Leggere il presente con i classici: Durkheim e l’interpretazione del suicidio

Leggere il presente con i classici: Durkheim e l’interpretazione del suicidio
by Lorenzo Villani – pubblicato il 27 Settembre 2020
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Edouard Manet, Le suicidé, 1881
Segnalo questo interessante articolo di Lorenzo Villani, intitolato: “Leggere il presente con i classici: Durkheim e l’interpretazione del suicidio”.
Lo studio di Durkheim ha aperto la strada ad un filone di analisi e ricerche volte ad analizzare e comprendere cause ed effetti di tale fenomeno.
Teoria della restrizione esterna
Henry e Short individuano il suicidio come una forma di aggressività, la quale discende dalla frustrazione maturata nella sfera individuale, derivante, in primo luogo, da una potenziale delusione delle aspettative. I due studiosi elaborano così la teoria della “restrizione esterna“, secondo cui il comportamento individuale subisce delle restrizioni in quanto è tenuto a omologarsi alle aspettative degli altri membri della società. Così intesa la restrizione rappresenta la principale fonte di immunità e annullamento delle tendenze suicide in quanto maggiori saranno le relazioni sociali e interpersonali in cui è immerso l’individuo e, parallelamente, maggiori saranno i freni posti dinanzi al “richiamo” verso l’atto del suicidio.
Conseguentemente, in un contesto di isolamento il rischio aumenta. Pericolo, questo, riscontrabile in maniera elevata all’interno delle nostre società; anche alla luce di processi propri della modernità digitale quali il fenomeno hikikomori (che presuppone una rottura drastica e un isolamento totale), il crescente bullismo che vede un sempre maggior numero di minori coinvolti, e il mobbing sul lavoro (fenomeni, questi ultimi, che non conducono ad un isolamento diretto, ma contribuiscono alla creazione delle condizioni affinché un individuo possa costituire le basi per la sua autoemarginazione). In particolare per quanto riguarda il fenomeno hikikomori, alcune stime non ufficiali riportano almeno 100.000 casi, la quasi totalità dei quali riguarda giovani under 30; è tuttavia impossibile determinare il tasso della mortalità-suicida di tale componente sociale proprio a causa delle sue caratteristiche non ufficiali e difficilmente rilevabili. In virtù della natura sfuggente del fenomeno, possiamo cercare di affiancarlo a quello del bullismo, affermando che, in Italia, su circa 4 mila suicidi annuali, circa il 5% sono riconducibili a giovani sotto i 25 anni [1].
Possibili cause
In riferimento a tale percentuale si può supporre che essa si frammenti lungo una serie di cause e ulteriori fenomeni. Le ipotesi maggiormente rilevanti potrebbero riguardare:
• Fallimento negli studi, strettamente legato a dinamiche concorrenziali largamente diffuse all’interno dei contesti scolastici e universitari.
• Continue vessazioni da parte dei coetanei, specie all’interno del “peer-group” nel corso della socializzazione primaria.
• Crisi delle aspettative, nonché principale fonte di annullamento delle ambizioni giovanili, legate sia a delusioni lavorative che in ambito accademico.
• Perenne insoddisfazione materiale; fattore, questo, che ha rappresentato un oggetto di studio privilegiato da parte di Bauman, che riteneva essere elemento centrale all’interno della società dei consumi, la quale stimola l’interesse dei consumatori e alimenta una diffusa insoddisfazione volta a tenere in vita il mercato e i consumi opulenti. Laddove questa insoddisfazione persista si apre un ampio ventaglio di conseguenze, di cui la morte volontaria è solo una parte del fenomeno.
