of those affected survive more than 15 years. Women with lupus have pregnancies that are higher risk but are mostly successful. There is no cure for SLE.
- HIV Virus dell’immunodeficienza umana/Virus de l’immunodéficience/Human Immunodeficiency Virus
ICD-10-CM Diagnosis Code B20
- Il virus dell’immunodeficienza umana HIV (sigla dell’inglese Human Immunodeficiency Virus) è l’agente responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS, Acquired Immune Deficiency Syndrome). Il tempo medio di sopravvivenza dopo infezione da HIV è notevolmente allungato nei pazienti che seguono la terapia, infatti si può parlare di invecchiamento della popolazione che ne è affetta. L’obiettivo delle terapie attuali è quello di impedire la replicazione del virus nell’organismo (e non l’eradicazione completa dell’infezione, che, tuttavia, permane), per limitare i danni e consentire una sopravvivenza e una qualità di vita migliori. Senza terapia, il tempo medio di sopravvivenza dopo aver contratto l’HIV è stimato da 9 a 11 anni, a seconda del sottotipo HIV. L’infezione con l’HIV si verifica con il trasferimento di sangue, sperma, liquido vaginale, pre-eiaculazione o latte materno.
- Le virus de l’immunodéficience humaine (VIH) est un rétrovirus infectant l’humain et responsable du syndrome d’immunodéficience acquise (SIDA), qui est un état affaibli du système immunitaire le rendant vulnérable à de multiples infections opportunistes. Bien qu’il existe des traitements antirétroviraux (ARV) efficaces luttant contre le VIH en parvenant à rendre dans la plupart des cas la charge virale jusqu’à un niveau indétectable et empêchant ainsi l’apparition du SIDA, il n’existe à l’heure actuelle aucun vaccin ou traitement définitif. Le traitement par ARV, quasi systématique, des patients au statut sérologique positif et la PreP (Truvada) sont également des outils de protection contre la transmission du virus. Transmis par plusieurs fluides corporels : sang, sécrétions vaginales, sperme, liquide pré-éjaculatoire ou lait maternel, la contamination par le VIH, et son développement au stade SIDA, est aujourd’hui considéré comme une pandémie ayant causé la mort d’environ 25 millions de personnes entre 1981 (date de la première identification de cas de SIDA) et janvier 2006.
- The human immunodeficiency virus (HIV) is a lentivirus (a subgroup of retrovirus) that causes HIV infection and over time acquired immunodeficiency syndrome (AIDS). AIDS is a condition in humans in which progressive failure of the immune system allows life-threatening opportunistic infections and cancers to thrive. Without treatment, average survival time after infection with HIV is estimated to be 9 to 11 years, depending on the HIV subtype. In most cases, HIV is a sexually transmitted Infection and occurs by the contact or transfer of blood, pre-ejaculate, semen, and vaginal fluids. Non-sexual transmission can occur from an infected mother to her infant through breast milk. An HIV-positive mother can transmit HIV to her baby in during pregnancy, and childbirth. Within these bodily fluids, HIV is present as both free virus particles and virus within infected immune cells.
- ALL Leucemia linfoblastica acuta/Leucémie aiguë lymphoblastique/Acute lymphoblastic leukemia
ICD-10-CM Diagnosis Code C91
- La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è un tipo di leucemia di natura maligna con carattere progressivo. La LLA presenta un picco di frequenza nelle età infantili; tra 3 e 11 anni. Per quanto riguarda gli andamenti nel tempo, l’incidenza della leucemia linfatica acuta è in crescita sia nei maschi sia nelle femmine. La causa scatenante rimane sconosciuta, anche se mutazioni derivanti da lesioni al DNA sono sicuramente coinvolte. Rimangono invece conosciuti i fattori di rischio che ne aumentano la possibilità di comparsa, come la sindrome di Bloom, e l’esposizione a sostanze chimiche tossiche come il benzene. La prognosi cambia a seconda dei casi. L’età, ad esempio: la patologia peggiora notevolmente in soggetti che hanno superato i cinquanta anni.
- La leucémie aiguë lymphoblastique est un type de cancer et de leucémie provoquée par la multiplication de lymphocytes défaillants dans la moelle osseuse appelés blastes. Elle affecte surtout les enfants et comme son nom “aiguë” l’indique elle apparaît brutalement, avec seulement quelques jours ou semaines entre les premiers symptômes et le diagnostic, le traitement pouvant alors débuter dans les jours ou les heures qui suivent le diagnostic. Ce sont des leucocytes (globules blancs) dont le développement s’est bloqué; ces blastes sont donc dans l’incapacité de nous protéger contre les corps étrangers, ce que font toutes les cellules normales de notre système immunitaire. En l’absence de traitements, les blastes vont proliférer, envahir la moelle osseuse, et tous les autres organes. C’est une maladie dont les causes sont encore inconnues. Elle peut survenir à tout âge, chez le nourrisson comme chez la personne âgée, avec de fréquentes périodes de rémission chez l’enfant.
- Acute lymphoblastic leukemia is the most common type of leukemia in young children. It also affects adults, especially those 65 and older. Leukemia, also spelled leukaemia, is a group of cancers that usually begin in the bone marrow and result in high numbers of abnormal white blood cells. These white blood cells are not fully developed and are called blasts or leukemia cells. Without treatment, these symptoms worsen quickly and result in death within weeks to months. The exact cause of disease is unknown.
