Francesco Truglia. Tra affetto e critica.
di G. Regnani
gerardo.regnani@gmail.com
Le manifestazioni religiose cui sono dedicate le immagini di Francesco Truglia testimoniano, oltre l’evidenza dell’interesse non solo documentario verso taluni rituali religiosi,[1] un dibattito interiore teso a comprendere meglio i sentimenti e l’orientamento critico verso questi eventi. Il suo, in effetti, è uno sguardo diviso tra una un’amorevole dimensione affettiva ed un’aspra analisi critica. Per quanto concerne il primo aspetto le argomentazioni sono legate ad un’evoluzione molto semplice e lineare che fa sì che questi avvenimenti religiosi lo inducano quasi automaticamente a rievocare e rafforzare gli ovvi legami che ha con la sua terra d’origine,[2]
Una dimensione sentimentale che lo accomuna a chiunque riviva e condivida con favore e – perché no – anche con un tratto di nostalgia tutto quanto parla delle proprie origini. Un’atmosfera affettiva alla quale, nel tempo, si è gradualmente affiancata un’interpretazione di questi episodi che ha anche assunto le sfumature di una lettura ideologica.[3] Un processo che i testi specialistici collegano con la contrapposizione all’universo delle quotidiane tensioni esistenziali individuali (comprendenti atteggiamenti, motivazioni) di “spiegazioni” più o meno razionali e variamente orientate (catartiche, morali, solidaristiche, patrocinatorie).
Oltre alle suaccennate ragioni affettive e ideologiche, inoltre, questo suo particolare interesse verso talune rappresentazioni religiose è certamente motivato anche dalla consapevolezza che queste condotte rituali sono forme di manifestazioni culturali e, come tali, assumono il complesso ruolo di mezzo di reiterazione e consolidamento della tradizione[4] e, nel contempo, di prospettiva utile per interpretare il mondo. Ed è su questa scia, dunque, che la ricerca sembra addentrarsi nell’osservazione critica dei fenomeni. Un’indagine abitualmente condotta in solitaria, scegliendo prospettive affini a quelle dell’antropologo, ovvero privilegiando un approccio di tipo qualitativo attraverso l’indagine sul campo e un’osservazione osservante oltre che partecipante, nell’intento di giungere anche a leggersi mentre indaga.
La rilettura della tradizione, quindi, di cui queste processioni oggetto delle riprese sono un’espressione a molti assolutamente familiare assume le vesti di un passaggio centrale in questo lavoro. Una fenomenologia interessante sotto diverse prospettive: da quelle ermeneutiche (percorsi di conoscenza) e normative (modelli di comportamento), a quelle inerenti la legittimazione (del potere e dell’autorità) e l’identità (personale e collettiva).
Proprio quella tradizione che, voci dissonanti, danno talune volte per prossima all’estinzione e, viceversa, quanto mai viva e pulsante in altre situazioni. Nel primo caso, le motivazioni vengono sovente ricondotte alle implicazioni derivanti dai processi di globalizzazione, variabilmente richiamati con termini quali “deterritorializzazione”, “connettività complessa” e via dicendo. In altre circostanze, inversamente, il rinnovato vigore delle espressioni tradizionali sembra mutuare nuova forza proprio dalle caratteristiche tipiche della modernità, potendo contare su fenomeni opposti quali la “riterritorializzazione” o, nel campo dei mass media, sulla “mediatizzazione della tradizione”, ecc.
Ma, al di là di queste tematiche lasciate agli approfondimenti della relativa letteratura scientifica, l’analisi dell’autore tenderebbe a far emergere anche alcuni altri elementi, affatto secondari.
Aspetti visti con una logica di tipo induttivo e un’osservazione diretta dal “basso” verso l’“alto” che – pur correndo il rischio di accennare ad evidenti ovvietà – possono essere così riassunti.
In primo luogo, l’indagine cerca di rammentare la comune origine pagana di molte pratiche religiose, assimilate e trasformate in una serie di prassi simboliche che, con il tempo, hanno maturato una tale forza e autorità da poter essere usate, successivamente, come autentici e temibili baluardi in difesa delle insidie proposte da antagonisti non ortodossi (quali, ad esempio, quelli protestanti).
