Silvia Reichenbach. silenzio, bisogno d’essere

Silvia Reichenbach. silenzio, bisogno d’essere.

ReichenbachSilviaSilvia Reichenbach, s.t., 1990-1998

sono solo pochi spunti, tra l’incertezza e la confusione dei miei appunti che spesso si riducono solo a scarne tracce stenografiche, quelli che ricompongono il collage di impressioni ed emozioni relative alle intense fotografie di Silvia Reichenbach. opere che, a distanza di anni, sono sicuro mi resteranno ben impresse in mente. e mi saranno d’aiuto, compensando il mio modo di scrivere incompetente e parziale, per raccontare al meglio qualche traccia del percorso e della poetica di questa autrice. un percorso che, sulle esili tracce della mia dubbia memoria e capacità narrativa, confida in parte anche sugli echi di alcune “melodie passeggere”.[1] anche a loro è legato il tentativo di delineare un frammento del cammino di quest’autrice, che si è rivelata – per opinione condivisa – a tratti anche una persona ermetica e una gelosa custode del proprio percorso.

e, da questi miei poveri appunti, riaffiora, a partire dall’inizio degli Anni ’90 del Novecento, una figura di donna, a tratti, eterea, sospesa, intrigante.

ricordo che, occasionalmente, appariva nelle scialbe aule di una scuola, [2] che, nelle promesse e nella denominazione, prefigurava il raggiungimento di obiettivi ben più alti di quelli che, in realtà, mi è sembrata allora capace di realizzare.

a chi scrive e ad altri, là,[3] in quel periodo e per la prima volta, mostrò alcune sue fotografie, tra le quali, degli intensi autoritratti.

poi un lungo vuoto, solo di rado interrotto da qualche episodico scambio di corrispondenza. era tornata in Israele, terra che da sempre le è  stata cara, dove, fra l’altro, ha offerto alcune collaborazioni[4] ad istituzioni museali locali.

c’è stato, tempo dopo, il momento del ritorno.

una mostra personale, presso un’importante spazio espositivo cittadino,[5] segnò quel periodo. e fu, per me, la conferma di una ricerca dalla forte connotazione intima e, per alcuni aspetti, finanche trascendente. una produzione intrisa di elementi legati anche alla rappresentazione mitologica, che rivelavano una profonda sensibilità e lo spirito di una ricerca profonda, non di rado connotata da una sorta di tensione ultraterrena.

tra i suoi strumenti espressivi/narrativi si distinguevano, tra gli altri, i riferimenti – più o meno espliciti – alla cultura figurativa classica.

ne sono nate opere con una forte propensione verso un’universo “al femminile”, con riferimenti anche ad una dimensione matriarcale, connotate da un’aura quasi sacrale.

senza percorsi tangenti ne indiretti, ha optato per un mettersi in gioco personalmente, includendo, nella sua narrazione, anche la sfera familiare.

soluzioni paradigmatiche, tanto quella della scelta personale quanto quella familiare. scelte che, in fase di post-produzione, sono state comunque ulteriormente “rinforzate” anche dall’utilizzo di inserti in oro inseriti nelle sue opere.

un percorso di ricerca raramente contrassegnato dalla presenza di figure maschili, alle quali ha preferito opporre, emblematicamente, la sua figura, il suo corpo.

un percorso sentimentale, culturale, estetico, intriso anche di un profondo intento autoanalitico.

l’autrice, nelle sue opere, sembra infatti sottolineare l’indispensabilità di un’osservazione interiore, propedeutica ad ogni altro atto. “conosci te stesso”, sembra suggerirci, prima di volgere lo sguardo altrove.

un’importante scelta anche “politica”.

distante, in ogni caso, dal riconoscersi affine agli intenti, al percorso, di una nota artista d’Oltreoceano.

piuttosto un originale viaggio personale e, insieme, l’avvio di una trasformazione, di una metamorfosi.

nelle sue opere ha pertanto tentato di condensare, di documentare il “riflesso” di questa sua anima in evoluzione.

un percorso che, non a caso, l’ha riportata nella terra, negli ambienti, nella cultura che a lungo la hanno ospitata.

là, scegliendo di proposito le aride e desertiche terre del Sinai, ha avviato un nuovo capitolo del suo percorso umano e di autrice. un profondo riesame critico del suo essere. un’intensa ed intricata ricerca personale. un sentiero teso verso la riscoperta della propria natura, delle forze che la governano. un percorso difficile e labirintico. un’operazione di scavo interiore volta a far emergere una traccia, una “linea retta” di borgesiana memoria, nel reticolo di esperienze, sensazioni ed emozioni della propria esistenza.

un cammino non facile, che punta idealmente ad uno stato dell’essere rinnovato e, magari, più libero da vincoli ormai probabilmente divenuti, in tutto o in parte, non più indiscutibili.

un percorso che è maturato nel tempo ed ha, verosimilmente, dei possibili legami ideali anche con il periodo precedentemente trascorso nel deserto con i beduini, con i quali ha condiviso esperienze e cultura.