- OA Osteoartrosi/Arthrose/Osteoarthritis
ICD-10-CM Diagnosis Code M19.91
- L’osteoartrosi o artrosi o, secondo la corrente terminologia anglofona, osteoartrite (osteoarthritis), è una malattia degenerativa che interessa le articolazioni. È una delle cause più comuni di disturbi dolorosi, colpisce circa il 10% della popolazione adulta generale e il 50% delle persone che hanno superato i 60 anni di età. Durante il manifestarsi di tale patologia nascono un nuovo tessuto connettivo e un nuovo osso attorno alla zona interessata. Generalmente sono più colpite le articolazioni più sottoposte a usura, soprattutto al carico del peso corporeo, come le vertebre lombari o le ginocchia.
- L’arthrose est une maladie qui touche les articulations, on l’appelle aussi arthropathie chronique dégénérative. Elle est caractérisée par la douleur, mécanique et diurne et la difficulté à effectuer des mouvements articulaires. Au niveau de l’articulation, la surface du cartilage se fissure, s’effrite et finit par disparaître. Ensuite, des excroissances osseuses se forment et nuisent aux mouvements. L’arthrose traduit une dégénérescence du cartilage des articulations sans infection ni inflammation particulière. C’est la maladie articulaire la plus fréquente et elle survient de plus en plus tôt dans la vie (peut-être en partie à cause d’une augmentation du poids moyen). Les premiers symptômes apparaissent généralement à partir de 40-50 ans, mais la maladie commence souvent bien plus tôt.
- Osteoarthritis is a type of joint disease that results from breakdown of joint cartilage and underlying bone. The most common symptoms are joint pain and stiffness. Initially, symptoms may occur only following exercise, but over time may become constant. The most commonly involved joints are those near the ends of the fingers, at the base of the thumb, neck, lower back, knee, and hips. Usually the symptoms come on over years. It can affect work and normal daily activities. Unlike other types of arthritis, only the joints are typically affected. Causes include previous joint injury, abnormal joint or limb development, and inherited Risk is greater in those who are overweight, have one leg of a different length, and have jobs that result in high levels of joint stress.
- HD Malattia di Huntington/Maladie de Huntington/Huntington’s disease
ICD-10-CM Diagnosis Code G10
- La malattia di Huntington, o còrea di Huntington, è una malattia genetica neurodegenerativa che colpisce la coordinazione muscolare e porta ad un declino cognitivo e a problemi psichiatrici. Esordisce tipicamente durante la mezza età; è la più frequente malattia a causa genetica nei quadri clinici neurologici con movimenti involontari anomali (che prendono il nome di còrea). La malattia è causata da una mutazione autosomica dominante in una delle due copie (alleli) di un gene codificante una proteina chiamata huntingtina, il che significa che ogni figlio di una persona affetta ha una probabilità del 50% di ereditare la condizione. I sintomi fisici della malattia possono iniziare a qualsiasi età, ma più frequentemente tra i 35 e i 44 anni di età.
- La maladie de Huntington (parfois appelée chorée de Huntington) est une maladie héréditaire et orpheline, qui se traduit par une dégénérescence neurologique provoquant d’importants troubles moteurs, cognitifs ainsi que psychiatriques, évoluant jusqu’à la perte d’autonomie puis la mort. Plusieurs pistes de traitements sont en cours d’expérimentation. La maladie se développe chez des personnes âgées en moyenne de 40 à 50 ans. Plus rarement, elle se manifeste sous une forme précoce avec l’apparition de premiers symptômes entre 15 et 25 ans. L’âge auquel elle se manifeste diffère considérablement selon les individus.
- Huntington’s disease, also known as Huntington’s chorea, is an inherited disorder that results in death of brain cells. The earliest symptoms are often subtle problems with mood or mental abilities. A general lack of coordination and an unsteady gait often follow. As the disease advances, uncoordinated, jerky body movements become more apparent. Physical abilities gradually worsen until coordinated movement becomes difficult and the person is unable to talk. Mental abilities generally decline into dementia. Symptoms usually begin between 30 and 50 years of age, but can start at any age.
- EPI Epilessia/Épilepsie/Epilepsy
ICD-10-CM Diagnosis Code G40.31
- L’epilessia (dal greco ἑπιληψία, “essere preso, colpito da qualcosa”) è una condizione neurologica (in alcuni casi definita cronica, in altri transitoria, come per esempio un episodio mai più ripetutosi) caratterizzata da ricorrenti e improvvise manifestazioni con improvvisa perdita della coscienza e violenti movimenti convulsivi dei muscoli, dette “crisi epilettiche”. Nella maggior parte dei casi, l’eziologia non è nota, anche se alcuni individui possono sviluppare l’epilessia come risultato di alcune lesioni cerebrali, a seguito di un ictus, per un tumore al cervello o per l’uso di droghe e alcol. Anche alcune rare mutazioni genetiche possono essere correlate all’instaurarsi della condizione. L’epilessia diventa più comune nelle persone anziane.
- L’épilepsie, aussi appelée mal comitial, est une affection neurologique définie par une prédisposition cérébrale à engendrer des crises épileptiques dites « non provoquées », c’est-à-dire non expliquées par un facteur causal immédiat. Une crise épileptique est caractérisée par une altération fonctionnelle transitoire au sein d’une population de neurones (soit limitée à une région du cerveau: crise dite « partielle », soit impliquant les deux hémisphères cérébraux de manière simultanée: crise dite « généralisée ») due à une décharge épileptique. Un facteur prédisposant peut être d’origine génétique, lésionnel (lésion cérébrale présente depuis la naissance, malformative, ou acquise au cours de la vie, comme un accident vasculaire cérébral ou les complications d’un traumatisme crânien grave), toxique (comme certains médicaments comme le tramadol qui abaissent le seuil épileptologène) ou autre (par exemple, une anomalie de l’électro-encéphalogramme peut être considérée comme prédisposant).
