Roberto Bossaglia. Perifanie

nuovi monumenti

(qualche nota sparsa, da un piccolo diario personale)

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ricordo un incontro, in un’aula, ha voluto il caso, in area periferica della Capitale.

siamo stati infatti a Tor Vergata, l’altra Università di Roma, nella zona sud della città.

là, con Roberto Bossaglia, per osservare le immagini realizzate su di una periferia, quella romana, quella che anima “Perifanie”.

“sono visibile intorno’” e “mostro intorno”, questo il significato, in greco antico, dell’insolito titolo.

la chiave di lettura, forse.

là, in quell’aula, sono state “lette” queste immagini, tentando una condivisione di quelle emozioni, della rappresentazione di quei luoghi.

tentando di rivivere quella visione, gli “sguardi” dell’autore.

e in quell’aula, sulla base di questo interessante lavoro, sono nate alcune riflessioni.

un ripercorrere virtuale, anche attraverso quella rivisitazione comune, le periferie capitoline.

un mondo, composto di espressioni che sono patrimonio di tutti e, anche per altri aspetti, anche croce e disagio comune.

e, riflettendo su quei luoghi, è stata sottolineata unattenzione nuova, in particolare in questi ultimi anni, destinata ad un riesame, ad un nuovo sguardo su quei circuiti, su quelle aree spesso amare, quanto isolate.

luoghi che, ad ogni nuova rappresentazione, magari con il pretesto offerto da un evento di cronaca, rivivono nuove – e sovente anche “interessate” – occasioni di visibilità.

sebbene si tratti non di rado di un addensarsi di interessi, sovente comunque solo momentaneo, vago, se non addirittura vuoto, nato dalla spinta/pretesto di fatti contingenti che li rendono periodici (s)oggetti di moda.

spesso, e da sempre, purtroppo è così, senza sconti, in particolare per queste zone al limite.

così non sembra per Roberto Bossaglia.

il suo lavoro non pare accodarsi ad un’onda contingente.

la sua ricerca non é tangente, tutt’altro, sembra lucidamente scavare per quanto possibile in profondità, in linea con altri autori.

non è l’unico, infatti, neanche il primo, perché le periferie hanno richiamato, ieri come oggi, tra tanti altri: urbanisti, sociologi, antropologi e, non ultimi, tanti altri fotografi.

e in questo cammino, purtroppo non sempre adeguato ed efficace, le periferie sono state “lette”, “rilette” e rappresentate in maniera talora anche inappropriata: amorevolmente talvolta, feroci nutrici in altri momenti. culla di laboriosi animi disagiati in alcuni casi, nido di nuove emergenze, in particolare quelle più estreme e significanti, in altre situazioni. astratte e metafisiche per alcuni e,  ancora, in altre differenti e poliedriche espressioni della modernità.

e da luoghi, pur con le loro connotazioni, per similitudine, in quanto riconducibili anche a zone di transito, le periferie sono divenute anche una sorta di non luoghi.

a questi luoghi o non luoghi, a questo microcosmo, anche la fotografia quindi ha offerto un suo non trascurabile contributo in termini di rappresentazione. ed é in principal modo anche grazie o per colpa della fotografia che forse va ricondotta una sorta di discutibile monumentalizzazione o di nuova monumentalizzazione di questi luoghi.

un nuovo panorama, seppure con viste sempre meno ignote, quanto comunque “distanti”: quasi un mondo altro.

una sorta di nuova paesaggistica aliena.

(re)visioni di ambienti noti, quanto problematici.

problematici, da sempre.

nel perimetro di tante di quelle immagini sono state narrate le emozioni/situazioni più diverse.

ogni “gesto” fotografico, a seconda dei casi, ha inteso suggerire alternative, proteste, riorganizzazioni, solidarietà, esclusione o quant’altro. e tutta questa “narrativa”, non sempre lineare ed incisiva ha forse anche contribuito a definire, definendone ulteriormente la connotazione negativa, la natura delicata e peculiare di questi luoghi.

luoghi magari da non amare, forse da non frequentare o, meglio, da evitare.

qui non c’é più la città, come viene ricordato anche nella prefazione di “Perifanie”, e, nel contempo, non si é ancora in campagna.

né l’una, né l’altra: una sorta di limbo sociale e ambientale.

zone di confine o forse, più semplicemente, zone di passaggio: non luoghi, appunto.

zone da non eleggere insomma a meta abituale del nostro percorso e/o soggiorno, soprattutto se ripetuto e/o duraturo.

no, non qui, sembrano recitarci molte di quelle immagini o, ancor meglio, non in un luogo quale questo ora é.

e, paradossalmente, sembrano trarre maggior forza per questo loro “avviso/minaccia” proprio dalla qualità delle immagini proposte.

un tratto comune a questo tipo di lavoro, da quanto posso ricordare io, sembra richiamare l’idea di un’ipotetica “bellezza” respingente, di un fascino quasi temibile, quanto misterioso e cupo di questi nonluoghi.

una bellezza che, talora, sembra turbare, anziché attrarre e, insieme, crea timore e, quindi, ulteriore distanza.

