Immaginando, inizialmente, di essere degli ignari spettatori all’oscuro di tutto quanto riguardi “Il Caimano” di Nanni Moretti e senza neanche il sostegno di un testo esplicativo, ipotizziamo di vedere per la prima volta, e per caso, l’intrigante immagine-simbolo del film, priva peraltro sia del titolo sia delle altre indicazioni che, di norma, la accompagnano. Ci chiederemmo, probabilmente: chi è la persona ritratta? Cosa ci vuole “dire” questa fotografia? E stimolati da queste ipotetiche domande potremmo provare ad accennare, anche attraverso una prima “lettura” di questa ambigua quanto interessante immagine, al ruolo tenacemente strumentale della fotografia.
Proviamo quindi ad immaginare di essere, in un primo momento e per quanto possibile, completamente a digiuno riguardo a tutto l’insieme di informazioni, valutazioni e quant’altro che è sino ad ora circolato nelle tante analisi che hanno preceduto e accompagnato il discusso debutto nelle sale dell’opera morettiana, avvenuto il 24 marzo 2006, e di trovarci solo casualmente di fronte a questa enigmatica immagine.
Alla fine di questo breve percorso, potremmo forse constatare l’emergere di una verità – l’utilizzo asservito ad un scopo, talvolta di parte, di ciascuna fotografia – tanto apparentemente banale quanto, al tempo stesso, non sempre altrettanto evidente. Ma, prima di delineare ulteriormente questa affermazione, riprendiamo le domande poste in precedenza.
Partiamo dalla prima, volta a capire chi è la persona raffigurata nella fotografia immaginando, come detto, di essere nei panni di qualcuno che non sappia praticamente nulla riguardo a Il Caimano di Moretti. Supponiamo, però, di avere una certa conoscenza in materia di fotografia e di essere inclini a credere che le immagini fotografiche possano assolvere ad una funzione documentaria, ovvero potersi esprimere autonomamente, senza “aiuti” dall’esterno. In realtà, come poi sottolineeremo, non è poi così semplice interpretare qualcosa posto all’interno di una fotografia prescindendo dalle relative dimensioni simboliche esterne alla stessa.
Detto questo, la prima cosa che potremmo constatare nel “documento” fotografico in questione, basandoci semplicemente sul fatto che contiene degli elementi interpretabili da chiunque, è che il volto che si scorge nell’immagine, sebbene sia in parte coperto dalle mani (un caso?), è senz’altro quello di un individuo adulto che appare aggrappato al bordo di una piscina.
Questa prima osservazione, per quanto scontata possa apparire, potrebbe già ben esemplificare l’eterna interdipendenza tra il “dentro” e il “fuori” di ciascuna immagine. Infatti, quel che crediamo di “vedere” in una fotografia, non emerge esclusivamente dall’immagine stessa, provenendo piuttosto da “fuori”, ovvero da un bagaglio di sapere che, per quanto banale esso possa risultare, è di solito precedente alla visione delle immagini che tentiamo di interpretare, qualsiasi esse siano, non escluse quelle più ovvie e stereotipate. Paradossalmente, se non conoscessimo già quel che vediamo, anche la fotografia del soggetto più noto potrebbe rivelarsi più o meno indecifrabile e, pertanto, difficile da comprendere.
Detto questo, proseguiamo soffermandoci su un altro aspetto.
La fotografia, apparentemente, sembra essere stata effettuata all’insaputa dell’uomo ritratto o, se si preferisce, in un momento in cui costui non pareva rivolgersi intenzionalmente verso la fotocamera utilizzata per la ripresa, così come sembra evidenziare lo sguardo che pare rivolto piuttosto verso qualcuno posto vicino alla traiettoria visiva di chi, plausibilmente, ha effettuato l’inquadratura. Ovunque siano diretti, è in quegli occhi che sembra condensarsi, oltre ad una generale funzione referenziale, la vera e propria funzione fàtica di questa fotografia, ovvero la sua capacità di metterci in contatto e di tenerci metaforicamente legati all’immagine, così come al “suo” bagaglio simbolico.
Il taglio della fotografia, orientato alla valorizzazione “aurea”, induce inoltre ad immaginare una scena originaria più ampia, successivamente tagliata per esigenze narrative.