- Epilepsy is a group of neurological disorders characterized by epileptic seizures. Epileptic seizures are episodes that can vary from brief and nearly undetectable to long periods of vigorous shaking. These episodes can result in physical injuries including occasionally broken bones. In epilepsy, seizures tend to recur and as a rule, have no immediate underlying cause. Isolated seizures that are provoked by a specific cause such as poisoning are not deemed to represent epilepsy. People with epilepsy in some areas of the world experience varying degrees of social stigma due to their condition. The cause of most cases of epilepsy is unknown. Some cases occur as the result of brain injury, stroke, brain tumors, infections of the brain, and birth defects, through a process known as epileptogenesis. Known genetic mutations are directly linked to a small proportion of cases. Epileptic seizures are the result of excessive and abnormal nerve cell activity in the cortex of the brain.
- CGG Coagulopatia/Coagulopathie/Coagulopathy
ICD-10-CM Diagnosis Code D68.9
- Le coagulopatie sono delle malattie ematologiche caratterizzate da alterazione del meccanismo di coagulazione del sangue. Il processo di coagulazione del sangue richiede l’intervento di diverse proteine il cui effetto è arrestare il sanguinamento. La mancanza totale o parziale di una di queste proteine può provocare la comparsa di sanguinamenti che possono variare da lievi (sanguinamenti dal naso, del cavo orale e dopo chirurgia, sangue nelle urine) a gravi (emorragie pericolose per la vita come le emorragie del sistema nervoso centrale, del tratto gastrointestinale o del cordone ombelicale ed emorragie potenzialmente disabilitanti come ematomi ed emartri).
- Le terme médical de coagulopathie ou diathèse hémorragique désigne une défaillance dans le mécanisme de coagulation du corps. Bien qu’il existe plusieurs causes, les symptômes consistent principalement en une hémorragie excessive et une absence de coagulation. L’hémophilie, par exemple, est une maladie génétique caractérisée par une coagulopathie. Elle peut également être acquise après une insuffisance hépatique, une coagulation intravasculaire disséminée ou une exposition notable à la coumaphène. De plus, le venin hémotoxique de certaines espèces de serpents (Bothrops, crotales et autres espèces de vipères) peut causer cette condition.
- Coagulopathy (also called a bleeding disorder) is a condition in which the blood’s ability to coagulate (form clots) is impaired. This condition can cause a tendency toward prolonged or excessive bleeding (bleeding diathesis), which may occur spontaneously or following an injury or medical and dental procedures. Of note, coagulopathies are sometimes erroneously referred to as “clotting disorders”; a clotting disorder is a predisposition to clot formation (thrombus), also known as a hypercoagulable state or thrombophilia. Symptoms can start at any age.
- SOB Dispnea/Dyspnée/Shortness of breath
ICD-10-CM Diagnosis Code R06
- La dispnea (dal latino: dispnea; dal greco: dýspnoia), o fame d’aria, è il sintomodi una respirazione Si tratta di un sintomo normale quando si compie uno sforzo pesante, ma diventa patologico se si verifica in situazioni inaspettate. Nell’85% dei casi è dovuto ad asma, polmonite, ischemia cardiaca, malattia polmonare interstiziale, insufficienza cardiaca congestizia, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), stenosi laringo-tracheale o cause psicogene. Il trattamento dipende in genere dalla causa scatenante (può essere acuta o cronica).
- La dyspnée (du latindyspnoea, du grec ancien dyspnoia de dyspnoos – court d’haleine) est une difficulté respiratoire. On distingue deux types de dyspnées : la difficulté à inspirer de l’air (ou faire entrer de l’air dans ses poumons), ou dyspnée inspiratoire, et la difficulté à expirer de l’air (ou faire sortir de l’air de ses poumons), ou dyspnée expiratoire. Cette difficulté à respirer comporte une composante subjective, représentée par la gêne éprouvée par le patient, et une composante objective. Les circonstances d’apparition de la dyspnée permettent une orientation diagnostique. Soit elle s’installe très rapidement (c’est une dyspnée aiguë), soit elle existe depuis longtemps (c’est une dyspnée chronique).
- Shortness of breath, also known as dyspnea, is a feeling like one cannot breathewell enough. The American Thoracic Society defines it as “a subjective experience of breathing discomfort that consists of qualitatively distinct sensations that vary in intensity.” Distinct sensations include effort/work, chest tightness, and air hunger (the feeling of not enough oxygen). Dyspnea is a normal symptom of heavy exertion but becomes pathological if it occurs in unexpected situations or light exertion. In 85% of cases it is due to asthma, pneumonia, cardiac ischemia, interstitial lung disease, congestive heart failure, chronic obstructive pulmonary disease, or psychogenic causes, such as panic disorderand anxiety. Treatment typically depends on the underlying cause (which may be either acute or chronic).
- CF Cystic fibrosis/Fibrose kystique/Cystic fibrosis
ICD-10-CM Diagnosis Code E84
- La fibrosi cistica (abbreviata spesso come FC, detta anche mucoviscidosi o malattia fibrocistica del pancreas) è una malattia genetica autosomica recessiva. La patologia è causata da una mutazione nel gene CF (cromosoma 7), il quale codifica per una proteina che funziona come canale per il cloro detta CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator). La sintomatologia, che coinvolge differenti organi interni, è riconducibile all’anomalia nell’escrezione del cloro, normalmente mediata dalla proteina codificata dal gene CFTR. Tale alterazione porta alla secrezione di muco molto denso e viscoso e quindi poco scorrevole. La conseguente ostruzione dei dotti principali provoca i sintomi principali (comparsa di infezioni polmonari ricorrenti, insufficienza pancreatica, steatorrea, cirrosi epatica, ostruzione intestinale e infertilità maschile). Anche se è una malattia rara, la fibrosi cistica è classificata come una delle malattie genetiche più frequenti in grado di accorciare la vita. È più comune tra le nazioni del mondo occidentale.
