Cosimo Savina. La danza delle foglie

Cosimo Savina. La danza delle foglie

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C. Savina, La danza delle foglie, 1998

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Il titolo a più tracce di questo lavoro di Cosimo Savina e la storia che narra
attraverso i (s)oggetti protagonisti di quest’opera sembrano condensare un esempio
di come la messa in scena narrativa di un autore possa esprimersi a più livelli. Tutti,
in vari modi, interconnessi tra di loro. Questa dimensione a più piani, con la sua
potenziale evoluzione verso una pluralità di relazioni e di significati, parte dalla
metafora riassunta in questo lavoro, immaginato come la storia di due “persone”
che danzano. Due ballerini di “liscio”, per l’esattezza, rappresentati attraverso una
serie di fotografie che ritraggono delle foglie (“labbra”) di magnolia, raffigurate in
una sequenza di pose/movimenti.
Dati questi primi riferimenti, possono già essere individuate delle prime tracce
dell’accennato percorso narrativo e di senso a più strati e di alcuni altri possibili
collegamenti.
Un primo riferimento potrebbe essere lo spunto offerto dalla generica distinzione
tra i “pesi” e/o i significati attribuiti al ballo e alla danza. Una bipartizione che di
norma – ma i confini possono essere (e sovente lo sono) sostanzialmente solo
convenzionali – vede associata all’idea di ballo un’espressione culturale più “bassa”,
per quanto affine, rispetto a quella della danza (pur restando entrambe,
tecnicamente, delle forme di comunicazione dalle analoghe potenzialità).
Secondo questa prima e riduttiva schematizzazione, il ballo si manifesterebbe di
solito in una molteplicità di forme a prevalente valenza tecnico/formale e, pertanto,
meno votata alla componente speculativa (per quanto risulti difficile pensare che
possa esistere un qualsiasi gesto o atto umano non rappresentativo di qualcosa o
privo di rinvii a qualcos’altro). Questo discutibile credo comune che tenderebbe ad
attribuire al ballo un’ipotetica dimensione tendenzialmente antirappresentativa e
antinarrativa convive, in ogni caso, con una sua dimensione comunque
rappresentativa e narrativa, così come è in qualsiasi forma di comunicazione umana.
Un segno distintivo presente, dunque, anche in questa espressione culturale, che ne
caratterizza la sua natura paradigmatica, contraddistinguendola, similmente ad altri
“collanti sociali”, come un bisogno comunicativo, una sorta di necessità sociale.
Anche per queste ragioni, il ballo, oltre a divertire i protagonisti e/o gli spettatori,
contribuisce, tra l’altro, a (ri)definire le relazioni rituali/sociali all’interno – così
come all’esterno – della coppia e/o del gruppo sociale di riferimento. Un atto –
talora anche mimetico – tattico e, insieme, strategico messo in atto per “segnare” il
territorio, proprio e dei terzi. Una mimesi realizzata, di norma, attraverso lo
schermo, la cortina fumogena dell’apparente semplice e puro divertimento,
incarnando, in ogni caso, un’importante forma di socializzazione.
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La danza, a differenza del ballo, rappresenterebbe, invece, “la” vera e propria forma
di comunicazione – e, quindi, la forma narrativa (“alta”?) per eccellenza – espressa
attraverso i gesti, i movimenti, la simbologia del corpo.
Un esempio noto, tra altri possibili, è senz’altro rappresentato dalla danza classica.

Detto questo, il lavoro di Cosimo Savina potrebbe quindi sembrare collocabile nella
prima categoria, ossia quello della mera rappresentazione (per quanto figurata) di
una forma di ballo. Così non è, per lo meno non necessariamente e tanto meno
nettamente, tenuto anche conto della continua ibridazione, non solo simbolica, tra
il ballo e la danza e, più in generale, tra le tante e varie forme di
espressione/comunicazione umana.
Un esempio rappresentativo di commistione, tra altri, potrebbe essere quello
offerto dalla danza sportiva. In questo ambito marcatamente tecnico, tra le varie
specialità agonistiche che lo compongono, è compreso anche il citato ballo “liscio”.
Ballo formalmente codificato dalla Federazione Italiana Danza Sportiva (FIDS)
come danza di coppia e suddiviso in varie ulteriori sottocategorie.
In questa prospettiva fatta di ibridazioni e di confini sfumati, anche il titolo di
quest’opera, sembra riassumere emblematicamente differenti dimensioni. Uno
scenario a più quinte che arricchisce la ricerca narrativa ed estetica dell’autore. Ne è
quindi nata, partendo da una dicotomia culturale ed espressiva di base (il ballo/la
danza) a lui affine per sensibilità ed interessi, anche l’opportunità di favorire
l’emergere di altri elementi simbolici funzionali ad un ulteriore ampliamento della
narrazione.