Sociologi della devianza
Altro filone moderno che occorre menzionare fa riferimento ai sociologi della devianza, i quali differiscono dai positivisti, che organizzano le loro prospettive sulla base di dati ufficiali in quanto documenti oggettivi, per il fatto che essi perseguono l’obiettivo di una rielaborazione dell’immagine sociale del suicida, guardando in un’ottica critica le statistiche ufficiali in quanto espressione dell’ideologia e dell’egemonia della classe dominante.  Va aggiunto che, relativamente alle statistiche ufficiali, anche Durkheim mostra un certo scetticismo. Riprendendo Wagner, egli afferma che “la statistica dei motivi di suicidio [rilasciata dall’autorità giudiziaria, ossia le ipotetiche cause immediate] è, in realtà, una statistica delle opinioni che elaborano i poliziotti incaricati” [2]. Ciò non toglie che sia appunto necessario partire da i Presunti motivi di suicidio indicati dalle indagini giudiziarie per poter effettuare un’analisi eziologica preliminare, che conduca poi ad un’analisi morfologica. È ciò che Durkheim individua come “metodo rovesciato“,che ci consente di “andare dal tutto alle parti“.
Émile Durkheim
La teoria del suicidio oggi
Prima di intraprendere qualsiasi discorso sul suicidio in quanto elemento sociale vanno fatte alcune precisazioni. Riprendendo la legge generale secondo cui il suicidio varia in ragione diversa al grado di integrazione della società religiosa, della società domestica, della società politica, occorre rapportare tali tipologie di società al nostro contesto storico. La perdita di peso dei vincoli della fede religiosa, che si manifesta gradualmente da circa mezzo secolo, impedisce di impostare qualsiasi discorso complessivo relativo alla tendenza suicida in rapporto all’egemonia della fede. L’appartenenza religiosa, alla base del suicidio egoistico di Durkheim, oggi risulterebbe indebolita, almeno in qualità di elemento esplicativo della tendenza suicida. Discorso analogo può esser fatto per la famiglia e per la politica.
• Sul 1° versante, possiamo affermare che non vi è istituzione sociale più indebolita della famiglia; tant’è che molti iniziano a ipotizzare la sua scomparsa permanente.
• Sul 2° versante, il fenomeno della secolarizzazione, ossia la graduale perdita del peso specifico nelle dinamiche politiche di fattori quali le ideologie e le appartenenze subculturali, rende difficile una reale integrazione all’interno della società politica; la quale va trasformandosi, assumendo forme inedite, talvolta contrarie, o semplicemente impoverite, rispetto alla sua natura tradizionale.
Pur essendo, tali dimensioni, profondamente mutate nel corso del ‘900 possiamo però concludere che “il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo” [3], qualsiasi essi siano.
Divisioni e individualismo
La società attuale, in virtù della sua complessità e dei rapporti di forza presenti al suo interno, giunge a delineare una divisione estrema del lavoro. Tale divisione porta inevitabilmente alla creazione di profonde deformazioni all’interno del sistema sociale e sul versante delle relazioni interpersonali. Uno dei primi elementi utili alla nostra analisi che occorre prendere in considerazione è il forte grado di individualismo presente all’interno di qualsiasi struttura capitalistica. Laddove l’individuo si trovi a confrontarsi con tali realtà in maniera solitaria e a instaurare con esse rapporti segnati da una bassa o inesistente integrazione il pericolo del suicidio anomico si manifesta in maniera preponderante.
Tali strutture sociali, infatti, tendono ad allontanare il singolo, il quale necessariamente si troverà ad adottare un atteggiamento difensivo. Egli infatti, in un quadro di disgregazione sociale, manifesta la sua volontà di frantumare i suoi contatti con il mondo, pur ricercando qualsiasi forma di legame e relazione con esso in maniera costante. Contatto che, agli occhi di colui che ricerca un dialogo con la sua comunità e i suoi gruppi di appartenenza può apparentemente essere soddisfatto unicamente dall’atto suicida, in quanto unico strumento in grado di decretare una rottura al silenzio dei rapporti vigenti fra individuo/società.