- La mucoviscidose (pour « maladie des mucus visqueux » en français) ou fibrose kystique (en anglais: cystic fibrosis, sous-entendu « du pancréas ») est une maladie génétique, affectant les épithéliums glandulaires de nombreux organes. C’est la maladie génétique létale à transmission autosomique récessive la plus fréquente dans les populations de type europoïde, alors qu’elle est très rare dans les populations africaines et asiatiques. La maladie touche de nombreux organes mais les atteintes respiratoires sont prédominantes et représentent l’essentiel de la morbidité. La forme clinique la plus fréquente associe troubles respiratoires, troubles digestifs et troubles de la croissance staturopondérale. D’évolution chronique et progressive, la maladie s’exprime souvent tôt dès la petite enfance même s’il existe des formes frustes de diagnostic tardif.
- Cystic fibrosis is a genetic disorder that affects mostly the lungs, but also the pancreas, liver, kidneys, and intestine. Long-term issues include difficulty breathing and coughing up mucus as a result of frequent lung infections. Other signs and symptoms may include sinus infections, poor growth, fatty stool, clubbing of the fingers and toes, and infertility in some males. Different people may have different degrees of symptoms. The condition is diagnosed by a sweat test and genetic testing. Screening of infants at birth takes place in some areas of the world. There is no known cure for cystic fibrosis. Symptoms can start by six months of age.
- NB Neuroblastoma/Neuroblastome/Neuroblastoma
ICD-10-CM Diagnosis Code C74.90
- Il neuroblastoma (NBL) è un tumore neuroendocrino maligno embrionario caratteristico del bambino, che deriva da cellule della cresta neurale, da cui fisiologicamente prendono origine la midollare del surrene ed i gangli del sistema nervoso e simpatico. Fra i vari tumori solidi dell’infanzia è, dopo quelli che interessano il SNC, il più diffuso (8%), con un’incidenza pari 10 casi per milione ogni anno. Il neuroblastoma è responsabile del 15% dei decessi attribuiti a neoplasie dell’infanzia e nel 50% dei casi al momento della diagnosi è già metastatico e refrattario alla chemioterapia. Si manifesta a tutte le età, ma la grande maggioranza dei casi si mostrano in età infantile, il 10% dei casi supera l’età di 5 anni mentre solo l’1,5% dei pazienti supera i 14 anni al momento della diagnosi. Le cause della patologia rimangono ancora sconosciute.
- Le neuroblastome est la tumeur solide extra-crânienne la plus fréquente chez le jeune enfant. C’est un cancer touchant des cellules souches embryonnaires de la crête neurale qui constitue le système nerveux autonome sympathique. L’âge moyen de découverte chez l’enfant est entre un et deux ans. Son incidence est d’environ un cas pour 100 000 enfants. Cela reste le cancer le plus fréquent chez l’enfant de moins d’un an. Quelques rares cas ont été rapportés chez l’adulte. Quand la lésion est localisée, elle est généralement curable. Cependant, l’espérance de vie des enfants en stade avancé reste faible malgré des thérapies La cause reste inconnue.
- Neuroblastoma is a malignant neoplasm of unspecified part of unspecified adrenal gland. It is a type of cancer that forms in certain types of nerve tissue. It most frequently starts from one of the adrenal glands, but can also develop in the neck, chest, abdomen, or spine. NB is the most common cancer in babies and the third most common cancer in children after leukemia and brain cancer. The exact cause of disease is unknown.
- PD Morbo di Parkinson/Maladie de Parkinson/Parkinson’s disease
ICD-10-CM Diagnosis Code G20
- La malattia di Parkinson sovente definita come morbo di Parkinson, Parkinson, parkinsonismo idiopatico, parkinsonismo primario, sindrome ipocinetica rigida o paralisi agitante è una malattia neurodegenerativa. I sintomi motori tipici della condizione sono il risultato della morte delle cellule che sintetizzano e rilasciano la dopamina. La causa che porta alla loro morte è sconosciuta. All’esordio della malattia, i sintomi più evidenti sono legati al movimento. In seguito, possono insorgere problemi cognitivi e comportamentali, con la demenza che si verifica a volte nelle fasi avanzate. La malattia di Parkinson è più comune negli anziani; la maggior parte dei casi si verifica dopo i 50 anni.
- La maladie de Parkinson, décrite par James Parkinson en 1817, est une maladie neurologique chronique dégénérative (perte progressive des neurones) affectant le système nerveux central responsable de troubles progressifs : mouvements ralentis, tremblements, rigidité puis troubles cognitifs. C’est le second trouble neurodégénératif le plus fréquent. Ses causes sont mal connues. Le tableau clinique est la conséquence de la perte de neurones du locus niger (ou « substance noire ») et d’une atteinte des faisceaux nigro-striés(en). La maladie débute habituellement entre 45 et 70 ans. C’est la deuxième des maladies neurodégénératives les plus fréquentes, après la maladie d’Alzheimer.
- Paralysis agitansis a long-term degenerative disorder of the central nervous systemthat mainly affects the motor system. There is no cure for Parkinson’s disease, with treatment directed at improving symptoms. Parkinson’s disease typically occurs in people over the age of 60, of which about one percent are affected. The cause of Parkinson’s disease is generally unknown, but believed to involve both genetic and environmental factors.