Un altro ambito di rilievo che sembra emergere dalle immagini è pure quello inerente la frequente convivenza di simboli oscillanti tra il sacro ed il profano. Il repertorio offerto proporrebbe varie tipologie di segni utili ad evidenziare questo profilo d’interesse, fluttuanti dal simbolo dell’insegna dell’esercizio commerciale alle posture di alcuni degli attori di questi scenari (donne, di solito, e non a caso secondo l’autore), dalle diverse formazioni di fedeli protagoniste delle celebrazioni rappresentate (vere e proprie congregazioni religiose, ognuna con una propria originale simbologia distintiva) alle banconote appuntate su alcune statue portate in processione, sino alle cronache mondane e ai fuochi d’artificio notturni per chiudere i consueti concerti con noto interprete, ecc.
Indicativa, in proposito, è certamente una delle fotografie che compongono questa raccolta; propone, infatti, il provocatorio accostamento di un manifesto di un notorio cantante di musica “leggera” italiana affisso sulla parete di una casa adiacente alla stradina nella quale sfila la processione che porta in ostensione pubblica la statua della “Madonna della Luce”.
Un catalogo di presenze, in definitiva, che stimolerebbe a riflettere sia riguardo ad aspetti quali la complessità e la commistione di segni sia in ordine ad una certa ambiguità caratteristica di queste celebrazioni. Elementi e tematiche che, questa volta, ricondurrebbero al discorso afferente l’ideologia, intesa però come universo di interessi piuttosto che come ambito della tensione affettiva, come invece si è accennato in precedenza.
Uno slittamento di livello che, in realtà, non è mai così nitido e definitivo, risolvendosi sovente in compresenza. Una variabilità cui sembra accennare anche qualche passaggio di un “testo”[5] di Francesco De Gregori che recita che (la) “religione può essere sentimento …”, (la) “religione può essere intrattenimento …”.[6]
E il tema dell’intrattenimento rinvia, inevitabilmente, alle tematiche afferenti la cosiddetta “industria culturale” o le “industrie”, allorché si ipotizza l’esistenza di un insieme di fonti di produzione (culturali) standardizzate in un’ottica industriale, piuttosto che un’unica cabina generale di regia. Per quel che concerne questo ambito, l’uso del plurale potrebbe peraltro risultare, per un verso, appropriato al taglio della ricerca, sebbene, per altri aspetti, non si profilerebbe con netta evidenza la presenza di uno scenario tipico della dimensione industriale, bensì di eventi a dimensione prettamente locale, con tutto ciò che ne deriva.
In ogni caso, riprendendo nuovamente espressioni precedentemente usate, quali commistione, ambiguità, concerti, ecc. ed accostandole (con cautela) – su ideali piani paralleli ma tendenzialmente affini, se non addirittura speculari – al ridetto termine intrattenimento, sembrerebbe meglio delinearsi l’ulteriore connotazione critica di queste opere, intente a rievocare anche tutto il nucleo di aspetti economici che, solo apparentemente, sembrano non essere prioritari nelle manifestazioni in argomento.
Celebrazioni che, in analogia con le logiche di un qualsiasi apparato dedito alla generazione di profitto, si connoterebbero come vero e proprio prodotto (culturale) – ancorché a preminente vocazione religiosa – rivelando, pertanto, anche un autentico quanto non sempre evidente processo di mercificazione.
Un andamento all’interno del quale la reiterazione dell’esercizio religioso, in una sorta di circolo ecologico, contribuisce a stimolare – autoalimentandosi al tempo stesso – la nascita del bisogno di queste rituali manifestazioni periodiche unitamente a tutto quanto le circonda (e non solo).
Dinamiche, queste, che l’analisi dell’autore osserva intanto a livello locale, conscio del fondamento e riscontro che trovano anche a livelli più ampi, talvolta persino globali.
In conclusione, riserviamo un ultimo accenno ad altre due immagini proposte – fotografie di grande fascino pur nella loro prerogativa fortemente drammatica – che vedono come protagonisti, in una, Maria Maddalena che conforta il Cristo sotto il carico della croce e, nell’altra, lui solo al cospetto della folla.
