UNA LETTERA IMMAGINARIA AD ANNE MONTAUT

In ricordo di Anne Montaut

Una lettera immaginaria

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Carissima Anne,
la tua scomparsa ha colpito profondamente anche me.

Una grande tristezza amplificata, tra l’altro, anche dalla banale constatazione (almeno per me, intendo) di quanto, in fondo, erano concretamente anticipatorie certe mie riflessioni (in parte frutto delle mie letture) di qualche tempo fa di quel che oggi avrei così intensamente provato osservando, più volte, a lungo e scioccato dalla tua morte, questo tuo intenso ritratto.
Ho ripensato, innanzitutto, a cone tutto, che ci piaccia o meno, è sempre e comunque dotato di un’estetica e di una dialettica – tecnicamente, dei mezzi di comunicazione – persino quando queste proprietà sembrino assenti o, addirittura, finanche negate.
Persino la Morte, sia vista in diretta sia mediata, comunque ne possiede.
Una dialettica, quella tra la Fotografia e la Morte, da sempre continua e, di norma, anche particolarmente tesa.

Una dialettica, non soltanto apparentemente, contraddistinta proprio da una (surreale) assenza di dialettica.
La morte, del resto, è “la” contingenza che non ammette – di fatto, per statuto – alcuna contrapposizione dialettica con chicchessia. È la dolente e immutabile negazione di qualsiasi confronto, senza pietà e/o sconti per nessuno.
Sempre implacabile di fronte a qualunque forma di vita.

Qualunque essa sia…!
Tutto, dunque, dicevo, dalla Morte in giù, comunica o cerca comunque di farlo, anche attraverso espressioni estetiche e dialettiche – materiali, immateriali, mutevoli e specifiche che siano – anche qualora sembrino mancare e/o appaiano persino respinte al mittente.
Tra i vari media, la Fotografia – e il tuo ritratto ce lo ricorda tristemente ancora una volta – continua ad offrirci un campionario di esempi praticamente infinito.
Un campionario ancor più triste e doloroso in questo momento di sgomento, che ci ricorda anche, come ha ben riassunto Federica Muzzarelli, che:
“Ogni fotografia è un memento mori. Fare una fotografia significa partecipare della mortalità, della vulnerabilità e della mutabilità di un’altra persona […] Ed è proprio isolando un determinato momento e congelandolo che tutte le fotografie attestano l’inesorabile azione dissolvente del tempo.”
Il ritratto – come, credo, sia anche questo che ti raffigura – ne è, appunto, e da sempre, una sintesi particolarmente rappresentativa.

Chi viene ritratto tende, di fatto, a trasformarsi in pura immagine.

In tal modo, ogni volta che la si guarda, la Fotografia sembra rendere  possibile – “attraversandola” – il fare esperienza di una sorta di “oltrevita”. Una specie di “Aldilà” laico e terreno nel quale l’immagine assume le vesti di una specie di disperato, ultimo doppio dell’assente e/o, come è tristemente per noi tutti oggi, di una persona particolarmente cara, ormai, purtroppo, irrimediabilmente scomparsa. La Fotografia diviene, così, il doloroso simulacro di un trapasso e, insieme, la traccia – anche affettiva e non solo formale – di qualcosa, di qualcuno, che, in un certo momento, inesorabilmente passato, da qualche parte, per un tempo certo o indefinito, in qualche modo, comunque: “è stato”…
La Fotografia, “volgarizzandola”, propone dunque, anche a noi che oggi ti ricordiamo, una sorta di reificazione della Morte: l’interruzione, la discontinuità, la lacerazione definitiva del flusso temporale di ogni esistenza.
La Fotografia – mai sazia e, in particolare, proprio nel ritratto – sembra cinicamente inoltre anticiparci, ancor più disumana e spietata, il futuro che attende inevitabilmente ognuno di noi.
La Fotografia – come se non bastasse – assume, non ultime, anche le vesti di una specie di metaforica arma impropria in grado di “ferire” lo sguardo.

E, ferendolo, di attraversarlo… per “catturarne” l’osservatore.

Un’arma affilata, quanto temibile, teoricamente capace di oltrepassare il confine ideale che divide la raffigurazione dallo sguardo dell’osservatore interessato. “ferendolo”, appunto.

Ma, superando questo limite, e lacerando la “pelle” dell’osservatore di turno, può diventare, sebbene lo faccia in questo strano modo, oltre che una sorta di angosciante e dolorosa cicatrice indelebile, anche una specie di ponte, di immaginaria porta della speranza.

Una sorta di caritatevole varco virtuale che ci apra una (momentanea) via di fuga dal buio e, insieme, dal dolore che avvolge e si avvolge e si nutre incessantemente in e di quell’oscurità infinita ed eterna che è da sempre la Morte.

Un confine salvifico da attraversare e oltrepassare insistentemente ed ostinatamente, non una, ma dieci, centomila volte – se necessario – per “riabbracciare”, almeno con lo sguardo, ogni persona purtroppo assente e/o scomparsa.

Chiunque sia divenuto per noi, ormai, soltanto un ricordo.

Un ricordo fragile ed evanescente, che rischia di divenire progressivamente sempre più labile, al quale – grazie alla temporanea “resurrezione” ininterrottamente riproposta dalla Fotografia – possiamo comunque tentare di aggrapparci, come se fosse un disperato relitto di fortuna, per proseguire in qualche modo il nostro cammino residuo.
Oggi, senza di te, ancor più soli…
Riposa in pace Anne!
Ge

UNA LETTERA IMMAGINARIA AD ANNE MONTAUTultima modifica: 2023-01-03T01:37:45+01:00da gerardo.regnani
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