- EDS Narcolessia/Hypersomnolescence/Excessive daytime sleepiness
ICD-10-CM Diagnosis Code R40.0
- Le persone con ESD (specialmente coloro che presentano sintomi simil-narcolettici) sono costrette a schiacciare ripetutamente dei piccoli sonnellini durante il giorno, combattendo continuamente l’incessante bisogno di dormire in situazioni inappropriate, per esempio mentre sono alla guida, al lavoro, durante i pasti o in una conversazione. Quando l’impulso a dormire si fa più forte, la capacità di portare a termine le mansioni diminuisce nettamente, sembra quasi che il soggetto sia sotto gli effetti di un’intossicazione. È stato dimostrato che la diminuzione delle prestazioni dovuta alla sonnolenza può essere peggiore di quella associata all’ebbrezza da alcol. Ma è anche possibile che, in circostanze uniche e/o stimolanti, una persona con ESD possa rimanere animata, sveglia e vigile per periodi di tempo brevi o prolungati. Comunque è bene operare una distinzione tra sonnolenza diurna occasionale ed eccessiva sonnolenza diurna, quest’ultima infatti è una condizione cronica. L’ESD può colpire duramente la capacità di affrontare i propri impegni familiari, sociali, occupazionali. I fondamenti neurologici della sonnolenza non sono stati compresi completamente.
- L’hypersomnolescence est un trouble du sommeil faisant partie des dyssomnies. Les hypersomnolences sont avant tout un symptôme, présent dans plusieurs affections telles que: a narcolepsie, les hypersomnies idiopathiques, le syndrome des jambes sans repos, le syndrome d’apnée du sommeil, certaines formes de dépression nerveuse, etc. La narcolepsie ou «maladie de Gélineau»., en particulier, est un trouble du sommeil chronique ou dyssomnie Elle est caractérisée par un temps de sommeil excessif : l’individu ressent une extrême fatigue et peut s’endormir involontairement à un moment non adapté, comme au travail, à l’école, ou dans la rue. Les patients atteints de narcolepsie souffrent habituellement de troubles nocturnes du sommeil et d’un temps de sommeil anormal, ce qui prête à confusion avec l’insomnie. La narcolepsie touche un peu plus d’hommes que de femmes. Comme beaucoup de maladies rares, la maladie est parfois très tardivement diagnostiquée, parfois après plusieurs années d’évolution.
- Excessive daytime sleepiness (EDS) is characterized by persistent sleepiness and often a general lack of energy, even during the day after apparently adequate or even prolonged nighttime sleep. EDS can be considered as a broad condition encompassing several sleep disorders where increased sleep is a symptom, or as a symptom of another underlying disorder like narcolepsy, sleep apnea or a circadian rhythm sleep disorder. Some persons with EDS, including those with hypersomnias like narcolepsy and idiopathic hypersomnia, are compelled to nap repeatedly during the day; fighting off increasingly strong urges to sleep during inappropriate times such as while driving, while at work, during a meal, or in conversations. As the compulsion to sleep intensifies, the ability to complete tasks sharply diminishes, often mimicking the appearance of intoxication. However, it is important to distinguish between occasional daytime sleepiness and excessive daytime sleepiness, which is chronic. During occasional unique and/or stimulating circumstances, a person with EDS can sometimes remain animated, awake and alert, for brief or extended periods of time. EDS can affect the ability to function in family, social, occupational, or other settings.
- MS Sclerosi multipla/Sclérose en plaques/Multiple sclerosis
- La sclerosi multipla (SM), chiamata anche sclerosi a placche, sclerosi disseminata o polisclerosi, è una malattia autoimmune cronica demielinizzante, che colpisce il sistema nervoso centrale causando un ampio spettro di segni e sintomi. La è stata descritta per la prima volta da Jean-Martin Charcot nel 1868. Nella malattia, le difese immunitarie del paziente attaccano e danneggiano questa guaina. Il nome sclerosi multipla deriva dalle cicatrici (sclerosi, meglio note come placche o lesioni) che si formano nella materia bianca del midollo spinale e del cervello. Anche se il meccanismo con cui la malattia si manifesta è stato ben compreso, l’esatta eziologia è ancora sconosciuta. Le diverse teorie propongono cause sia genetiche, sia infettive; inoltre sono state evidenziate delle correlazioni con fattori di rischio ambientali. La malattia può manifestarsi con una vastissima gamma di sintomi neurologici e può progredire fino alla disabilità fisica e cognitiva. Al 2017 non esiste una cura nota.
- La sclérose en plaques (SEP) est une maladie auto-immune qui touche des individus génétiquement prédisposés mais qui semble déclenchée par des éléments environnementaux qui agissent comme des facteurs de dérégulation de l’immunité, d’inflammation et de dégénérescence des nerfs. La forme progressive est dépourvue de poussées et évolue peu à peu. Plusieurs hypothèses de causes (étiologie) ont été avancées, comme une destruction de la myéline par le système immunitaire ou une incapacité des cellules à la produire. Des causes génétiques et environnementales, telles que des infections, ont aussi été proposées. Il n’existe pas de traitement curatif. L’espérance de vie du patient diminue de 5 à 10 ans en moyenne. C’est la maladie auto-immune affectant le système nerveux central la plus fréquente.
- Chronic progressive multiple sclerosis is a demyelinating diseasein which the insulating covers of nerve cells in the brain and spinal cord are damaged. This damage disrupts the ability of parts of the nervous system to communicate, resulting in a range of signs and symptoms, including physical, mental, and sometimes psychiatric problems. MS is the most common autoimmune disorder affecting the central nervous system. The disease usually begins between the ages of 20 and 50 and is twice as common in women as in men. The exact cause of disease is unknown.