il disagio che vorrebbero comunque segnalare, ha le sembianze di un luogo che appare irreale, sospeso, dall’estetica intrigante, quasi metafisica, “extraterrestre” persino. in ogni caso, un luogo invivibile, amaro, grigio e, quindi, irrimediabilmente inospitale.

come per tanta altra fotografia, la desolazione di molti di questi luoghi sembra quasi trasformarsi in una forma di fascino… repulsivo.

la resa emotiva di quelle immagini, sembra dunque richiamare tuttaltro che un invito, una condivisione.

una certa aura di modernità che talora traspare da questi report per immagini, con il peso “schiacciante” di un’architettura caratterizzata da cattedrali solitarie, così come, in altri casi, l’assenza apparente di un qualsiasi ordine urbanistico e, non ultima, anche l’assenza umana nelle immagini proposte, non riescono sicuramente a favorire un’eventuale “compensazione”, un possibile contrappeso all’alone negativo che continua a connotare queste aree ai confini della città.

un’insidiosa rete di elementi che può trasformarsi, quindi, in un’ulteriore motivo di distanziamento di/da queste zone di confine.

e i casermoni e gli ipercondomini, fenomeno caratteristico di tante città e di tante aree periferiche, ci appaiono quasi come dei baluardi difensivi, una sorta di attanti avversari.

capaci di alimentare una sensazione di estraneamento probabilmente ancor più amplificata dalla qualità estetica di tante di queste fotografie.

come in altri casi, per quanto dichiarato, l’intento di lanciare un progetto di riqualificazione, un messaggio d’accusa, rischia di essere vanificato dall’insidiosa “bellezza” respingente delle riprese.

un’estetica che rischia persino di apparire come un esercizio di stile o, magari, una delle tante mode, tra le tante, in questo caso riguardante le periferie.

tra le possibili ripercussioni, sono possibili temibili effetti anestetizzanti, paradossalmente correlati, oltre che ad una certa estetica, anche al sovradosaggio al quale siamo esposti.

ne può derivare, conseguentemente, un effetto di distrazione, piuttosto che una messa in evidenza, un portare alla luce.

e questo é, tra altri, un pericolo concreto dovuto anche a questo abbondare di periferia in tanta fotografia contemporanea.

il timore è dunque quello che, al di là delle apprezzabili buone intenzioni originarie di tanti autori/ricercatori, tanta/troppa periferia assuma, invece, i contorni avversi di una soporifera profilassi. un’overdose stordente, quasi una sorta di vaccino… immunizzante!

in altri termini: immagini/sedativo, dunque. splendide sirene a custodia di una dimensione sociale altra e, comunque, distante.

oltre il velo sensibile della fotografia, quindi, il potenziale insorgere di nuovi, temibili confini.

così non sembra, ripeto, per il lavoro di Roberto Bossaglia.

immagini di questo genere, grazie anche alla loro potenziale forza emotiva, con la loro carica “perlocutiva”, potrebbero/dovrebbero infatti avere esiti diversi.

incidendo, ad esempio, sulle linee d’azione di una progettazione urbana maggiormente consapevole, meno disumana. magari più semplice, ma comunque più vicina alle persone, agli animali, all’ambiente che ci circonda.

gli addetti ai lavori, tra i primi destinatari quindi di questa fotografia, potrebbero probabilmente darci ulteriori risposte, trovando, ad esempio, delle soluzioni più adeguate a quanto tante immagini, compre quelle di Roberto Bossaglia, tentano di evocarci come un patrimonio materiale ed immateriale rischi ormai di essere forse irrimediabilmente disperso e irrecuperabile.

un danno irreparabile.

un offesa alla città, ad una sua importante componente e alle persone che la vivono.

questo tipo di opere, rappresentano quindi degli utili presidi/spunti per un’ulteriore riflessione in merito anche, ma non solo, per gli addetti ai lavori. anche a loro, credo “parlino” le fotografie di Roberto Bossaglia, perché favoriscano un nuovo e migliore modo di vivere, o di rivivere, anche queste zone limitrofe.

e anche attraverso loro, la realizzazione di un sogno, quello di un’altra periferia, non appare poi così irragiungibile. il sogno di poter vivere, abitare queste zone di transito, come altri luoghi, semplicemente, senza inquietudini, senza pregiudizi, senza paura.

non di continuare a sfuggirle, anche solo idealmente, come in un sogno sgradevole.

una fuga, anche solo virtuale, quando non reale.

é così spero, anche con l’ausilio di queste mie note sparse e scomposte, siano condivise le periferie “narrate” da Roberto Bossaglia.

una lettura attenta, che vorrebbe portare lo spettatore davvero oltre la semplice immagine statica.

grazie ad un’emozione che mi auguro intensa. per l’osservatore come, si suppone, lo sia stata per l’autore.

non verso un immaginario impossibile, bensì, verso una periferia possibile.

Roma, 3 giugno 1996

——

Riferimenti

R. Bossaglia, Perifanie, Roma, Edizioni Kappa, 1995

M. Augé, Non luoghi, Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1993

R. Barthes, Miti d’oggi, Milano, Einaudi, 1974

Roberto Bossaglia. Perifanieultima modifica: 2007-03-21T23:59:59+01:00da gerardo.regnani
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