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C. Savina, La danza delle foglie, 1998

Tra questi elementi, risalta la sinèddoche riassunta nella scelta simbolica di
fotografare delle foglie “labbra”, parte figurata di un tutto materiale ed immateriale
(il corpo, l’istinto, gli affetti, etc.) oltremodo carico di rimandi. Una di queste
risonanze potrebbe rinviarci ad una delle storie, una delle relazioni più antiche e
diffuse dell’umanità. Fulcro di tanti legami sentimentali e, non ultimo, potenziale
motore di vita, come lo è una storia d’amore.
Una storia di anime in continuo mutamento, che si cercano – talora in un vortice di
silenzi che sembra anche amplificare le distanze – e si rincorrono e, infine,
finalmente si incontrano. Una storia eterna, apparentemente sempre uguale eppure,
ogni volta, capace di essere nuova, diversa, unica. Un patrimonio di sentimenti
policromo ed inesauribile, che si rinnova incessantemente, in un continuo e
precario equilibrio tra natura e cultura, in un divenire ogni volta differente ed unico.
Un fluire che sembra testimoniato anche dall’evoluzione della sequenza realizzata
da Cosimo Savina attraverso il divenire tutt’uno dei due “corpi” fotografati,
progressivamente meno divisi e separati, prima di amalgamarsi definitivamente,
dopo un piccolo percorso a tappe, in un abbraccio finale, divenendo una cosa sola.

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Una specie di rituale laico, con una sua precisa liturgia di passi, un susseguirsi di
volteggi, di movenze sempre più intense, tese verso un desiderio crescente, un fine
ultimo: l’immergersi in un limbo emotivo, un tempo sospeso, dove transitare per
realizzare infine il sogno di una (con)fusione… totale! Una dissoluzione che porta le
due essenze ad amalgamarsi in un nuovo essere nato da un’originaria differenza, da
una distinta specificità affettiva, emotiva, etc. Un unicum, in altri termini, un’entità
altra, nata – paradossalmente – proprio da una diversità, da una distanza, da uno iato
(proprio come sembra apparire nel racconto per immagini di Cosimo Savina).
La danza, inclusa quella delle foglie raffigurate da questo autore, è in effetti sempre
un’arte performativa che, nel succedersi delle diverse azioni create dal ballo – siano
esse frutto di una rigida coreografia piuttosto che di improvvisazione – nasce e vive,
in sostanza, per raccontarci, attraverso il movimento del corpo, ogni volta una
storia più o meno diversa (un’ipotetica avventura sentimentale, in questo caso).
Così facendo, la coppia danzante ideata da Cosimo Savina, mentre balla, comunica
– nel senso di condividere, ovvero di “mettere in comune” – e narra una storia
universale, seppure con delle sue specifiche varianti.
Similmente a dei marosi, la danza ondivaga delle “sue” foglie, tra una spirale e
l’altra, oscilla quindi in una pluridimensionalitá che comprende più livelli
emozionali, tecnico/formali e, non ultimo, di senso. Ambiti diversi, in una miscela
diasincronica nella quale convivono, tra forma e sostanza, tra materia e spirito:
amore e passione.

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Leve in grado di toccare le radici più profonde e sensibili dell’esistenza umana.
Sino al suo epilogo, sino alla freddezza fatale della fine, al gelo della morte.
Il ballo e la danza, in questo lavoro, sono quindi similmente intesi – in termini
complementari o alternativi tra loro e in relazione alle circostanze – come un
percorso narrativo e di senso. In questo caso, sono inoltre da intendersi come un
viaggio speciale dentro l’anima dell’esistenza, tra eros e thanatos, tra l’inizio di tutto e
la sua dissoluzione nel nulla finale. Quasi una sorta di esperienza catartica per
immagini dell’autore per affrontare e tentare di metabolizzare la presenza costante,
immanente della dissoluzione dell’esistenza.
E, ampliando ulteriormente la prospettiva, è plausibile immaginare il ballo/la danza
“documentati” da Cosimo Savina, come una sorta di suo personale ed originale
inno alla vita. Una vitale poesia per immagini che è anche una ricerca estetica, oltre
che sentimentale, in un delicato equilibrio tra fascino e tecnicismo. Nell’atto del
ballare questi attori sembrano infatti vivere un crescendo tecnico/formale ed
emotivo modulato e fissato ad ogni passaggio, in ciascun fotogramma.
Passo dopo passo, posa dopo posa.
Ma non solo!
La danza delle foglie di Cosimo Savina sembra inoltre voler tendere a liberare
l’umanità dal peso della “notte” della vita – segnata da diversità, sofferenza,
ingiustizie e tant’altro – ricordando i valori più alti dell’esistenza, in una fusione
ideale tra corpo e anima.
Valori che possono essere anche immaginati – nella cornice di un possibile percorso
generativo del senso, secondo un movimento di lettura dei livelli a partire dal più
astratto verso il livello più concreto – come degli attanti/eroi che ballano/agiscono
per conto di un autore/destinante. Un ipotetico mandante morale che li ha assoldati per
raggiungere e conquistare un determinato oggetto di valore. In questa prospettiva
semiotica, le foglie/attori di Cosimo Savina rappresentano la formalizzazione di
superficie, la dimensione tangibile degli attanti sottostanti (i “nodi” profondi, i valori
originari dell’organizzazione narrativa).