- NF Fascite necrotizzante/Fasciite nécrosante/Necrotizing fasciitis
ICD-10-CM Diagnosis Code M72.6
- La fascite necrotizzante è una forma particolare e rara di infezione degli strati profondi della pelle e dei tessuti sottocutanei, che si espande rapidamente attraverso la componente molle del tessuto connettivo che permea il corpo umano (fascia). La malattia, di natura batterica, si sviluppa in modo rapido e aggressivo e, se non viene trattata al più presto, evolve in una lesione cutanea, accompagnata da effetti vistosi quali bolle, vescicole e trombosi capillare, seguiti da necrosi dei tessuti sottocutanei, shock settico e morte. Gli streptococchi del Gruppo A sono la causa più frequente. I batteri della fascite necrotizzante vengono spesso chiamati batteri mangia-carne. Se si sospetta la fascite necrotizzante, è necessario un intervento di chirurgia esplorativa, il quale risulta spesso in un aggressivo sbrigliamento, ossia nella rimozione di ampie porzioni di tessuto infetto e, nel caso di infezioni alle regioni periferiche, nell’amputazione dell’arto. Interventi chirurgici ripetuti possono rendersi necessari. Solitamente, questi interventi lasciano grandi ferite aperte, per coprire le quali si deve successivamente procedere a trapianti di pelle e di tessuto. La mobilità può risultarne gravemente compromessa.
- La fasciite nécrosante est une infection rare de la peau et des tissus sous-cutanés profonds, se propageant le long des fascia et du tissu adipeux, surtout causée par le streptocoque du groupe A. Ces bactéries sont également appelées « bactéries mangeuses de chair », mais cette appellation est fausse. En réalité, ces bactéries ne se nourrissent pas de la chair, mais libèrent des toxines, mortelles pour les cellules vivantes, ou, qui par leurs effets sur le système immunitaire, conduisent à la production de radicaux libres. La fasciite nécrosante est une urgence médicale dont l’évolution rapide est parfois fatale. Le traitement, urgent, est toujours mixte, médical et chirurgical. L’antibiothérapie est nécessaire et doit être adaptée aux germes suspectés. Le traitement chirurgical immédiat est un débridement des zones nécrotiques, parfois une amputation devient nécessaire.
- Necrotizing fasciitis (NF), commonly known as flesh-eating disease, is an infection that results in the death of the body’s soft tissue. It is a severe disease of sudden onset that spreads rapidly. Symptoms include red or purple skin in the affected area, severe pain, fever, and vomiting. The most commonly affected areas are the limbs and perineum. Early diagnosis is difficult as the disease often looks early on like a simple superficial skin infection. While a number of laboratory and imaging modalities can raise the suspicion for necrotizing fasciitis, the gold standard for diagnosis is a surgical exploration in the setting of high suspicion. When in doubt, a small “keyhole” incision can be made into the affected tissue, and if a finger easily separates the tissue along the fascial plane, the diagnosis is confirmed and an extensive debridement should be performed.
- RRP Papillomatosi respiratoria/Papillome humain/Laryngeal papillomatosis
ICD-10-CM Diagnosis Code C32.3
- La Papillomatosi respiratoria ricorrente (conosciuta anche come papillomatosi laringea o papillomatosi glottica), è una rara forma di infezione delle vie aeree causata dal papilloma virus. La papillomatosi laringea, nell’arco di un breve periodo, provoca lo svilupparsi di diversi tumori o papillomi a carico della laringe o di regioni contigue del tratto respiratorio. Questi tumori spesso vanno ad interferire con la respirazione e possono recidivare frequentemente, richiedendo l’esecuzione di uno o più interventi chirurgici. Senza trattamento il disturbo è potenzialmente fatale, potendo associarsi ad una crescita incontrollata con conseguente ostruzione delle vie respiratorie. La malattia è rara. L’età di distribuzione appare bimodale: la malattia tende infatti a manifestarsi con dei picchi di frequenza nei bambini con meno di 5 anni di età, così come in adulti con oltre 30 anni. La malattia colpisce in egual misura il sesso maschile e quello femminile, con una lieve prevalenza del sesso maschile per la forma adulta.
- Le virus du papillome humain (VPH, en anglais Human papillomavirus, HPV) est un virus à ADN faisant partie de la famille des Papillomaviridae. Il existe environ 200 génotypes de papillomavirus différents. Certains génotypes se transmettent par contacts cutanés et infectent la peau tandis que d’autres sont sexuellement transmissibles et sont notamment responsables de 99 % des cancers du col de l’utérus chez la femme. Les papillomavirus humains sont souvent présents sur la peau normale de sujets sains. On parle d’infections cutanées asymptomatiques, qui apparaissent très tôt dans l’enfance. La plupart des infections à papillomavirus sont latentes ou transitoires. Les lésions induites par ces virus régressent spontanément la plupart du temps. Néanmoins le caractère cancérigène du virus a été mis en évidence par la capacité du virus a s’intégrer au génome de la cellule pour produire des protéines qui inactivent les protéines (P53, RB) produites par les gènes suppresseurs de tumeurs. Le pouvoir pathogène des papillomavirus humains dépend: du statut immunitaire de la personne infectée, de facteurs génétiques favorisant la transformation maligne des lésions dues aux HPV, du type d’HPV.
