L’arrivo sulla scena mediatica delle fotografie nelle quali è apparso ritratto Fidel Castro dopo aver subìto un delicato intervento chirurgico, anziché fugare i dubbi sul suo effettivo stato di salute, hanno alimentato, invece, tutta una serie di ulteriori incertezze, oltre che sulle reali condizioni di salute del “líder máximo“, sull’autenticità stessa di quelle immagini.
La pubblicazione su “Juventud Rebelde”, nel giorno dell’ottantesimo compleanno di Fidel Castro (13/08/06), di alcune fotografie che lo ritraevano in abiti informali, è divenuta, così come le incertezze sulle sue effettive condizioni di salute, anch’essa una sorta di caso nel caso. Attraverso i media, infatti, le immagini circolate, anziché fugarli, hanno finito invece per alimentare ulteriormente proprio i dubbi sul reale stato di salute del “líder máximo”, ricoverato giorni prima per una patologia definita di una certa gravità. E ciò, in evidente contraddizione con un certo credo comune relativo alla fotografia intesa come specchio della realtà.
A ciò si aggiunga pure che l’agenzia di stampa Ap, nonostante abbia favorito la circolazione delle fotografie negli Stati Uniti – contesto dove, per evidenti ragioni, maggiori sono stati i dubbi inerenti la ormai nota sequenza fotografica -, non è stata subito in grado di garantirne né l’autenticità né la data di realizzazione.
I ritratti di Fidel Castro, quindi, non sembrano essere riusciti a portare a termine la loro principale missione, ovvero certificare – grazie all’effetto di realtà tipico di ogni fotografia – che la persona raffigurata fosse effettivamente lo storico capo dello stato cubano, ancora vivo dopo aver subito un delicato intervento chirurgico.
Eppure, nella prospettiva mediatica, “la” funzione comunicativa caratteristica dell’immagine fotografica continua ad essere, appunto, quella di fornire una testimonianza di un evento, sebbene non possa mai farlo nella sua globalità ma soltanto per singoli, specifici frammenti. In essi, peraltro, emerge comunque qualche riverbero delle “intenzioni” del suo autore originario e, quindi, la parzialità di uno sguardo inevitabilmente soggettivo, sia pure (talvolta) residuale. Si pensi, ad esempio, a scelte non proprio secondarie, quali quelle relative: al tempo, al luogo e alle modalità della ripresa stessa e la plausibile relatività di ogni visione apparirà in tutta la sua evidenza.
Da qui a dire, quindi, che certe immagini sembrano soltanto degli artefatti il passo, evidentemente, può essere effettivamente breve.
E l’ombra della contraffazione non ha risparmiato, in effetti, neanche le fotografie del “líder máximo”.
I non pochi sospetti che hanno circondato quelle immagini apparentemente così impersonali le hanno rese, appena apparse, così poco capaci di “documentare” da sole l’accaduto da far risultare quanto mai opportuno, ad un solo giorno di distanza, l’intervento in campo di un ulteriore “rinforzo” (visuale, ma non solo). Si è trattato, per l’esattezza, delle successive immagini di Fidel Castro ritratto, in un servizio apparso il 14/8/06 su “Granma”, l’organo ufficiale del partito comunista cubano, in compagnia del fratello Rául e del Presidente venezuelano Hugo Chavez.
Come se non bastasse, secondo quanto riportato dal “Corriere della Sera” il 15/8/06, lo stesso 14 agosto, la tv di stato cubana avrebbe trasmesso un video nel quale comparivano nuovamente tutte e tre i protagonisti delle anzidette fotografie.
Il permanere dei dubbi è stato, però, ulteriormente confermato anche da una dichiarazione del portavoce della Casa Bianca americana Tony Snowm, il quale ha detto che: “Le prime foto erano immagini scadenti fatte con Photoshop, le seconde almeno sono un po’ meglio”. Sembra evidente che il riferimento all’eventuale utilizzo del noto prodotto informatico intendesse rinviare, in maniera quasi automatica, all’idea di un’indubitabile manipolazione delle immagini e, conseguentemente, ad una perdita di autenticità e di capacità di “certificare” il reale delle stesse.
E, giunti a questo punto, potremmo forse chiederci: ci sono, per caso, anche degli elementi formali di quelle fotografie che hanno finito per favorirne un’interpretazione difforme rispetto agli ipotizzabili intenti originari di chi le ha realizzate e rese pubbliche? Aspetti che potrebbero aver alimentato, inoltre, anche una presunta debolezza (documentaria) di quelle immagini? Se la risposta è si, quali potrebbero essere questi fattori?
Ad un primo sguardo, tra i tratti estetici che sembrano caratterizzare con maggiore evidenza quelle immagini così anonime all’apparenza, troviamo certamente il loro carattere a prima vista insolitamente (assai) informale, rispetto all’iconografia in maggior misura ufficiale che contraddistingue le vicende umane e politiche di un qualsiasi capo di stato. Ne può derivare, come conseguenza, un certo disagio per l’osservatore a causa del contrasto offerto – in contrapposizione con i ritratti ufficiali – da quella semplice tuta da ginnastica, ancorché griffata (una coincidenza?). Che dire, poi, dei segnali che paiono emergere dalla combinazione dei colori dell’indumento indossato dal protagonista delle immagini che, tra bianchi, rossi e anche del blu, pare rinviare in qualche modo (un altro caso?) proprio ai colori della bandiera cubana?
Ma non sembra essere neanche questo, tuttavia, l’elemento che può pregiudicare irreparabilmente la “lettura” di quelle immagini.