Anche in questo aspetto si può cogliere un altro elemento distintivo della fotografia, continuamente contrapposta – rispetto alla sintesi che include in sé – con quanto è stato messo “fuori campo” dallo scatto realizzato dall’autore o da chi, scegliendo successivamente soltanto una parte dell’immagine, ne propone, in alternativa, una frazione ritenuta più significante in relazione al suo utilizzo finale. E’ la destinazione, l’uso che in effetti si fa di una fotografia che ne circoscrive, anche se spesso soltanto provvisoriamente, il probabile significato. Ma per fare questo, senza un retroterra di valori, intenzioni, idee non è facile indirizzare verso un ambito di senso specifico la lettura di qualsiasi immagine. Essa, pertanto, corre il rischio di restare impermeabile a qualsiasi interpretazione, così come, all’opposto, può adattarsi a qualsiasi decodificazione divenendo, anche simultaneamente, il messaggero di tutto così come del suo eventuale opposto, in relazione alla prospettiva interpretativa e ai preconcetti che connotano la lettura che ne viene fatta.
In ogni caso, gli elementi eventualmente raccolti, se non adeguatamente correlati con un contesto esterno all’immagine, potrebbero limitare la loro utilità al solo campo delle supposizioni.
Così è anche nel nostro caso riguardo ai primi indizi sino ad ora tratteggiati. Questi, da soli, non risultano assolutamente sufficienti a svelare chi è e che cosa fa realmente la persona raffigurata in questa immagine, lasciandoci ancora senza una risposta.
La seconda domanda posta in partenza, relativa a quel che ci potrebbe o dovrebbe “dire” questa fotografia può apparire, già a questo punto, persino un po’ crudele nei confronti di uno spettatore che, per quanto desideri saperne di più sul misterioso protagonista dell’immagine, non trova comunque facilmente altri dati nella ripresa che possano risultare utili ad una ipotetica indagine.
Proviamo, però, ad andare avanti lo stesso nella nostra analisi cercando altri possibili segnali utili a chiarire meglio il quadro reale di riferimento.
Questa persona, si è detto, è stata fotografata in un luogo che pare palesemente essere il bordo di una piscina. Aspetto questo che sembra trovare fondamento nell’apparente evidenza di alcuni semplici indizi: le spalle e i capelli bagnati del protagonista dell’immagine, le tracce d’acqua visibili nella fotografia e i riflessi della superficie sulla quale sono appoggiate le mani che si vedono nell’immagine. La luce che rischiara il soggetto di lato, così come lo sfondo sfocato della scena, non sembrano aggiungere altri particolari elementi interpretativi, sembrando utili, piuttosto, a favorire la concentrazione dello sguardo sul soggetto in primo piano e, in particolare, sugli quegli occhi rivolti altrove del personaggio, apparentemente immerso nei suoi pensieri.
In questa particolare postura sembra peraltro concentrarsi il carattere fortemente metaforico – il (“suo”) senso traslato – di questa fotografia che può anche dare l’idea di un individuo appostato in attesa di qualcosa che, per metonimia, potrebbe rievocare l’aspetto di un essere acquatico e, perché no, anche di un eventuale coccodrillo.
Naturalmente tutte queste ipotesi sono basate non tanto sui contenuti dell’immagine ma su tutta una serie di rimandi che questo medium è in grado di richiamare verso di sé dall’esterno. Per tale ragione, l’eventualità che possa essere o meno immaginato un rettile, piuttosto che qualsiasi altra cosa nell’immagine, dipende dal variabile intreccio sia degli aspetti formali visibili sia delle altre immagini – concrete o mentali che siano – cui si fa riferimento nel momento dell’osservazione. L’attività di decodifica risente, inoltre, anche delle specifiche circostanze di fruizione, potendo indurre un medesimo spettatore che veda la stessa immagine in occasioni differenti finanche ad interpretazioni anche molto distanti tra di loro.
Quanto detto, ovviamente, sembra complicare ulteriormente il nostro percorso interpretativo e, pure ipotizzando l’aggiunta di ulteriori elementi, il quadro complessivo della possibile realtà originaria della ripresa non sembra affatto delinearsi chiaramente, lasciandoci anzi continuare l’esame solo sulla base di una serie di congetture che, per quanto verosimili, avrebbero comunque bisogno di una ratifica esterna all’immagine.
Potremmo, però, provare a chiudere ulteriormente il cerchio delle riflessioni relative alla nostra piccola indagine ipotizzando, anche sulla scorta delle supposizioni fatte sino a questo momento, che l’attore di questa immagine si trovi in un luogo esclusivo e, pertanto, che si possa trattare di qualcuno “sorpreso” durante un bagno nella piscina di una ipotetica villa elitaria; aspetto, quest’ultimo, che spiegherebbe anche la rarefatta presenza di protagonisti sulla scena fotografata. Ma anche questi ulteriori elementi non sembrano finora sufficienti per alzare definitivamente il velo di enigmaticità che caratterizza tanto l’immagine quanto il “suo” protagonista.