- Laryngeal papillomatosis, also known as recurrent respiratory papillomatosis, is a rare medical conditionthat leads to audible changes in voice quality and narrowing of the airway. As a consequence of the narrowing of the laryngeal or tracheal parts of the airway, shortness of breath, chronic cough and stridor (i.e. noisy breathing which can sound like a whistle or a snore), can be present. As the disease progresses, occurrence of secondary symptoms such as dysphagia, pneumonia, acute respiratory distress syndrome, failure to thrive, and recurrent upper respiratory infections can be diagnosed. In children, symptoms are usually more severe and often mistaken for manifestations of other diseases such as asthma, croup or bronchitis. Therefore, diagnosis is usually delayed. It is caused by type 6 and 11 human papillomavirus (HPV) infections of the throat, in which benign tumors or papillomas form on the larynx or other areas of the respiratory tract. Due to the recurrent nature of the virus, repeated treatments usually are needed. The evolution of laryngeal papillomatosis is highly variable. Though total recovery may be observed, it is often persistent despite treatment.
- LC Cirrosi epatica/Cirrhose/Cirrhosis
ICD-10-CM Diagnosis Code K74
- La cirrosi epatica rappresenta il quadro terminale della compromissione anatomo-funzionale del fegato. Essa è compresa fra le prime dieci cause di morte nel mondo occidentale e riconosce fra le sue cause principali l’abuso di alcol e le epatiti croniche virali o di altra natura. La caratteristica più evidente della cirrosi è il sovvertimento della struttura del fegato con fibrosi e rigenerazione sotto forma di noduli. La cirrosi epatica è il risultato di un processo di continuo danno e riparazione del parenchima epatico con formazione di ponti fibrosi tra le unità elementari che costituiscono il fegato: i lobuli. Questo disordine architetturale conduce a un malfunzionamento del fegato sia dal punto di vista metabolico sia dal punto di vista sintetico La cirrosi cronica ha una mortalità a 10 anni del 34-66%. La malattia può insorgere a qualsiasi età.
- La cirrhose est une maladie du foie, résultant d’agressions biochimiques répétées, le plus souvent par la consommation chronique d’alcool ou par des virus hépatotropes mais pouvant aussi résulter de l’accumulation de graisses dans le foie, de maladies auto-immunes, de déficits enzymatiques ou autres. Généralement considérée comme irréversible, la cirrhose peut toutefois régresser lorsque l’agent causal a été éliminé mais le foie ne revient pas nécessairement à son activité antérieure. Dans les stades avancés, la principale, sinon la seule, option demeure la transplantation hépatique. La cirrhose est l’aboutissement d’un processus d’inflammation chronique du foie par divers agents et toxiques. Les causes principales de cirrhose se trouvant actuellement être les hépatites virales, l’hépatopathie alcoolique et la stéatose hépatique non-alcoolique. Les signes positifs de cirrhose sont nombreux et variés.
- Cirrhosis is a condition in which the liver does not function properly due to long-term damage. This damage is characterized by the replacement of normal liver tissue by scar tissue. Typically, the disease develops slowly over months or years. Cirrhosis is most commonly caused by alcohol, hepatitis B, hepatitis C and non-alcoholic fatty liver disease. In severe cirrhosis, a liver transplant may be an option. Some causes of cirrhosis, such as hepatitis B can be prevented by vaccination. Treatment partly depends on the underlying cause. Symptoms can start at any age.
- IBD Malattia di Crohn/Maladie de Crohn/Chron’s desease
ICD-10-CM Diagnosis Code K50.919
- La malattia di Crohn o morbo di Crohn, nota anche come enterite regionale, è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino (MICI) che può colpire qualsiasi parte del tratto gastrointestinale, dalla bocca all’ano, provocando una vasta gamma di sintomi. Essa causa principalmente dolori addominali, diarrea (che può anche essere ematica se l’infiammazione è importante), vomito o perdita di peso, ma può anche causare complicazioni in altri organi e apparati, come eruzioni cutanee, artriti, infiammazione degli occhi, stanchezza e mancanza di concentrazione. La malattia di Crohn è considerata una malattia autoimmune, in cui il sistema immunitario aggredisce il tratto gastrointestinale provocando l’infiammazione, anche se viene classificata come un tipo particolare di patologia infiammatoria intestinale. La malattia di Crohn tende a presentarsi inizialmente negli adolescenti e nei ventenni, con un altro picco di incidenza tra i cinquanta e i settant’anni, anche se la malattia può manifestarsi a qualsiasi età. Non esiste ancora una terapia farmacologica risolutiva o una terapia chirurgica eradicante la malattia di Crohn.
- La maladie de Crohn est une maladie inflammatoire chronique intestinale (MICI) qui peut atteindre tout le tube digestif et éventuellement la peau, les articulations et les yeux. Cette maladie est caractérisée par une inflammation le plus souvent retrouvée au niveau de l’iléon et du côlon, qui serait d’origine multifactorielle, faisant intervenir entre autres une composante génétique et le microbiome. Il s’agit d’une maladie chronique évoluant typiquement par poussées espacées par des phases dites de rémission, asymptomatiques. Les signes digestifs sont le plus souvent à type de diarrhée, de douleur abdominale ou de lésion proctologique. Le traitement est surtout médical avec l’utilisation de dérivé aminosalicylé au cours des poussées et d’immunosuppresseur en entretien. Une intervention chirurgicale est parfois justifiée. L’arrêt d’un éventuel tabagisme est conseillé. Les causes de la maladie sont encore inconnues même si certains facteurs sont privilégiés : facteurs immunologiques, génétiques, environnementaux.