“CERTAMENTE, NELL’ACCEZIONE COMUNE, IL SUICIDIO È, PRIMA DI TUTTO, L’ATTO DI DISPERAZIONE DI UN UOMO CHE NON CI TIENE PIÙ A VIVERE. MA, IN REALTÀ, POICHÉ SI È ANCORA ATTACCATI ALLA VITA NEL MOMENTO IN CUI LA SI LASCIA, NON SI RINUNCIA AD ABBANDONARLA; E FRA TUTTI GLI ATTI MEDIANTE I QUALI UN ESSERE VIVENTE RINUNCIA AL BENE CHE FRA TUTTI È CONSIDERATO IL PIÙ PREZIOSO, ESISTONO DEI TRATTI COMUNI CHE SONO EVIDENTEMENTE ESSENZIALI”. (É. DURKHEIM, IL SUICIDIO. INTRODUZIONE ALL’OPERA)
Individualità perduta
In relazione alla modernità digitale si sente poi spesso parlare di suicidi derivanti da cause alimentate da strumenti quali Internet e i social network. È il caso delle challenge pericolose o della continua ricerca dell’individualità perduta (Bauman) che genera una continua ricerca del sé che termina poi con una morte volontaria laddove non si riesca a soddisfarla. Tali motivazioni, che rappresentano una piaga nelle nostre società, talvolta alimentate dall’apparato informativo e del tutto sottovalutate dall’ambiente istituzionale, non sono però le cause principali. Esse, in rapporto alla teoria durkheimiana, sono segmenti di motivazioni che aprono la strada alla tendenza suicidaria nel suo complesso. Riassumendo:
“ESSE INDICANO, SI PUÒ DIRE, I PUNTI DEBOLI DELL’INDIVIDUO, QUELLI ATTRAVERSO I QUALI SI INSINUA PIÙ FACILMENTE IN LUI LA CORRENTE ESTERNA CHE VIENE AD INVITARLO A DISTRUGGERSI” [4].
Individuare unicamente tali variabili come spiegazione complessiva della tendenza suicidaria di una consistente componente di una generazione è quindi insufficiente. La tendenza suicidaria è un elemento presente in ogni società fin dai tempi più remoti. Osservare però il suicidio in un’ottica unicamente individuale non consente una sua totale spiegazione, in quanto esso è la risultante di una serie di influenze provenienti dalla società. Quest’ultima, che Durkheim individua come entità superiore al singolo, esercita costantemente una pressione sulla sfera individuale di ogni suo membro; il quale finisce per collocarsi a metà strada fra la dimensione collettiva e quella soggettiva.
Non si tratta però di una semplice collocazione fra due versanti, bensì di una mera duplicità dell’io che si esplica nel sociale e nell’individuale:  “Per quanto ciascuno sia individualizzato, vi è sempre in lui qualcosa che rimane collettivo; cioè la depressione e la malinconia che risultano da questa individualizzazione esagerata. Quando non si ha nient’altro da mettere in comune, si è in comunione nella tristezza” [5]. Per concludere: “Se […] il vincolo che lega l’uomo alla vita si allenta, significa che il vincolo che lo lega alla società si è già allentato” [6].
[1] Istat.
[2] Durkheim, il Suicidio, Libro I – Cause extrasociali.
[3] ibidem.
[4] É. Durkheim, il Suicidio, Libro II – Cause sociali e tipi sociali.
[5] ibidem.
[6] ibidem.
Lorenzo Villani
Classe ’98, nato a Napoli, attualmente residente a Firenze. Studio Scienze Politiche presso l’Università degli studi di Firenze. Ambisco all’osservazione delle dinamiche contemporanee, del conflitto sociale e delle diseguaglianze, adottando la “mentalità sociologica come strumento di liberazione“.
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Riferimenti
https://sociologicamente.it/leggere-il-presente-con-i-classici-durkheim-e-linterpretazione-del-suicidio/
Leggere il presente con i classici: Durkheim e l’interpretazione del suicidioultima modifica: 2020-09-29T00:01:24+02:00da gerardo.regnani
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