Potremmo comunque continuare ma, senza aiuti “esterni”, resteremmo probabilmente ancora a lungo nel puro campo delle supposizioni.
Occorre, pertanto, qualche sostegno “da fuori” affinché si possa uscire da questa specie di stallo. Questo aiuto, però, non possiamo pensare affatto di trovarlo nell’immagine che, nonostante i nostri sforzi, potrebbe continuare a rimanere sostanzialmente “muta” e superficialmente incapace di spiegare chiaramente se stessa a chi la osserva. Chiunque voglia dare un senso alla trasparenza di questa, come di qualsiasi altra fotografia, deve ricorrere necessariamente all’ausilio di altri media, visivi o meno che siano, quali potrebbero essere altre immagini, un titolo, una legenda chiarificatrice, un commento, un ricordo e così via.
Da tale processo di interrelazione non è escluso, ovviamente, neanche il punto di vista dell’autore stesso dell’immagine che, per iniettargli il significato ipotizzato, avrà certamente avuto bisogno anch’egli di riferirsi ad ambiti simbolici “estranei” alla fotografia che – prima o, forse, anche dopo la ripresa – ha idealmente trasferito e adattato all’immagine realizzata.
Nemmeno l’immagine-simbolo de Il Caimano potrà quindi facilmente “parlarci” da sola, senza l’aiuto di qualche altro testo significante che incanali l’interpretazione proprio verso l’ambito di senso concretamente immaginato in origine dal suo autore o, in sua vece, da chi ha utilizzato l’immagine come dispositivo intellettuale per veicolare un particolare significato.
Anche in questa fotografia, in sostanza, si delinea la presenza di un invisibile percorso narrativo ove l’aiuto esterno, al quale si è fatto altre volte riferimento, assume la funzione di vero è proprio strumento risolutore utile – instradando la “lettura” – a poter risolvere quel disagio interpretativo che ci è sembrato caratterizzare l’immagine in quanto isolata dal suo sostrato significante di riferimento.
Ecco quindi che sapere qualcosa di più riguardo alla genesi di questa fotografia, risulta a questo punto fondamentale per non procedere ancora a lungo in questa non molto fruttuosa analisi solitaria. Cruciale, in proposito, potrebbe essere il ruolo di un medium strategico quale è il titolo del film (Il Caimano), capace di rinviarci immediatamente e senza particolari incertezze ad una sfera simbolica ben delimitata. Il titolo, infatti, diviene un testo determinante per l’orientamento e l’ancoraggio semantico dell’interpretazione entro barriere di senso più o meno circoscritte.
All’interno di questa “cornice”, grazie anche all’enfasi indotta dal riutilizzo di un nome comune (caimano) in funzione di nome proprio con tanto di iniziale maiuscola (Caimano) e all’uso dell’articolo determinativo (Il), la fotografia può più agevolmente fare riferimento ad un soggetto reale ben determinato e non ad altri. Sapere, poi, se questo soggetto sia o meno l’ipotetica “belva” raffigurata nella fotografia, ora che ci appare molto meno ermetica che in precedenza, potrebbe risultare soltanto un elemento accessorio non fondamentale per la sua interpretazione, dato che quel che essenzialmente l’immagine poteva o doveva dirci sembra ormai averlo detto. Conseguentemente, può probabilmente rivelarsi complementare anche chiarire se si tratta o no di una ripresa effettuata su di un set e che, quindi, ci si trovi o meno di fronte al frammento di una fiction cinematografica.
Detto questo, l’esame di questa fotografia (compreso quello linguistico) potrebbe proseguire ancora, ma ciò ci condurrebbe ulteriormente lontano – “fuori”, appunto – da questa immagine, portandoci inevitabilmente nel campo della critica all’opera cinematografica morettiana; cosa, questa che, volentieri, lasciamo fare ad altri.
Questa immagine, ed è quello che qui ci interessa, va considerata per quel che sembra effettivamente essere e cioè un funzionale pre-testo di partenza, un mezzo per andare altrove e, perché no, finanche verso una lettura in chiave ideologica, ove le conclusioni potrebbero essere state volutamente anteposte alle premesse.
Inutile dire, infine, che nella scelta di un altro valido medium cui affidarsi per dissolvere il velo di ambiguità che comunque circonda questa immagine – e questo vale, ovviamente, anche per chi scrive – il film di Moretti potrebbe, in definitiva, risultare un’alternativa da non trascurare.
La fotografia de “Il Caimano”
“Dentro” e “fuori” l’immagine-simbolo del film di Nanni Moretti
La fotografia de “Il Caimano”ultima modifica: 2007-03-23T11:30:00+01:00da
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