- Crohn’s disease is a type of inflammatory bowel disease (IBD) that may affect any part of the gastrointestinal tract from mouth to anus. Signs and symptoms often include abdominal pain, diarrhea (which may be bloody if inflammation is severe), fever, and weight loss. Other complications may occur outside the gastrointestinal tract and include anemia, skin rashes, arthritis, inflammation of the eye, and tiredness. The skin rashes may be due to infections as well as pyoderma gangrenosum or erythema nodosum. Bowel obstruction also commonly occurs and those with the disease are at greater risk of bowel cancer. While the cause of Crohn’s disease is unknown, it is believed to be due to a combination of environmental, immune, and bacterial factors in genetically susceptible individuals. It results in a chronic inflammatory disorder, in which the body’s immune system attacks the gastrointestinal tract possibly directed at microbial antigens.
(*) La classificazione ICD (dall’inglese International Classification of Diseases; in particolare, International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death) è la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS-WHO). L’ICD è uno standard di classificazione per gli studi statistici ed epidemiologici, nonché valido strumento di gestione di salute e igiene pubblica. È oggi alla decima edizione (ICD-10), approvata nel 1990 durante la 43ª Assemblea mondiale della sanità dell’OMS e utilizzata a partire dal 1994/La classification CIM (Classification internationale des maladies, en particulier la Classification statistique internationale des maladies, des traumatismes et des causes de décès) est la classification internationale des maladies et des problèmes connexes, établie par l’Organisation mondiale de la santé (OMS-OMS). La CIM est une norme de classification pour les études statistiques et épidémiologiques, ainsi qu’un outil de gestion valide pour la santé publique et l’hygiène. Il en est aujourd’hui à sa dixième édition (CIM-10), approuvée en 1990 lors de la 43e Assemblée mondiale de la Santé de l’OMS et utilisée depuis 1994/The ICD classification (International Classification of Diseases, in particular, International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death) is the international classification of diseases and related problems, drawn up by the World Health Organization (WHO-WHO). ICD is a standard classification for statistical and epidemiological studies, as well as a valid management tool for public health and hygiene. It is today in its tenth edition (ICD-10), approved in 1990 during the 43rd World Health Assembly of the WHO and used since 1994.
(**) In carattere grassetto è indicato l’acronimo internazionale/L’acronyme international de la maladie est indiqué en caractères gras/The international acronym of the disease is indicated in bold font.
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Riferimenti/Références/References: Wikipedia.org (Dicembre/Décembre/December 2017)
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Dichiarazione di esclusione di responsabilità/avertissement/disclaimer
Questo lavoro è un’opera del tutto immaginaria, frutto della fantasia. Ogni riferimento, quindi, a persone realmente esistenti o morte e/o a fatti effettivamente accaduti è da ritenersi totalmente involontario e, pertanto, puramente casuale. Non è immaginaria, purtroppo, la dimensione umana alla quale, in vari modi/parti, si fa riferimento./Ce travail est un travail entièrement imaginé, le résultat de fantasme. Toute référence, par conséquent, aux personnes réellement existantes ou à la mort et/ou faits factuels doit être considérée comme totalement involontaire et donc purement accidentelle. Malheureusement, la dimension humaine à laquelle il fait référence, de diverses manières, n’est pas imaginative./This work is an entirely imagined work, the result of fantasy. Any reference, therefore, to genuinely existing people or death and/or factual facts is to be considered totally involuntary and therefore purely accidental. Unfortunately, the human dimension to which it makes reference, in various ways/parts, is unimaginative.
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(***) Exposition de photographie: In/visibles
Du 1er au 29 septembre 2018, Galerie Remp Arts, Durban-Corbières (France)
Gerardo Regnani, La maison – “Intérieurs”, op. n. 1
In/visibles
(auteurs: Claudio Cravero, Turin, et Gérardo Régnani, Rome;: Claudio Isgro, conservateur)
Avec et sans maison. Si l’exposition se résumait à cette dualité, à cette simple
dichotomie, entre le bien et le mal, entre bonheur et malheur, elle perdrait beaucoup
de sa force, répétant, reproduisant un des nombreux clichés qui accompagnent nos
vies.
Au contraire grâce à la capacité, à la finesse interprétative des deux auteurs le
stéréotype réconfortant se brise et nous laisse éperdus, fragiles. Seuls.
Claudio Cravero et Gérardo Régnani exposent, s’exposent, l’un face à l’autre, comme
une confrontation, un duel dialectique entre qui a et qui n’a pas. Leurs regards se
pénètrent, les murs se rapprochent, pourraient s’échanger, ils deviennent miroirs.
Claudio Cravero rencontre les personnes qui n’ont pas de maison. Ils l’ont eue mais
chemin faisant, ils l’ont perdue. Par empathie, pour une promesse, il les photographie.
De ces personnes il n’en fait pas l’objet d’un reportage social, il fait leur portrait.
La différence stylistique et humaine est énorme. Dans son studio à travers la lumière
et l’attention à leurs vies il leurs redonne la dignité perdue. Une lettre manuscrite par
eux-mêmes témoigne de leurs histoires et fait partie intégrante de l’oeuvre finale.
Gérardo Régnani, par effraction virtuelle s’introduit dans des maisons habitées par des
personnes imaginaires et anonymes. Où le stéréotype voudrait trouver le refuge du
bonheur, l’écrin précieux du réconfort familial son travail nous montre des
maisons-prisons habitées par des parias sociaux, des invisibles qui partagent un
diagnostic clinique amer. L’exposition présente un polyptique composé de vingt
maisons qui mêlent bribes d’intimité, fragments d’intérieurs et rapports médicaux.
Les deux auteurs nous proposent des histoires difficiles, in/visibles de notre
contemporanéité. L’art a aussi ce devoir.
Claudio Isgro
(conservateur)
« extrait du texte de l’exposition »
https://www.galerie-remp-arts.com/copie-de-saison-2017