ReichenbachSilvia2Silvia Reichenbach, s.t., 1990-1998

le sue fotografie sono anche la traccia di una ricerca di armonia con l’universo. una ricerca anche interiore. un tentativo di fusione dell’anima con il cosmo, da troppo tempo forse distratta e talvolta dispersa in altri, forse inutili, affanni mondani. un sentiero che evoca – attraverso il contatto fisico con il suolo desertico, al pari di abluzioni rituali – un atto di purificazione, un ritorno alla terra, alla natura, alla purezza, a se stessa in definitiva. una decontaminazione dai rumori di fondo che segnano il nostro quotidiano.

un passaggio che può assumere le connotazioni di una sorta di dolorosa nemesi, una specie di resa dei conti, di “vendetta” dell’esistenza, propedeutica, però, ad un successivo giudizio distributivo e compensativo.

una sorta di viatico estremo, dunque, preliminare al cammino verso un’esistenza più in linea con la propria essenza.

ulteriori riferimenti simbolici che fanno da cornice e sfondo a questo non facile percorso interiore, possono essere individuati anche nella silenziosa evocazione d’infinito che caratterizza questi grandi spazi inabitati e, non ultimo, nell’apparente fragilità solitaria della protagonista, simbolicamente “prigioniera” dell’intrigo di vegetazione dalla quale spesso appare avvolta, “rinchiusa” nell’arido ambiente che l’ha ospitata.

in quegli spazi si è fotografata “avvolta” solo da una nudità trasfigurata. una figura nuda, essenziale, immersa in una privazione, in un “digiuno” sociale rigenerante, in un continuo (con)fondersi con l’ambiente fisico e/o astratto, volutamente isolato, che ha scelto come cornice e sfondo simbolico di riferimento.

una nudità timida, mai volgare, quanto, a tratti, anche intrigante, sensuale. una nudità non ostentata,  discreta e, insieme, “alta”, persino estatica. una nudità che veste i panni di un medium che sembra rinviare ad una dimensione al di là del limite umano, al di là delle capacità di conoscenza dell’intelletto e/o della nostra percezione di una “realtà” certa, definita.

il senso di simili scelte, il loro così intenso intento trascendente, possono inoltre far cogliere talune possibili analogie anche con i testi sacri.

rifacendosi, ad esempio, alle Sacre Scritture – se pur con la necessaria cautela – è possibile notare l’affine e forte valenza simbolica insita nella presenza del deserto nelle opere di Silvia Reichenbach.

faccio riferimento, in particolare, alla figura e alla narrazione della storia di Mosè e a ciò che, proprio nel deserto, gli accadde. là, è scritto: Dio, gli si rivelò, dichiarando:

Io sarò presente come colui che sarà presente

(per intervenire e aiutare).

un’affermazione, che in una traduzione successiva sarà reinterpretata come:

Io sono colui che sono” (Esodo 3,14).[6]

circostanze analoghe segnarono, per “il popolo di Dio”, il fondamentale avvento rivelatore della “Torah” (la legge ebraica).[7]

e, tentando un ulteriore collegamento con la nostra protagonista – un’analogia forse fragile e discutibile – c’è da chiedersi quanto il suo percorso, questo suo tragitto così radicale, sia finalizzato all’attesa di una rivelazione o, in un digradare funzionale, ma non di minore rilievo per il suo fine ultimo, di un’ispirazione.

la sua ricerca condensa, in ogni caso, una riflessione ampia ed intensa che non esclude neanche il riesame critico di millenari dogmi di fede, in forza di un approccio alle culture orientali ora più consapevole, più ragionato rispetto al passato.

è, in ogni caso, un percorso personale coraggioso, tanto più perché condotto in solitudine, nel più assoluto silenzio ed intimità.

per l’autrice il deserto e il suo contesto sono stati, plausibilmente, tanto un luogo fisico elettivo, quanto una metafora universale e, insieme, una sorta di mentore immaginario.

durante quei soggiorni ha vissuto un’esperienza paragonabile, per certi versi, ad un periodo di esilio, ad un confinamento volontario durante il quale ha idealmente proseguito il suo cammino verso la riscoperta (non solo) di se stessa.

l’aspra ed arida essenzialità di quel suolo aspro ed inospitale è dunque divenuta un elemento strategico, capitale, per questa sua personale “apnea” sociale e spirituale.

quasi una breve “morte”, alla quale è seguita poi una rinascita.