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Con la loro danza/inno alla vita – e grazie
alla “loro” competenza ovvero a cosa sanno, possono, vogliono e/o devono fare –
questi “ballerini” tentano di contrastare almeno in parte gli antieroi incarnati dalle
avversità della vita, la parte più aspra e più buia dell’esistenza. Le foglie/attanti, gli
eroi protagonisti della narrazione visiva dell’autore assumono quindi il ruolo di agenti
morali, impegnati idealmente in una lotta alla negatività, con tanto di
sanzione/premio/giudizio finale (del mandante morale originario, così come del
singolo spettatore o, auspicabilmente, di un pubblico più ampio).
Una contesa affatto facile, quasi una sorta di impresa impossibile.

Attori temerari, dunque, che, nonostante la loro apparente vulnerabilità, sembrano
comunque motivati a provare, senza rinunciare, per quanto fragili ed effimeri.
Foglie/agenti che, senza “parlare”, vivono la loro breve danza/battaglia tentando di
creare comunque un ponte ideale con una dimensione altra, interiore e, a tratti,
persino trascendente.
Un anelito di soprannaturalità, insito da sempre nella componente spirituale
della danza, madre delle arti, che, insieme al rinforzo offerto da altre “sorelle”
(musica, poesia, etc.) può far evolvere un progetto artistico in qualcosa di
potenzialmente ancora più “alto”.
Di fronte a tutto questo, come spettatori, (tecnicamente) sperimentiamo una sorta
di sospensione dell’incredulità, un’impressione di plausibilità, che, per quanto artificiosa,
porta a valutare come vera – o, per lo meno, come ammissibile – la storia che ci
viene narrata (come capita al cinema e alla tv così come nel corso della lettura di un
romanzo, a teatro cosi come durante uno spettacolo di danza, incluso il racconto
per immagini del nostro autore). Una narrazione fondata su architetture spaziali che
attraversano il tempo e lo spazio della rappresentazione, in un divenire progressivo
di forme e figure che “danno voce” ad un discorso dell’anima.
Una teoria di sensazioni che, non ultimo, attraverso la danza delle “sue”
foglie potrebbero trasferire una parte dell’anima dell’autore a chi condivide in
presenza o a distanza con lui questa narrazione.
La performance delle foglie danzanti di Cosimo Savina sembra quindi riassumere tutto
questo, in una sorta di “vertigine che danza” che ce le presenta avviluppate, come
immaginarie lingue di fuoco che esprimono, al tempo stesso, la forza e l’effimero
della vita attraverso un linguaggio fatto di visioni/fotografie avvolte da un suono
muto.

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 L’autore, come un novello Prometeo che ruba il fuoco agli dei per darlo agli
uomini, ha dunque dato “voce” ad una delicata quanto instancabile poesia visiva, in
un’armonia di segni e di senso che, anche nel silenzio di questa sequenza afona, ci
“parla”, in definitiva, del suo intenso universo!
Roma, 25 luglio 2019
G. Regnani
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Alcuni riferimenti
Abruzzese A., Lessico della comunicazione, Meltemi, Roma, 2003;
Brancato S., Sociologie dell’immaginario, Carocci, Roma, 2000;
Canevacci M., Antropologia della comunicazione visuale, Meltemi, Roma, 2001
Coleridge S.T., Biographia literaria, 1817 (cit. Eco U.);
Fabbri P., Marrone G. (a cura di), Semiotica in nuce I e II, Meltemi, Roma, 2001;
Greimas, A.J., 1970, Du sens, Seuil, Paris; tr. it., Del senso, Bompiani, Milano, 1974;
McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967
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Ortoleva P., Mass media. Dalla radio alla rete, Giunti, Firenze, 2001;
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Pozzato M.P., Semiotica del testo, Carocci, Roma, 2001.

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C. Savina, La danza delle foglie, 1998

Cosimo Savina. La danza delle foglieultima modifica: 2017-06-29T20:00:38+02:00da gerardo.regnani
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