Né, tanto meno, pare esserlo il contesto spoglio ove le immagini paiono essere state realizzate. Certo, quell’apparente vuoto di segni significanti pare non aiutare di sicuro la ricerca di indizi utili ad un’adeguata collocazione spaziale e temporale di quelle riprese. Un “aiuto” in tal senso ci viene offerto, non a caso evidentemente, dalla significativa presenza all’interno di una delle fotografie di una pagina del giornale “Granma”. Questa posa, forte dei suoi rimandi simbolici – oltre che dei suoi elementi metadiscorsivi – contiene, sotto forma di elemento documentario, uno degli accorgimenti narrativi che probabilmente sembrano meglio attestare, unitamente a quelli che emergono da altre due immagini che ritraggono il politico cubano nell’atto di usare il telefono, la ritrovata vitalità del “líder” cubano stesso dopo il delicato intervento chirurgico al quale sarebbe stato sottoposto.
Ma, al di là della possibile rilevanza dei diversi elementi formali presenti nelle immagini è, ancora una volta, probabilmente più proficuo cercare “fuori” dalle fotografie stesse una risposta all’apparentemente ridotta capacità delle medesime di essere “specchio” della reale ripresa, o meno, di Fidel Castro.
La risposta al perché di tanti dubbi su queste fotografie dovrebbe quindi essere cercata, non tanto nelle sole fotografie, quanto nel loro abbinamento con il relativo “discorso” veicolato dai media.
A tal proposito può essere utile sottolineare quanto forte possa essere l’azione di indirizzo interpretativo che può ingenerare la presenza, accanto ad una fotografia, anche soltanto di una semplice didascalia; questa, di fatto, finisce col ridurre l’immagine relativa a mero strumento illustrativo della tesi esposta nel tracciato scritto.
Riguardo, ancora, allo slittamento semantico che può ingenerare una legenda, è esplicativo questo episodio raccontato in una delle più note storie della fotografia:
“John R. Whiting, nel suo libro Photography is a Language, fece un esperimento illuminante: ripubblicò, di seguito e senza le fotografie che le accompagnavano in origine, le didascalie ch’erano state scritte per un tipico racconto fotografico di «Life». Ne risultò un racconto autonomamente valido, quasi telegrafico, ma coerente, d’immediata comprensione, di cui le fotografie erano soltanto un abbellimento. Whiting, perciò, concludeva: «Molto spesso, quando credete di parlare a qualcuno di una fotografia vista in un periodico, ciò che ricordate è la didascalia»” (Newhall 1984).
All’esterno dell’immagine possiamo trovare, quindi, molte “indicazioni” di lettura. Queste, tuttavia, come sembra emergere nel caso delle fotografie di Fidel Castro, possono ovviamente anche risentire di “letture” volutamente di parte – controinformazione, propaganda, critica, ecc. – dettate dagli interessi di entità antagoniste e avverse al sistema politico cubano quali, ad esempio, realtà nazionali come gli USA o autorevoli voci singole, ma non del tutto isolate, del mondo della politica come è stata quella di Pietro Ingrao in Italia, che si è distinto per le sue critiche verso una certa deriva infausta dell’esperienza castrista.
Le diverse interpretazioni soggettive circolate a proposito del servizio fotografico dedicato al “líder máximo” richiamano in campo anche le riflessioni relative al modello “Encoding/Decoding” di Stuart Hall. Esso ci sembra pertinente per le sue interessanti distinzioni, a livello di ricevente, tra: una lettura “preferita”, circoscritta a coloro che decodificano in maniera analoga all’emittente il corrispondente messaggio, facendo riferimento ad un medesimo codice predominante, inteso peraltro come “naturale”; una lettura “negoziata”, non esente, tuttavia, da approcci interpretativi volutamente deformati rispetto alle intenzioni iniziali di chi ha emesso il messaggio; una lettura “oppositiva”, infine, che è connessa ad un tipo diverso di audience, attivo, al quale apparendo evidentemente distorta la prospettiva interpretativa di un messaggio non condiviso ne delimita, deliberatamente, la decodifica in una cornice di senso alternativa a quella originaria.
Quest’ultima forma di decodifica rinvia, a sua volta, all’idea echiana di “guerriglia semiologica” che, tornando al discorso sulle fotografie di Fidel Castro, ci pare anch’essa attinente al caso. La relativa “decodifica aberrante” alla quale si fa riferimento, ovviamente, è quella del portavoce della Casa Bianca richiamata precedentemente che, come si è detto, ha bollato come meri fotomontaggi le immagini ritraenti il politico cubano. La rilettura volutamente discordante del ridetto portavoce sembra ben adattarsi, inoltre, all’ultima delle quattro modalità attraverso le quali, secondo Umberto Eco, si può avere la decodifica distorta di un messaggio originariamente differente. Tale modalità prevede, infatti, che il messaggio venga rifiutato dal ricevente per delegittimazione del suo emittente non tanto per un’incomprensione del relativo codice, ma per una deliberata reinterpretazione in una diversa ed opposta chiave ideologica dello stesso.
Sempre a proposito di messaggi, infine, può essere utile accennare pure alla questione dell’utilizzo stesso del termine messaggio che, se riferito alla fotografia, meriterebbe certamente un ulteriore approfondimento non essendo sicuramente immune anche da eventuali critiche, come ha chiaramente messo in evidenza Claudio Marra nella sua nota raccolta di saggi su “Le idee della fotografia” analizzando, ad esempio, testi scritti da figure del calibro di Roland Barthes e del già citato Umberto Eco.
False o vere che siano le fotografie di Fidel Castro – sarà il tempo che, forse, ci darà (speriamo) delle risposte in proposito -, esse resteranno probabilmente impresse nella memoria come una dimostrazione emblematica della perenne ambiguità di tutte le immagini, e tra queste le fotografie, capaci di essere sempre in bilico tra oggettività e soggettività.
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