Nella prima si assiste ad un tentativo di reificazione attraverso le figure statuarie in corteo – un’evoluzione stimolata per mezzo della scelta di un particolare angolo di ripresa[7] e di una selezione mirata dei gruppi scultorei – per esaltarne quel carattere di pietà che ha presumibilmente contraddistinto la scena originale. Nella seconda, invece, il (futuro) Crocefisso è solo – per modo di dire, perché è esposto al pubblico ludibrio – in uno scenario fosco e caotico che lo vede raffigurato nei pressi di un’ipotetica balconata, letteralmente circondato – ora come allora – dalla folla. In questa ripresa, oltre l’evidente analogia tra la posa della figura sacra con quanti osservano e seguono la scena dalle diverse balconate presenti sul percorso della sfilata religiosa, l’autore ci suggerisce un’altra, capitale, affinità: quella del “nazareno” quale universale metonimia del condannato a morte.
In quello scenario, un uomo – uno come noi, potremmo aggiungere – è ad un passo da un tragico trapasso a causa di una condanna inflittagli da altri esseri umani, accerchiato da una folla – umana? – brulicante e rumorosa, probabilmente distratta e noncurante della sua imminente e atroce sorte.
Una scena che la moderna società celerebbe alla vista dei più, riservandola, di norma, ad un pubblico ristretto e particolare, prevalentemente composto di “addetti ai lavori”.
Questa fotografia, invece, tenta di soffermarsi su questa visione, prospettando un’intensa ed inquietante metafora senza tempo di grande impatto emotivo e visivo che – oltre alla suggestione della similitudine con il prigioniero costretto ad un calvario pubblico mentre va incontro alla sua fine – arricchisce ulteriormente di tracce critiche l’intenso sguardo proposto da queste immagini, rivestendole anche di una singolare e quanto mai familiare aura d’attualità.
Maggio 2003
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Riferimenti
- Abruzzese – L’intelligenza del mondo – Meltemi
T. W. Adorno, M. Horkheimer – Dialettica dell’illuminismo – Einaudi - Beck – I rischi della libertà – Il Mulino
- M. Canevacci – La città polifonica – Seam
- De Gregori – Amore nel pomeriggio – 2001, Sony Music Entertainment (Italy) Spa
- Eco – Apocalittici e integrati – Bompiani
- Fabbri e G. Marrone (a cura di) – Semiotica in nuce – Meltemi
- Geertz – Interpretazione di culture – Il Mulino
- Guala – Metodi della ricerca sociale – Carocci
- B. Thompson – Mezzi di comunicazione e modernità – Il Mulino
- Tomlinson – Sentirsi a casa nel mondo – Feltrinelli
[1] Nel dettaglio, le riprese riguardano le processioni rituali della settimana santa nella cittadina di Palermiti e quelle della ricorrenza delle celebrazioni in onore della “Madonna della Luce” a Rossano. Due eventi che, più o meno sistematicamente, sono stati fotografati per almeno un decennio dopo essere stati osservati e vissuti per un periodo ben più lungo, trattandosi dei suoi luoghi natii. Le due località, oltre che per ragioni affettive, sono care all’autore anche per un’altra forma di comunione connessa con le periodiche trasferte durante le quali lascia Roma, dove vive stabilmente. La quantità di riprese effettuate supera il migliaio.
[2] L’autore è nato in Calabria, per l’esattezza a Palermiti; è molto legato anche all’altro già citato centro calabro: Rossano.
[3] Ogni riferimento all’ideologia, in generale, risente comunque di una generale e negativa tendenza interpretativa (essa stessa) ideologica del termine. Si tratta di una sottile, quanto ricorrente, ironia della cultura moderna.
[4] Il termine proviene dal latino tradere, con il significato di ‘consegnare (dare) oltre (trā)’.
[5] In questo caso il termine “testo” è inteso nell’accezione semiotica – considerato come contenitore di significati non necessariamente proposti nella tradizionale forma testuale, bensì anche in altre vesti (fotografia, film, disco, ecc.) – e, pertanto, è stato indicato tra virgolette.
[6] La traccia cui si fa riferimento è la VII, intitolata “CONDANNATO A MORTE” (il carattere maiuscolo è dell’autore del disco), dalla raccolta “Amore nel pomeriggio”.
[7] La prospettiva scelta per la realizzazione della fotografia ricorda Rodcenko.