Fotografia, comunicazione, media e società

Fotografia e virtuale

Fotografia: tra reale e virtuale

di Gerardo Regnani
gerardo.regnani@tin.it
12/04/2005

La fotografia è un medium ambiguo e “bizzarro” che oscilla, costantemente, tra due opposte istanze: quella oggettiva e, al tempo stesso, quella soggettiva.
Ma non è stato sempre così.
Il suo esordio formale nel 1839, nella dimensione positivista caratteristica dell’epoca, la vide investita del compito di divenire un efficace strumento di rilevamento della realtà, un vero e proprio “specchio” del reale capace di trarre forza e autorevolezza dalla sua potenziale neutralità (pseudo-scientifica). Un ruolo che, se si escludono le annose e incessanti problematiche relative all’eventuale artisticità o meno delle immagini fotografiche, gettò le basi per un invidiabile ed inossidabile primato di notorietà popolare. Una fama che l’accompagna, seppure con modalità e scenari ben differenti da quelli degli albori, anche nella contingente era della smaterializzazione digitale. Una fase ove, diversamente da quanto ancora diffusamente si crede, la fotografia non può più certamente proporsi, in assoluto, come mezzo in grado di duplicare la realtà, bensì come il medium che, emblematicamente, conferma proprio l’opposto, evidenziando, piuttosto, proprio l’irrealizzabilità di una simile eventualità.
La realtà per la fotografia, secondo lo sguardo barthesiano, è pertanto qualcosa di intrattabile che è possibile “rappresentare”, casomai, solo in parte, per aspetti sempre di dettaglio e mai nella sua complessità.
Visioni parziali, dunque, che non consentono di poter parlare del medium, se non con estrema cautela, come di una possibile “impronta” del reale.
Una limitazione, questa, che non ha certamente impedito alla fotografia, secondo quanto sottolineava anche l’analisi baudelaireiana, di “stupire” le masse e contribuire al processo di fantasmagorizzazione della realtà e, in particolare, delle merci. Un’evoluzione che, a partire dal successo dell’unicum dagherrotipico , ha trovato nelle Esposizioni Universali ottocentesche uno dei momenti topici di radicamento di questa manifestazione tipica della modernità. Un’espressione poi evolutasi e consolidatasi nella cosiddetta “società dei consumi” odierna, base e meta anche dell’industria culturale c ontemporanea che, dei vantaggi derivanti dalla presunta obiettività del mezzo fotografico, si è costantemente avvalsa e alimentata.
Ma, in realtà, già lo stesso realismo apparentemente incontrovertibile degli anni d’esordio – legato alla schiacciante referenzialità insita in ogni immagine fotografica – celava una dimensione altra, virtuale, che sarebbe poi gradualmente emersa, consolidandosi nel tempo.
Una sfera simbolica che continua a porre persistentemente degli interrogativi anche in ordine agli effetti connessi con la digitalizzazione dell’informazione, in particolare nell’ambito della rete, e la conseguente necessità di riflettere sulla capacità delle immagini di essere ancora un concreto veicolo di rappresentazione della realtà e, insieme, su una riflessione più ampia riguardo a un consumo e un uso più consapevoli sia della fotografia stessa sia delle immagini in generale. Questo perché, come ogni mezzo dai forti riflessi simbolici, il medium fotografico – in una costante relazione di interdipendenza con altri media – concorre stabilmente a modellare le identità, divenendo un canale determinante per l’orientamento sia individuale che collettivo. Un’azione sinergica che contribuisce ormai stabilmente alla formazione di una diversa sfera simbolica del reale ove, anche con il contributo della fotografia, si profila un superamento della consueta contrapposizione tra vero e falso delineandosi, invece, una diversa dimensione – simulata – della realtà.
L’avvento della rete ha ulteriormente alimentato questa evoluzione, favorendo lo sviluppo di un vero e proprio scenario virtuale contemporaneo.
Un virtualità ante litteram quella della fotografia che, da sempre, si connota come uno strumento di segmentazione concettuale del mondo. Una frammentazione del reale che, negli anni d’esordio del medium, caratterizzò la memorabile transizione dalla virtualità delle immagini antecedenti la fotografia – come era, ad esempio, nel caso di rappresentazioni “sintetiche” quali i disegni – allo spontaneo oggettivismo delle prime raffigurazioni analogiche. Un frazionamento della realtà che – in analogia con quanto avveniva ed avviene nelle immaginarie ricostruzioni di sintesi realizzate con l’ausilio della prospettiva – si regge su uno sguardo ideale del mondo il quale, da sempre, conserva forti legami con una visione convenzionale del tangibile e, pertanto, può essere aderente o meno alla verità quanto qualsivoglia sistema rappresentativo.
La fotografia, quindi, vede progressivamente dissolversi la solida relazione che sembrava inizialmente intrattenere con il proprio referente originario e, ormai priva dell’autorevolezza documentaria del passato, si trasforma, piuttosto, in una scheggia visuale che veicola solo la parzialità di un’astrazione virtuale fra le tante oggi disponibili.
Una strumentalità, questa, che cominciò a delinearsi già nell’analisi holmesiana la quale, nel corso dell’Ottocento, ipotizzò l’immagine fotografica come un collegamento tra il soggetto d’origine e chi, successivamente, avrebbe visto o fatto uso della relativa immagine. Una relazione che la radicalità di quella visione immaginò anche come ambasciatrice di un possibile “divorzio”, di un dissolvimento dei legami, con il soggetto originariamente ripreso. Una posizione rivoluzionaria per l’epoca, che tratteggiava gli elementi di un paradigma ideologico fondato, effettivamente, sulla virtualità caratteristica del medium fotografico.
Un percorso al quale, procedendo oltre la dimensione analogica dell’immagine fotografica, si affiancherà poi la smaterializzazione veicolata dalla rivoluzione informatica contemporanea, dilatandone ulteriormente la sua già dubbia natura, l’ambiguità ingannatrice di fondo sprigionata dalla sua “anemica” esteriorità.
Un’indeterminatezza che rinvia alla fragile inconsistenza di ogni apparizione, alle “quasi-visioni” che ciascun individuo “vede” e, per estensione, alla morte nel suo complesso. Un progressivo ed inesorabile deterioramento del tradizionale ruolo della fotografia quale testimone del Tempo che, ineluttabilmente, accentua ulteriormente il livello di complessità e di incertezza della vicenda umana del presente, ormai costantemente segnata dal sistematico avvicendamento del reale con il virtuale.
In questo scenario il medium fotografico, dopo la transizione dalla virtualità che precedette la fotografia alla verosimiglianza delle prime rappresentazioni analogiche, è giunto all’epilogo attuale caratterizzandosi, in effetti, per un riorientamento verso la sfera virtuale. Un immaginario che presenta, a ben vedere, solide analogie proprio con la virtualità delle immagini sintetiche preesistenti all’avvento della fotografia.

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Fotografia e virtualeultima modifica: 2007-03-22T17:25:00+01:00da
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