una “resurrezione”, che, inevitabilmente, è stata preceduta dalla sofferenza di un momentaneo, “fisiologico”, morire.

la stessa fatale naturalezza che segna, d’autunno, dagli alberi, il cadere delle foglie, in attesa dell’eterno ritorno di un’altra stagione, di una nuova primavera, di un nuovo “risveglio”.

non c’è però un vero e proprio dolore umano e dissoluzione in quel momentaneo perire. non si assiste davvero ad un abbandono. in quell’evoluzione simbolica sembra prevalere, piuttosto, un  naturale evolvere dei suoi sentimenti, delle sue emozioni. una mutazione immaginaria del suo corpo durante il cammino del suo spirito verso una dimensione altra.

in questa prospettiva, possiamo immaginarla come uno spirito affamato, che, attento, attende l’arrivo di una possibile ipotetica preda, trasportata da un’onda dimensionale. una caccia simbolica alla ricerca del “battito” primordiale, del riverbero di un “eco” spirituale dell’universo. In altri termini, del “vero” pulsare originario del mondo, dell’esistenza, con le sue qualità e le sue ombre. compresa quella triste percezione di una diffusa assenza di umanità in quelle latitudini.

ReichenbachSilvia3Silvia Reichenbach, s.t., 1990-1998

l’autrice con/attraverso le sue immagini ha riflettuto e vorrebbe far riflettere sulle ragioni di questo (non solo) suo incessante peregrinare.

un percorso mai frettoloso, cauto, compiuto per gradi: al pari di un delicato restauro (arte, peraltro, a lei affine).[8]

un cammino non semplice, un “parto” non del tutto privo di difficoltà. ma così è, per l’autrice, così come per tanti altri spiriti affini.

l’auspicio è che questa sua ricerca, peraltro ancora in corso, si consolidi e sfoci infine in una dimensione di pace e di equilibrio ritrovati. una qualche certezza nella giungla emotiva e culturale contingente, nella quale nessuna “verità” sembra ormai insindacabilmente assoluta.

e, rievocando ancora Borges, ripropongo queste ultime, paradigmatiche, considerazioni …: “Neanch’io sono;

io sognai il mondo come tu sognasti la tua opera, […]

e tra le forme del mio sogno eri tu,

che come me

sei tanti

e nessuno”.[9]

Torino, 1 luglio 1999

g. regnani

gerardo.regnani@gmail.com

———–

alcuni riferimenti

[1] “melodie passeggere”, Alice canta Satie, Fauré, Ravel, Michele Fedrigotti, pianoforte. EMI ITALIANA Spa, 1988.

[2] I.E.D., Istituto Europeo di Design Torino, poi anche Istituto Superiore di Comunicazione (grafica, design, moda, pubblicità, fotografia, ecc.)

[3] in quel frangente possono essere idealmente individuati i primi contatti che hanno poi determinato la successiva formazione del gruppo fine (fotografia e incontri con le nuove espressioni) formatosi a Torino dal 1997 e tuttora attivo (sebbene con una diversa formazione). l’autrice, di recente insieme a numerosi altri affermati artisti dell’area torinese, ha partecipato ad una collettiva in occasione dell’inaugurazione dell’omonimo spazio espositivo. la partecipazione ha reso manifesto il sostegno al progetto promosso dal gruppo attraverso la creazione di un’apposita associazione culturale “no-profit”.

[4] ha insegnato disegno, Storia dell’Arte e fotografia nel Museo d’Arte di Herzlia – per il quale ha anche curato mostre fotografiche e fondato il Dipartimento di Didattica Fotografica – e nel Centro Culturale Neve-Rasco di Ramat Hasharon. ha trascorsi, se pur parziali, anche come pittrice e scultrice.

[5] Libreria Agorà, Torino.

[6] Gerhard J. Bellinger. Enciclopedia delle religioni. Edizioni Garzanti. Garzanti Editore SpA. 1989.

[7] Opera cit..

[8] l’autrice, oltre alla partecipazione a progetti editoriali per una grande casa editrice italiana di settore, collabora da tempo con un’importante studio milanese incaricato del restauro conservativo di fondi, collezioni e dotazioni fotografiche private; in precedenza analoghi incarichi sono stati assolti anche nel capoluogo piemontese per conto di un’istituzione di spicco nel panorama della fotografia italiana.

[9] tratto da: “Everything and Nothing” di J. L. Borges citato in “Conversazioni” (titolo originale “Borges en dialogo”, Conversaciones de Jorge Luis Borges con Osvaldo Ferrari”). Gruppo Editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas SpA. Milano. 1986.

 

Silvia Reichenbach. silenzio, bisogno d’essereultima modifica: 2015-09-20T15:31:29+02:00da gerardo.regnani
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